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Reportage
01 marzo 2018 - Primo piano - Egitto - Corriere del Ticino
La vita sotto assedio dei cristiani d’Egitto

ALESSANDRIA - “Abbiamo sentito l’esplosione del kamikaze e siamo corsi fuori - racconta il vicario del patriarca copto, Roweis Markos - Una scena orribile: sangue e pezzi di corpi erano dispersi dappertutto. Non dimenticherò mai Lusinda una bambina di 4 anni senza alcuna ferita apparente, ma era immobile e distesa a terra con la pelle tutta gialla. L’emorragia interna provocata dallo scoppio l’aveva uccisa”. In tunica nera il numero due dei 10 milioni di cristiani copti in Egitto, il 10% della popolazione, è ancora scosso dal ricordo dell’orrore. Il doppio attentato suicida  della domenica delle palme dello scorso anno a Tanta ed Alessandria, ha provocato 46 morti. In Egitto vive la più grande comunità cristiana del Medio Oriente. I terroristi dello Stato islamico annidati nella penisola del Sinai hanno dichiarato guerra agli “infedeli”. In un video del febbraio 2017 i tagliagole del Califfo annunciavano: “Allah ci ha ordinato di ucciderli. I cristiani sono le nostre prede”. Il governo protegge oltre duemila luoghi di culto copti con esercito e polizia. Però lo scorso anno sono stati 128 i cristiani uccisi in attentati nel paese e 200 costretti ad abbandonare le loro case. 

La sede del patriarcato copto nella capitale egiziana è protetta come un’ambasciata da blocchi di cemento contro le autobombe, cani fiuta esplosivi, alte mura di cinta e decine di uomini armati delle forze di sicurezza. La cattedrale di San Pietro e Paolo porta ancora i segni delle schegge dell’attacco suicida, che ha spazzato via 29 fedeli, compresi 6 bambini, durante la preghiera. Le colonne di marmo bianco sfregiate dalle schegge del giubbotto esplosivo del terrorista sono rimaste così, per non dimenticare. 

Nella sede del patriarcato gli ortodossi hanno creato un toccante memoriale dedicato ai martiri cristiani. A cominciare dai 21 egiziani copti sgozzati nel 2015 in Libia dai boia jihadisti. “Abbiamo trovato i corpi, ma non sono ancora rientrati in Egitto. Stanno ultimando i test del Dna ed una volta confermata l’identità li riporteremo a casa per una degna sepoltura” spiega Tawadros II, il Papa copto. Nel “museo” dei martiri ci sono le foto dei volti sorridenti di tante donne, alcune giovanissime. E sono conservati i loro vestiti intrisi di sangue che indossavano al momento dell’attentato. Oltre al cuoricino di stoffa con scritto “sei eccezionale”, una scarpa da ginnastica, la borsetta impolverata dall’esplosione e le croci spezzate delle chiese saltate in aria.

Ad Alessandria vive 1 milione di cristiani. Nella chiesa cattolica di Santa Caterina uno dei fedeli della messa della sera si avvicina e sussurra: “Nelle moschee dei quartieri più popolari le prediche sono sempre contro di noi, i kafir, gli infedeli. Anche dopo gli attentati all’apparenza si dolgono, ma molti musulmani dentro di loro gioiscono”. 

Un francescano ammette: “I salafiti, anche se mandano i loro figli nelle nostre scuole considerandole migliori, si rifiutano di stringere la mano ad un cristiano o di mangiare assieme allo stesso tavolo”.

Per entrare nelle chiese bisogna passare sotto i metal detector. Il cancello nero davanti alla cattedrale di San Marco porta ancora i segni delle biglie di acciaio del kamikaze che si è fatto saltare in aria la domenica delle Palme. “Uno dei miei gemelli di 8 anni si è messo a correre passando vicino al terrorista suicida. Un angelo deve averlo protetto. Il kamikaze si è fatto esplodere quando mio figlio era già lontano” ricorda Gihen Gergis Basiri con lo sguardo triste e la voce rotta dall’emozione. La vedova cristiana ha perso il marito, davanti ai suoi occhi ed è rimasta ferita nell’attacco. “Ci colpiscono perchè siamo cristiani - aggiunge - Per questo, anche se vivo nel terrore dopo l’attentato, continuo ad andare in chiesa”.

Oltre al terrorismo jihadista il problema è la discriminazione. “Ho appena iniziato a lavorare, ma so bene che in quanto cristiana non farò carriera. Mi passerà sempre davanti un musulmano anche se è meno capace” spiega Redenta, una giovane cattolica con la lunga chioma corvina. “Per noi ragazze cristiane può essere pericoloso girare da sole per strada. - racconta - Mi è capitato di essere strattonata ed importunata dai giovani musulmani che mi accusavano di essere un’infedele e di non coprimi abbastanza. Urlavo, ma nessuno interveniva, neanche la polizia”.

Nell’alto Egitto, lungo il Nilo, la provincia di Assiut assieme a quella di Minia registrano la più alta percentuale di cristiani oltre il 30%. Davanti alle chiese sono piazzati i blindati color sabbia dell’esercito. Ad Assiut, il vescovo copto cattolico, Kirillos William, viene fermato dai fedeli che baciano la croce in legno che non molla mai. “I terroristi minacciano: “Trasformeremo le vostre feste nel sangue”, ma siamo gli unici cristiani che organizzano le processioni per la Madonna in strada” osserva il prelato. Si riferisce ai fedeli di Der Dronca, un villaggio di 6mila anime, tutte cristiane. Alle pendici della grotta dove ha sostato la Sacra famiglia di Gesù in fuga dalla Palestina, super blindata, ma frequentata da un via vai continuo di pellegrini. 

Nell’alto Egitto non possiamo muoverci senza la scorta. A Minia il vescovo Botros Fahim, con la tonaca fino ai piedi, ci aspetta in strada. Al comandante della scorta prende un colpo e non lo molla un attimo con la mitraglietta in pugno. Accanto ad ogni chiesa gli islamici costruiscono una moschea con il minareto rigorosamente più alto del campanile. E la discriminazione non demorde: “All’università è prassi che i laureati con i voti migliori siano assunti come assistenti. - denuncia il vescovo - I cristiani vengono spesso scartati perchè devono passare davanti i musulmani anche se con meno titoli. E se fanno ricorso trovano sempre un giudice che lo respinge”. 

Lo scorso maggio a sessanta chilometri da Minia sulla strada che porta al monastero di San Samuele i tagliagole dello Stato islamico giunti dalla vicina Libia hanno intercettato un autobus di pellegrini. Ad una bambina di 9 anni hanno levato via la pelle per cancellare la piccola croce tatuata sul polso. Poi le hanno sparato davanti ai genitori. Ventotto cristiani sono stati trucidati. Michael è il figlio di una delle vittime, Atef Monir Zaki, 63 anni. Nel cimitero cristiano del sobborgo di Minia si fa il segno della croce davanti alla tomba del genitore e racconta i drammatici momenti dell’imboscata. “A mio padre hanno sparato in fronte - spiega mostrando le immagini sacre che conservava gelosamente in casa - I terroristi lo volevano costringere a ripetere dei versi del Corano, la professione di fede musulmana”. Il papà di Michael e altri cristiani si sono rifiutati. “I boia lo hanno pestato con una spranga sul petto e le gambe per costringerlo a convertirsi - racconta Michael - Non ha ceduto ed è stato ucciso. Per noi è un martire”.  

Fausto Biloslavo

 

SOSTEGNO PIENO ED INCONDIZIONATO AD ABDEL FATTAH AL SISI

IL CAIRO - L’enorme cupola con la croce che svetta verso il cielo appare come un miraggio nel deserto alle porte del Cairo, dove sta sorgendo la più grande chiesa del Medio Oriente. Il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi aveva promesso ai cristiani copti la nuova cattedrale della Natività dopo l’ennesimo attentato dei terroristi islamici. L’ex generale l’ha inaugurata il 6 gennaio, vigilia del Natale ortodosso, nella parte già agibile. “Voi siete la nostra famiglia. Siamo un unico corpo e nessuno ci dividerà” ha esordito Al Sisi nella chiesa gremita di fedeli. Al suo fianco un compiaciuto Tawadros II, il Papa dei copti ortodossi. La più grande chiesa del Medio Oriente ospiterà 8200 fedeli e sarà finita fra un anno. Il costo è di 58 milioni di dollari, in gran parte fondi pubblici. “E’ stato il primo presidente a venire nelle nostre chiese a Natale - sottolinea il vescovo Anba Ermia barbone grigio e tonaca nera - Non voglio dire che sia un paladino dei cristiani, ma con noi si comporta in maniera giusta e corretta”.

I cristiani d’Egitto sembrano tutti pazzi per Al Sisi. Dopo la caduta di Hosni Mubarak in nome della primavera araba, i copti sono finiti sotto tiro. L’apice della violenza si è registrata nel 2013 quando i Fratelli musulmani scalzati dal potere dal generale Al Sisi, presero d’assalto più di cento chiese nel disperato tentativo di scatenare la guerra civile. “Il presidente non è un golpista. Abbiamo il nostro modo di applicare la democrazia. Nel 2013 venti milioni di egiziani in piazza chiedevano le elezioni e hanno invocato l’intervento dei militari dopo il disastro del governo dei Fratelli musulmani” è convinto Botros Fahim, vescovo cattolico di Minia. Per l’ex generale la comunità cristiana è un’importante bacino di voti in vista delle elezioni presidenziali del 28 marzo. Al Sisi conquisterà facilmente il secondo mandato per altri quattro anni, ma il timore è l’astensione, che suonerebbe come un boicottaggio. Gli oppositori sono stati spazzati via da inchieste giudiziarie ad hoc, come nel caso del generale Sami Anan. Altri candidati del calibro di Ahmed Shafiq, ex ministro dell\'era Mubarak e Anwar Sadat, dissidente e nipote del presidente egiziano ucciso da ufficiali jihadisti, sono stati costretti a rinunciare. L’unico contendete, di facciata, è Moussa Mostafa Moussa, presidente del partito Al Ghad vicino al potere, che si è candidato all’ultimo minuto per salvare le apparenze.

“Se lo paragoniamo ai predecessori per noi il presidente Al Sisi è una garanzia, che ci rassicura. Quando i terroristi attaccano i cristiani li fa bombardare nei loro santuari come è accaduto per i 21 copti sgozzati in Libia dallo Stato islamico” ammette senza peli sulla lingua, William Kirillos, vescovo di Assiut. Si riferisce al massacro dei cristiani del 2015 sulle coste libiche del Mediterraneo ripreso in un sanguinario video del Califfato.

Però nel governo c’è solo una cristiana, ministro per la diaspora. In parlamento siedono 36 deputati copti, ma nonostante sia diventato più semplice costruire nuove chiese la discriminazione e la diffidenza nei confronti dei cristiani è connaturata nella popolazione musulmana e negli apparati pubblici. Nessun cristiano farà mai carriera nelle forze armate o nei gangli dello stato. 

Al Sisi punta molto sulla sicurezza insidiata dai terroristi. Il governo sostiene di avere mobilitato 230mila uomini per proteggere i cristiani. I militari controllano anche la ricostruzione dei luoghi di culto copti distrutti dai musulmani estremisti. Il maggiore Khaled, in mimetica da combattimento, è una figura di riferimento nel cantiere per la nuova cattedrale che sta sorgendo nella capitale amministrativa alle porte del Cairo. L’ufficiale ci illustra la situazione per tutto l’Egitto: “Il presidente ha ordinato all’esercito di supervisionare la ristrutturazione delle chiese devastate dai fondamentalisti con fondi dello stato. Fino ad oggi sono stati conclusi i lavori per 65 luoghi di culto cristiani”.

Fausto Biloslavo

 

\"SIAMO SEMPRE DISCRIMINATI, MA NON COME SOTTO MORSI\"

IL CAIRO - L’enorme cupola con la croce che svetta verso il cielo appare come un miraggio nel deserto alle porte del Cairo, dove sta sorgendo la più grande chiesa del Medio Oriente. Il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi aveva promesso ai cristiani copti la nuova cattedrale della Natività dopo l’ennesimo attentato dei terroristi islamici. L’ex generale l’ha inaugurata il 6 gennaio, vigilia del Natale ortodosso, nella parte già agibile. “Voi siete la nostra famiglia. Siamo un unico corpo e nessuno ci dividerà” ha esordito Al Sisi nella chiesa gremita di fedeli. Al suo fianco un compiaciuto Tawadros II, il Papa dei copti ortodossi. La più grande chiesa del Medio Oriente ospiterà 8200 fedeli e sarà finita fra un anno. Il costo è di 58 milioni di dollari, in gran parte fondi pubblici. “E’ stato il primo presidente a venire nelle nostre chiese a Natale - sottolinea il vescovo Anba Ermia barbone grigio e tonaca nera - Non voglio dire che sia un paladino dei cristiani, ma con noi si comporta in maniera giusta e corretta”.

I cristiani d’Egitto sembrano tutti pazzi per Al Sisi. Dopo la caduta di Hosni Mubarak in nome della primavera araba, i copti sono finiti sotto tiro. L’apice della violenza si è registrata nel 2013 quando i Fratelli musulmani scalzati dal potere dal generale Al Sisi, presero d’assalto più di cento chiese nel disperato tentativo di scatenare la guerra civile. “Il presidente non è un golpista. Abbiamo il nostro modo di applicare la democrazia. Nel 2013 venti milioni di egiziani in piazza chiedevano le elezioni e hanno invocato l’intervento dei militari dopo il disastro del governo dei Fratelli musulmani” è convinto Botros Fahim, vescovo cattolico di Minia. Per l’ex generale la comunità cristiana è un’importante bacino di voti in vista delle elezioni presidenziali del 28 marzo. Al Sisi conquisterà facilmente il secondo mandato per altri quattro anni, ma il timore è l’astensione, che suonerebbe come un boicottaggio. Gli oppositori sono stati spazzati via da inchieste giudiziarie ad hoc, come nel caso del generale Sami Anan. Altri candidati del calibro di Ahmed Shafiq, ex ministro dell\'era Mubarak e Anwar Sadat, dissidente e nipote del presidente egiziano ucciso da ufficiali jihadisti, sono stati costretti a rinunciare. L’unico contendete, di facciata, è Moussa Mostafa Moussa, presidente del partito Al Ghad vicino al potere, che si è candidato all’ultimo minuto per salvare le apparenze.

“Se lo paragoniamo ai predecessori per noi il presidente Al Sisi è una garanzia, che ci rassicura. Quando i terroristi attaccano i cristiani li fa bombardare nei loro santuari come è accaduto per i 21 copti sgozzati in Libia dallo Stato islamico” ammette senza peli sulla lingua, William Kirillos, vescovo di Assiut. Si riferisce al massacro dei cristiani del 2015 sulle coste libiche del Mediterraneo ripreso in un sanguinario video del Califfato.

Però nel governo c’è solo una cristiana, ministro per la diaspora. In parlamento siedono 36 deputati copti, ma nonostante sia diventato più semplice costruire nuove chiese la discriminazione e la diffidenza nei confronti dei cristiani è connaturata nella popolazione musulmana e negli apparati pubblici. Nessun cristiano farà mai carriera nelle forze armate o nei gangli dello stato. 

Al Sisi punta molto sulla sicurezza insidiata dai terroristi. Il governo sostiene di avere mobilitato 230mila uomini per proteggere i cristiani. I militari controllano anche la ricostruzione dei luoghi di culto copti distrutti dai musulmani estremisti. Il maggiore Khaled, in mimetica da combattimento, è una figura di riferimento nel cantiere per la nuova cattedrale che sta sorgendo nella capitale amministrativa alle porte del Cairo. L’ufficiale ci illustra la situazione per tutto l’Egitto: “Il presidente ha ordinato all’esercito di supervisionare la ristrutturazione delle chiese devastate dai fondamentalisti con fondi dello stato. Fino ad oggi sono stati conclusi i lavori per 65 luoghi di culto cristiani”.

 

Fausto Biloslavo


video
10 febbraio 2016 | Sky Tg24 | reportage
Il caso Regeni
I misteri di un'orribile moret al Cairo. I suoi supervisori dell'università di Cambridge lo avevano messo in guardia sui rischi che correva?

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23 febbraio 2016 | Porta a Porta | reportage
Il caso Regeni
Un video, denunce pubbliche dei pericoli per gli studenti in Egitto e scritti militanti mostrano un altro volto dei referenti accademici inglesi di Giulio Regeni. Non sono solo professori universitari, ma attivisti contro il regime egiziano oppure erano a conoscenza dei rischi della ricerca al Cairo dello studente friulano. Lo rivela il numero di Panorama in edicola con un titolo forte: “Le colpe dei docenti di Cambridge”.

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21 agosto 2013 | Uno Mattina | reportage
I Fratelli musulmani piegati dalla piazza e dai militari
Sull'Egitto i grandi inviati sono rimasti infatuati dai Fratelli musulmani duramente repressi, ma gran parte degli egiziani non stava più con loro e non li considerava delle vittime

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radio

07 aprile 2016 | Zapping Rai Radio 1 | intervento
Egitto
Regeni: la pista inglese
Le referenti accademiche di Regeni sono protette da un insolito tabù mediatico e governativo. In realtà proprio il ruolo delle docenti di Cambridge potrebbe indirizzare verso il movente dell’orribile fine del giovane ricercatore. Maha Abdulrahaman, la sua tutor di origini egiziane, l’11 giugno dello scorso anno aveva tenuto una conferenza sui “Diritti umani in Egitto” a Cambridge nella sede di Amnesty international, che ha lanciato la campagna “verità per Giulio”. La conferenza denunciava le “forme di repressione contro giornalisti, studenti, attivisti, lavoratori e cittadini ordinari”. Pur conoscendo bene i pericoli ha controfirmato l’analisi del rischio presentata da Regeni all’università per poter andare al Cairo. La sua sodale, Alexander, ha storto il naso contro la “tardiva” presa di posizione britannica: “Quando un dottorando viene torturato ed ucciso i ministri sembrano riluttanti a dire qualcosa di critico sulle autorità egiziane”. In ottobre con Regeni al Cairo, grazie ai suoi contatti, la docente di Cambridge pubblicava un’analisi proponendo l’alleanza fra gli attivisti di sinistra ed i Fratelli musulmani “capace di farla finita con il regime del generale” Al Sisi, presidente egiziano. Il 25 ottobre firmava un appello contro la visita del capo dello stato egiziano a Londra, poi pubblicato su Ikhwanweb, il sito ufficiale dei Fratelli musulmani. Il 4 novembre con Regeni sempre in prima linea al Cairo arringava la piazza a Londra bollando Al Sisi come “un assassino” sollevando l’entusiasmo e lo sventolio delle bandiere della Fratellanza. Il tutto immortalato in un video, che non può essere sfuggito ai servizi inglesi ed egiziani. Alexander fin dal 2009 è in contatto con Maha Azzam, presidente dell’Egyptian Revolutionary Council, il governo ombra dell’opposizione ad Al Sisi con sede a Ginevra. La Farnesina non ha mai voluto commentare questa parte, inquietante ed ambigua, del caso Regeni, che potrebbe portare al movente del delitto.

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15 febbraio 2016 | Zapping Radio uno | intervento
Egitto
Misteri e sospetti sulla morte di Regeni
Ospedali Bombardati in Siria.Non si fermano i raid:Germano Dottori analista strategicoLuiss,Gastone Breccia esperto Medio Oriente,Loris De Filippi presidente MSF. I misteri ed i sospetti sulla morte di Regeni:Fausto Biloslavo.

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