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16 dicembre 2015 - Esteri - Terrorismo - Panorama
Se la guerra santa nasce in Europa

Salah Abdeslam e Mohammed Abrini sono gli unici terroristi sopravissuti alla carneficina di Parigi del 13 novembre. I super-ricercati sfuggiti alla cattura saranno già rientrati in Siria. Prima, però, hanno fatto tappa a Molenbeek dove sono nati: un quartiere di Bruxelles, capitale belga e delle istituzioni europee diventato fucina di jihadisti. 

Ma com’è possibile che i terroristi di fede islamica siano cresciuti nel cuore del Vecchio continente? Semplice: il Belgio ha un tasso di radicalizzazione jihadista superiore alla Tunisia, da dove sono partiti 3 mila volontari della Guerra santa per la Siria e l’Iraq su una popolazione musulmana di oltre 10 milioni di abitanti. I belgi hanno scelto il Califfo o altri gruppi estremisti in 250, ma partendo da una comunità islamica sunnita di appena 630 mila persone. Questo significa che sarebbero 396 i potenziali jihadisti in Belgio per ogni milione di musulmani, contro 287 in Tunisia.

«La nazione che ha il più alto numero di combattenti in Siria, in proporzione alla propria comunità islamica, è la Finlandia con 70 aspiranti martiri della guerra santa su 40 mila musulmani» calcola Paolo Quercia, direttore del centro di analisi strategiche Cenass. Un suo studio pubblicato nel saggio I foreign fighters europei 

dal Centro militare di studi strategici della Difesa ribalta il luogo comune che lega il fenomeno dei «foreign fighters» a società islamiche povere e repressive. «Nel caso dell’Isis, l’Europa musulmana sunnita ha dimostrato una propensione alla Jihad estremamente più elevata di altri Paesi, inclusi quelli di tradizionale religione islamica», si legge nel capitolo intotolato «dal welfare al Califfato».

La ricerca parte da un campanello d’allarme: «Su 5 mila volontari jihadisti partiti dal Vecchio continente per Siria e Iraq, mille sono già tornati in Europa». Nel 2014 si era stimato che circa mille foreign fighters al mese raggiungessero il Califfato partendo da ogni parte del mondo. «E almeno 200 provenivano dall’Unione europea» scrive Quercia «mentre 50 combattenti al mese adesso fanno ritorno nelle nostre società».

Dagli anni Ottanta alla nascita del Califfato le guerre in Afganistan, Bosnia, Filippine hanno attivato fra i 20 e 30 mila musulmani stranieri. A partire dal 2011, il conflitto in Siria ha arruolato quasi altri 30 mila volontari della Guerra santa internazionale, in gran parte schierati con le bandiere nere. L’aspetto più anomalo è che «la piccola comunità musulmana d’Europa, con meno di 20 milioni di fedeli, produce un numero molto elevato di combattenti jihadisti verso i territori controllati dall’Isis, dimostrando di avere la più alta propensione per abitante alla Jihad al mondo» scrive Quercia. 

Solo da Gotemborg, una cittadina svedese molto simile alla fucina jihadista 

del quartiere belga di Molenbeek, sono partiti in 50: la metà dei volontari della Guerra santa dall’ultra islamico Sudan. Uno di questi è Michael Nicolai Skråmo, nome di battaglia musulmano Abdul Samad al-Swedi. E il totale dei combattenti svedesi delle bandiere nere è superiore ai sudanesi.

Finlandia, Australia, Danimarca, Svezia, Belgio, Austria precedono la Tunisia nel rapporto fra foreign fighter e popolazione musulmana. Francia e Olanda registrano una radicalizzazione jihadista superiore alla Giordania. E pure l’Italia con i suoi 87 volontari della Guerra santa registra un numero potenziale di foreign fighter per milione di islamici (36) superiore al Kuwait, la Turchia, l’Algeria, l’Egitto, il Pakistan e le ex Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale.

Quercia sottolinea che «un austriaco di fede islamica ha almeno 10 volte più probabilità di un suo correligionario del Kuwait di andare a combattere nella Jihad siriano/irachena, così come un cittadino belga di religione musulmana ha circa 4 volte più probabilità di diventare un jihadista di quanto non ne abbia un cittadino medio dell’Arabia Saudita».

La Finlandia (vedere la tabella a pag. 53) registra l’indice di radicalizzazione più alto in Europa, con 1.750 foreign fighter stimati su 1 milione di abitanti islamici sunniti: tra loro c’è Abu Anas al Finlandi, un convertito ucciso lo scorso anno in Siria. La Danimarca è al secondo posto della classifica (con 434 foreign fighter stimati) con giovani morti in combattimento come Kenneth Sørensen, alias Abdul Malik al Dinmarki. Da Vienna, da Graz, da Linz partono cittadini austriaci di origine bosniaca, kosovara, turca, cecena elevando a 333 il numero di potenziali jihadisti per milione di abitanti di fede musulmana.

Secondo l’ex ambasciatore Adriano Benedetti, uno degli autori del libro sui foreign fighter europei, «il fatto che la Danimarca, uno dei Paesi con maggiore capacità di accoglienza e di welfare per gli stranieri, si trovi in testa alla graduatoria è il segno che l’integrazione delle popolazione di religione islamica in un tessuto europeo è quanto mai problematica». In pratica la propensione ad andare a combattere per Allah «è molto più elevata in società libere, democratiche e benestanti» sottolinea Quercia. Ancora più allarmante il dato della radicalizzazione jihadista per macro-aree, sempre in proporzione alla popolazione musulmana. 

«L’Europa emerge come il principale continente di provenienza dei combattenti stranieri nel teatro siriano-iracheno» scrive Quercia. L’Unione europea è al primo posto con 3.680 volontari della Guerra santa registrati nel 2014, che significa 200 jihadisti per ogni milione di islamici sunniti. I Balcani occidentali sono al secondo posto, con 102 foreign fighter per milione. I Paesi islamici che hanno prodotto 14 mila jihadisti, la metà dei combattenti stranieri in Siria e Iraq, hanno una popolazione musulmana di oltre mezzo miliardo. Il risultato è che se in Europa si radicalizzano 200 miliziani pro Califfo, ogni milione di musulmani, nei Paesi islamici sono solo 24.  

«Le società liberaldemocratiche occidentali, e quelle europee in particolare» conclude amaramente Quercia «appaiono oggi essere fucine di jihadismo internazionale molto più delle stesse società islamiche, anche di quelle spesso accusate di essere più compiacenti con la Guerra santa». 


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