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20 dicembre 2008 - Cronache - Interni - il Giornale
Fascisti contro titini La guerra delle vie spacca Trieste in due
Fausto Biloslavo
TRIESTE – A Trieste scoppia la “guerra” delle vie, scuole e lapidi che riaprono le ferite di un tragico passato. Come un fiume carsico riaffiora una città divisa: dedicare una via a Mario Granbassi, grande giornalista e volontario fascista in Spagna fa gridare allo scandalo. L’intellighenzia di sinistra si sta mobilitando fin dalla Catalogna, da dove Granbassi non è più tornato. Non serve far presente che anche Davide Lajolo combattè in Spagna, con i “volontari del Littorio”, e poi diventò direttore de l’Unità.
In risposta alla levata di scudi su Granbassi torna alla ribalta l’assurda intitolazione di scuole e lapidi ai “liberatori” di Tito. I partigiani jugoslavi del 9° Corpus, che occuparono Trieste alla fine della seconda guerra mondiale, terrorizzando la città e deportando gli italiani. Molti dei quali scomparsi nelle foibe.
La Lega nazionale, antica associazione in difesa dell’italianità, chiede di far tabula rasa “di monumenti, targhe, intitolazioni che risultino celebrative dell’occupazione jugoslava di Trieste dal 1° maggio 1945 al 12 giugno 1945”.
A Sgonico, sul Carso triestino, la scuola elementare statale di lingua slovena si chiama “1 maj 1945”. Non si tratta della festa dei lavoratori, ma dell’inizio dell’occupazione di Trieste da parte dei titini. Accanto alla targa del primo maggio, la sezione italiana della stessa scuola, è dedicata ad Emilio Comici. Mitico alpinista triestino, che nel 1939 fu nominato commissario prefettizio a Selva di Val Gardena.
Sulla strada per Zolla, a due passi da Trieste, una lapide ricorda le gesta del 9° Corpus del maresciallo Tito, padre-padrone della Jugoslavia comunista. “Qui combatterono per la liberazione del Carso triestino e da qui il 28 aprile 1945 partirono verso Trieste le unità della 30° Div. del 9° Korpus” dell’Esercito popolare di liberazione jugoslavo. La targa è stata affissa dall’Associazione nazionale partigiani. Negli anni novanta l’europarlamentare del Movimento sociale, Gastone Parigi, la prese a picconate. E si beccò una condanna assieme a Sergio Dressi, oggi dirigente di An.
Peccato che i “liberatori” del 9° Corpus davano la caccia agli italiani, come nel caso di Dario Pitacco. Un giovane di 19 anni, che aderisce ai Volontari della libertà nell’insurrezione contro i tedeschi del 30 aprile 1945. Il primo maggio, assieme ad altri italiani, si arrampica sulla torre del municipio per issare il tricolore. I titini lo arrestano e sparisce nel nulla. Sua sorella, che nel maggio ’45 aveva tre mesi, riceverà dal presidente Giorgio Napolitano un’onorificenza al Quirinale. Il 10 febbraio in occasione della giornata del ricordo per il dramma dell’esodo e delle foibe. A Pitacco il vice sindaco di Trieste, Gilberto Lippi, vuole dedicare una via. “Se il Parlamento italiano ha istituito per legge il ricordo delle vittime di questa tragedia è inconcepibile che targhe, vie o monumenti inneggino ai carnefici” spiega Paolo Sardos Albertini, presidente della Lega nazionale. “E’ come se ci fosse una lapide che ricorda l’inaugurazione del campo di sterminio di Dachau. Per questo chiedo alle amministrazioni comunali di verificare le intitolazioni ed intervenire” sostiene Albertini. I primi firmatari della petizione sono i capigruppo del centro destra al Comune di Trieste. Martedì scorso oltre alla raccolta di firme è stato annunciato “sì” definitivo all’intitolazione di via Granbassi. Anche se l’ufficio del sindaco fa sapere “che l’iter è appena all’inizio”.
Granbassi era il nonno di Margherita la campionessa di scherma, che adesso lavora in tv con Santoro. Noto giornalista di Radio Trieste, con lo pseudonimo di Mastro Remo, fu un grande innovatore. Le sue capacità professionali sono ampiamente riconosciute. Il peccato originale è la partenza per la guerra di Spagna, dove è morto guadagnandosi la medaglia d’oro al valor militare. “Vogliamo ricordarlo come giornalista innovatore per non condannarlo all’oblio” spiega Massimo Greco, assessore alla Cultura del comune di Trieste.
Moni Ovadia, Margherita Hack, una sfilza di docenti universitari di Barcellona gridano all’oltraggio. Claudio Magris ha scritto su Granbassi: «Dissentire dalla decisione del Comune di Trieste (…) non significa condannarlo, ma soltanto considerare inopportuna la sua glorificazione». Il centro destra parla di “quattro gatti faziosi” e la guerra della toponomastica continua.
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