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21 gennaio 2017 - Il Fatto - Italia - Il Giornale
Quella sporca dozzina sugli sci: “Ho promesso, ti riporto i tuoi”
Fausto Biloslavo
La «sporca dozzina», che non molla mai e avanza fra le slavine, fino all\\\'albergo maledetto. Il maggiore dai nervi d\\\'acciaio, che ai comandi dell\\\'elicottero porta in salvo gli abitanti allo stremo di un intero paese. Il tenente degli alpini ferito in combattimento in Afghanistan, che si cala con la fune nel vuoto e con la sua squadra inforca le racchette da neve per raggiungere le zone isolate. Guai a chiamarli eroi, ma sono i nostri, il 7° cavalleria, i soccorritori che fanno la differenza fra la vita e la morte.
«Quando ho trovato il papà superstite con la moglie e i figli rimasti sotto la valanga gli ho promesso: te li riporteremo a casa. E così è stato per la consorte e il loro ragazzo. E poi anche per la figlia» racconta a il Giornale Lorenzo Gagliardi del soccorso alpino della Guardia della Finanza. Il maresciallo capo guidava la «sporca dozzina» arrivata per prima nel resort travolto dalla valanga. «Non avevamo scelta: o abbandonavamo quelle persone al loro destino o avanzavamo con sci e pelli di foca in mezzo alla tormenta di neve e tre slavine» spiega Gagliardi. In tasca ha sempre le foto di Federica e Alessia, le due figlie, come portafortuna. «Quando siamo arrivati alle 4 del mattino un altro soccorritore, che conosceva il posto, ha esclamato: È una catastrofe» racconta il finanziere. I primi due superstiti li hanno trovati subito e poi si sono messi a scavare. «Mai visto nulla del genere - racconta - Urlavamo e cercavamo di carpire qualsiasi suono di risposta, ma niente. Sepolto dalla neve puoi resistere 3 ore, ma sotto i resti di un albergo, se i solai non cedono del tutto, riesci a sopravvivere». La speranza per il soccorso alpino non si spegne. «La sonda ha rimbalzato su qualcosa di morbido. Temevo fosse un corpo, ma dopo aver scavato abbiamo trovato un sacco della biancheria» ricorda Gagliardi. Poco più in là, purtroppo, la sonda ha individuato il corpo della prima vittima. «È il momento peggiore perché non ce l\\\'hai fatta» osserva il maresciallo capo. Dalla moglie riceveva via WhatsApp cuoricini e baci d\\\'incoraggiamento. Il maresciallo capo è chiaro: «Non chiamateci eroi. Abbiamo semplicemente fatto il nostro dovere fino in fondo».
Stesso discorso per il maggiore Antonio Maggio, capo pilota dell\\\'elicottero della Guardia di finanza che mercoledì ha portato in salvo un intero paese isolato. «In 26 erano barricati nell\\\'unica trattoria di Ortolano, frazione in provincia dell\\\'Aquila a 1.000 metri d\\\'altitudine - racconta l\\\'ufficiale a il Giornale - Prima gli anziani, poi i giovani e la mamma con un neonato di 15 giorni portato in braccio da uno dei miei, che sprofondava nella neve». Tutti caricati a bordo dell\\\'elicottero Volpe 216 con il verricello. Un\\\'operazione delicata in una vallata stretta con vento, neve e linee elettriche. «Abbiamo operato fino all\\\'arrivo del buio. Il giorno dopo le unità con i cani hanno trovato un sessantenne sepolto da una slavina - spiega il maggiore - Ma quello che non dimenticherò mai sono gli sguardi tirati dei ragazzini. Una volta a bordo, in salvo, si sono sciolti in un sorriso».
Nell\\\'inferno bianco sono stati mobilitati anche gli alpini. Tre squadre speciali del 9° reggimento de L\\\'Aquila hanno raggiunto con i cingolati da neve l\\\'albergo maledetto. E da ieri lottano contro il tempo assieme agli altri soccorritori per trovare altri superstiti. Le penne nere sono mobilitate per raggiungere le zone più isolate. Ieri una squadra di alpini paracadustisti del 4° reggimento di Verona è scesa con le funi da un elicottero per arrivare a Coronella, un piccolo paese completamente tagliato fuori. «Con le racchette da neve hanno raggiunto le tre famiglie isolate composte soprattutto da anziani, che hanno bisogno di provviste e medicinali» spiega a il Giornale il capitano Alessio Battisti, comandante della task unit mobilitata nella zona. Se necessario gli alpini sono pronti a lanciarsi con il paracadute per raggiungere i paesi isolati. Al comando della squadra di uomini nella neve c\\\'è Marco, un tenente della task force 45 ferito in combattimento in Afghanistan e decorato con la medaglia d\\\'oro al valor dell\\\'esercito. Nonostante i proiettili in corpo ha continuato a sparare sui talebani per coprire i suoi uomini. Nella piccola frazione di Ascoli Piceno passerà la notte a combattere contro il gelo e il rischio valanghe per prestare soccorso a 9 persone che aspettavano l\\\'arrivo dei nostri.
[continua]

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THE WAR AS I SAW IT - L'evento organizzato dal Club Atlantico giovanile del Friuli-Venezia Giulia e da Sconfinare si svolgerà nell’arco dell’intera giornata del 10 marzo 2015 e si articolerà in due fasi distinte: MATTINA (3 ore circa) ore 9.30 Conferenza sul tema del giornalismo di guerra Il panel affronterà il tema del giornalismo di guerra, raccontato e analizzato da chi l’ha vissuto in prima persona. Per questo motivo sono stati invitati come relatori professionisti del settore con ampia esperienza in conflitti e situazioni di crisi, come Gianandrea Gaiani (Direttore responsabile di Analisi Difesa, collaboratore di diverse testate nazionali), Fausto Biloslavo (inviato per Il Giornale in numerosi conflitti, in particolare in Medio Oriente), Elisabetta Burba (firma di Panorama), Gabriella Simoni (inviata Mediaset in numerosi teatri di conflitto, specialmente in Medio Oriente), Giampaolo Cadalanu (giornalista affermato, si occupa di politica estera per La Repubblica). Le relazioni saranno moderate dal professor Georg Meyr, coordinatore del corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Università di Trieste. POMERIGGIO (3 ore circa) ore 14.30 Due workshop sul tema del giornalismo di guerra: 1. “Il reporter sul campo vs l’analista da casa: strumenti utili e accorgimenti pratici” - G. Gaiani, G. Cadalanu, E. Burba, F. Biloslavo 2. “Il freelance, l'inviato e l'addetto stampa in aree di crisi: tre figure a confronto” G. Simoni, G. Cuscunà, cap. B. Liotti

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30 aprile 2020 | Tg5 | reportage
L'anticamera dell'inferno
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Per noi in prima linea c’è il timore che il ritorno alla vita normale auspicata da tutti possa portare a un aumento di contagi e dei ricoveri di persone in condizioni critiche” ammette Gianfranco, veterano degli infermieri bardato come un marziano per proteggersi dal virus. Dopo anni in pronto soccorso e terapia intensiva lavorava come ricercatore universitario, ma si è offerto volontario per combattere la pandemia. Lunedì si riapre, ma non dimentichiamo che registriamo ancora oltre 250 morti al giorno e quasi duemila nuovi positivi. I guariti aumentano e il contagio diminuisce, però 17.569 pazienti erano ricoverati con sintomi fino al primo maggio e 1578 in rianimazione. Per entrare nel reparto di pneumologia semi intensiva respiratoria dell’ospedale di Cattinara a Trieste bisogna seguire una minuziosa procedura di vestizione. Mascherina di massima protezione, tuta bianca, copri scarpe, doppi guanti e visiera per evitare il contagio. Andrea Valenti, responsabile infermieristico, è la guida nel reparto dove si continua a combattere, giorno e notte, per strappare i contagiati alla morte. Un grande open space con i pazienti più gravi collegati a scafandri o maschere che li aiutano a respirare e un nugolo di tute bianche che si spostano da un letto all’altro per monitorare o somministrare le terapie e dare conforto. Un contagiato con i capelli grigi tagliati a spazzola sembra quasi addormentato sotto il casco da marziano che pompa ossigeno. Davanti alla finestra sigillata un altro paziente che non riesce a parlare gesticola per indicare agli infermieri dove sente una fitta di dolore. Un signore cosciente, ma sfinito, con i tubi dell’ossigeno nel naso è collegato, come gli altri, a un monitor che segnala di continuo i parametri vitali. “Mi ha colpito un paziente che descriveva la sensazione terribile, più brutta del dolore, di non riuscire a respirare. Diceva che “è come se mi venisse incontro la morte”” racconta Marco Confalonieri direttore della struttura complessa di pneumologia e terapia intensiva respiratoria al dodicesimo piano della torre medica di Cattinara. La ventilazione non invasiva lascia cosciente il paziente che a Confalonieri ha raccontato come “bisogna diventare amico con la macchina, mettersi d’accordo con il ventilatore per uscire dal tunnel” e tornare alla vita. Una “resuscitata” è Vasilica, 67 anni, operatrice di origine romena di una casa di risposo di Trieste dove ha contratto il virus. “Ho passato un inferno collegata a questi tubi, sotto il casco, ma la voglia di vivere e di rivedere i miei nipoti, compreso l’ultimo che sta per nascere, ti fa sopportare tutto” spiega la donna occhialuta con una coperta sulle spalle, mascherina e tubo per l’ossigeno. La sopravvissuta ancora ansima quando parla del personale: “Sono angeli. Senza questi infermieri, medici, operatori sanitari sarei morta. Lottano ogni momento al nostro fianco”. Il rumore di fondo del reparto è il ronzio continuo delle macchine per l’ossigeno. L’ambiente è a pressione negativa per aspirare il virus e diminuire il pericolo, ma la ventilazione ai pazienti aumenta la dispersione di particelle infette. In 6 fra infermieri ed un medico sono stati contagiati. “Mi ha colpito la telefonata di Alessandra che piangendo ripeteva “non è colpa mia, non è colpa mia” - racconta Confalonieri con il volto coperto da occhialoni e maschera di protezione - Non aveva nessuna colpa, neppure sapeva come si è contagiata, ma si struggeva per dover lasciare soli i colleghi a fronteggiare il virus”. Nicol Vusio, operatrice sanitaria triestina di 29 anni, ha spiegato a suo figlio che “la mamma è in “guerra” per combattere un nemico invisibile e bisogna vincere”. Da dietro la visiera ammette: “Me l’aspettavo fin dalla prime notizie dalla Cina. Secondo me avremmo dovuto reagire molto prima”. Nicol racconta come bagna le labbra dei pazienti “che con gli occhi ti ringraziano”. I contagiati più gravi non riescono a parlare, ma gli operatori trovano il modo di comunicare. “Uno sguardo, la rotazione del capo, il movimento di una mano ti fa capire se il paziente vuole essere sollevato oppure girato su un fianco o se respira male” spiega Gianfranco, infermiere da 30 anni. Il direttore sottolinea che “il covid “cuoce” tutti gli organi, non solo il polmone e li fa collassare”, ma il reparto applica un protocollo basato sul cortisone che ha salvato una novantina di contagiati. Annamaria è una delle sopravvissute, ancora debole. Finalmente mangia da sola un piattino di pasta in bianco e con un mezzo sorriso annuncia la vittoria: “Il 7 maggio compio 79 anni”.

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20 giugno 2017 | WDR | intervento
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Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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