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Reportage
15 luglio 2017 - Sito - Siria - Il giornale.it
Le donne yazide contro le bandiere nere
RAQQA . “Combattiamo per liberare le donne ed i bambini yazidi ancora nelle grinfie dei mostri dello Stato islamico. Siamo i loro angeli custodi nella battaglia di Raqqa che li salveranno” giura Daniz Shangal. Giubba mimetica, capelli corvini raccolti in una treccia, rigorosamente senza velo, è la comandante dell’unità di sole donne, che arriva da Sinjar, la capitale yazida in Iraq spazzata via dalle bandiere nere nel 2014. “Il nostro popolo ha subito un genocidio per mano dello Stato islamico. Siamo solo in 15, ma rappresentiamo un simbolo di riscatto in questa battaglia che resterà nella storia come la fine dello Stato islamico” spiega la giovane combattente guardandoti fisso negli occhi.
Gli yazidi non sono né musulmani, né cristiani. Le loro origini e tradizioni derivano da Zoroastro. Le orde jihadiste li hanno sempre bollati come “adoratori del diavolo” e massacrati. Sinjar è costellata di fosse comuni delle vittime yazide del Califfato. In tutto quasi 9mila sono stati trucidati o rapiti e 5mila dispersi.
Oltre 3000 donne e bambini yazidi sono ancora nelle grinfie dei miliziani del Califfo. Su una popolazione di 600mila persone ben 380mila sono sfollati e vivono in gran parte nelle tendopoli dell’Onu nel nord dell’Iraq.
Le combattenti yazide ostentano i lunghi capelli scuri e sulla mimetica hanno il simbolo rosso dell’unità di Sinjar. “Dopo quello che ci hanno fatto i seguaci dello Stato islamico sono dei mostri, non esseri umani. Ma la nostra presenza al fronte dimostra che le donne yazide non hanno più paura” ribadisce Shangal. Decise e determinate sostengono di essere state addestrate “ a combattere fino all’ultimo proiettile senza arrendersi mai”. La comandante non ha dubbi: “Come donna non mi farei mai prendere viva”.
Raqqa è una città fantasma avvolta in una strana calma prima della tempesta. I combattenti delle Forze democratiche siriane dominate dai curdi hanno ripiegato dalle posizioni avanzate nella città vecchia per lasciare spazio ai bombardamenti americani. Nelle strade sconvolte dalla battaglia sono abbandonati i cadaveri dei miliziani jihadisti. Un gippone blindato arriva a tutta velocità. Dal retro spuntano le gambe dilaniate di due combattenti saltati su una mina. Oltre il minareto a ridosso dell’antico muro della città vecchia sono annidate le bandiere nere. I combattenti curdi di vent’anni girano con l’Ipad non per giocare, ma per controllare sulle mappe satellitari aggiornate dai droni Usa le posizioni dello Stato islamico.
Sul fronte occidentale l’università del Califfato trasformata in poligono jihadista è nella terra di nessuno con la sua facciata che ancora inneggia alla grandezza dello Stato islamico. Anche se i tagliagole del Califfo si sono ritirati la bandiera nera sventola e nessuno riesce a tirarla giù. L’area è minata ed ogni volta che i curdi si avvicinano finiscono nel mirino dei cecchini.
Da via Talabya, nel centro di Raqqa, è appena scappato Mohammed, che si presenta come civile al punto di soccorso avanzato dei curdi. Ferito di striscio alle braccia e con la tunica araba lacera e sporca non vuole farsi riprendere in volto per timore di ritorsioni alla famiglia rimasta indietro. “Sono fuggito attraverso i tunnel scavati da tempo dai militanti dello Stato islamico – racconta lo sfollato – Una volta allo scoperto mi hanno visto e cominciato a sparare. Sono corso come un pazzo con la bandiere bianca verso le linee dei curdi, che mi hanno salvato”.
La situazione nella città vecchia in mano alle bandiere nere è drammatica: “Usano i civili come scudi umani”.  I combattenti stranieri del Califfo provenienti dall’Europa sono diminuiti, ma l’ultima resistenza è affidata a ceceni ed estremisti con gli occhi a mandorla della provincia cinese di Xinjiang. “Possono fare e dire quello che vogliono, ma per me lo Stato islamico è finito” sentenzia Mohammed.
Qualche ora dopo, sulla strada del ritorno verso una zona sicura, volteggiano sopra le nostre teste due possenti Osprey. I velivoli speciali, via di mezzo fra aereo ed elicottero, utilizzati dalle unità d’elite Usa per le incursioni contro obiettivi mirati dello Stato islamico.
[continua]

video
19 marzo 2019 | Rai 1 Storie italiane | reportage
Ricordo di Lorenzo volontario con i curdi ucciso dall'Isis


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12 settembre 2013 | Tg5 | reportage
Maaalula: i tank governativi che martellano i ribelli
Il nostro inviato in Siria, Fausto Biloslavo, torna nel mezzo dei combattimenti fra le cannonate dei carri armati

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14 febbraio 2019 | Porta a Porta | reportage
Parla il miliziano italiano che ha combattuto nell'Isis


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radio

02 dicembre 2015 | Radio uno Tra poco in edicola | intervento
Siria
Tensione fra Turchia e Russia
In collegamento con Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa. In studio conduce Stefano Mensurati.

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23 gennaio 2014 | Radio Città Futura | intervento
Siria
La guerra continua


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02 luglio 2015 | Radio24 | intervento
Siria
La famiglia jihadista
"Cosa gradita per i fedeli!!! Dio è grande! Due dei mujaheddin hanno assassinato i fumettisti, quelli che hanno offeso il Profeta dell'Islam, in Francia. Preghiamo Dio di salvarli”. E’ uno dei messaggi intercettati sulla strage di Charlie Hebdo scritto da Maria Giulia Sergio arruolata in Siria nel Califfato. Da ieri, la prima Lady Jihad italiana, è ricercata per il reato di associazione con finalità di terrorismo internazionale. La procura di Milano ha richiesto dieci mandati di cattura per sgominare una cellula “familiare” dello Stato islamico sotto indagine da ottobre, come ha scritto ieri il Giornale, quando Maria Giulia è arrivata in Siria. Il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli ha spiegato, che si tratta della “prima indagine sullo Stato Islamico in Italia, tra le prime in Europa”.

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