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Intervista
02 luglio 2018 - Atttualità - Italia - Il Giornale
“Da militare dico: non abbandonare Kabul”
Fausto Biloslavo
Gianfranco Paglia, paracadutista, è una medaglia d\'oro al valor militare rimasto paralizzato nei combattimenti del 2 luglio 1993 in Somalia. Oggi indossa sempre la divisa come consulente del ministro della Difesa soprattutto sui feriti d\'Italia.
Venticinque anni dopo il check point Pasta c\'è qualcosa da raccontare, che non è mai stato detto sulla battaglia a Mogadiscio?
«La domanda andrebbe rivolta a chi ci governava 25 anni fa. Posso dire, però, che quando i guerriglieri hanno aperto il fuoco facendosi scudo con donne e bambini è vero che potevamo usare subito le armi pesanti, ma poi come avremmo continuato a guardarci ogni mattina allo specchio?».
Cosa non dimenticherà mai della battaglia?
«Il momento più drammatico è quando un razzo Rpg ha colpito il mezzo cingolato davanti al mio. Abbiamo visto la fiammata ed il capitano Paolo Riccò, che tirava coraggiosamente fuori Pasquale Baccaro uno dei tre caduti». 
E quando è rimasto ferito?
«Ero con il busto fuori dal mezzo e stavo sparando. Un proiettile mi ha colpito alla schiena. La paralisi è stata immediata. Non riuscivo neanche a parlare, anche se non ho mai perso i sensi». 
Oggi a Mogadiscio abbiamo una missione di addestramento. Però il Paese è sempre instabile, in guerra con i terroristi Shabab. Qualcosa non funziona nelle cosiddette missioni di pace?
«Sono missioni per portare la pace, ma se ti attaccano combatti. Nelle operazioni all\'estero da una parte aiutiamo la popolazione e dall\'altra combattiamo ovvero facciamo i soldati. Questo non vuol dire essere guerrafondai, ma bisogna guardare in faccia la realtà».
Dalla Somalia arrivano ancora dei richiedenti asilo via Libia, ma gran parte dei migranti partono da Paesi non in guerra. È giusta la linea dura sui barconi e le Ong?
«Non spetta a me giudicare la linea del Governo. Non sono razzista e non lo sono stato neanche nei confronti di chi mi ha sparato. Una cosa però la voglio dire, il nostro Paese non può essere considerato lo sversatoio di tutto e di tutti».
Il conflitto in Afghanistan è completamente dimenticato, ma continua con i talebani all\'offensiva. Non abbiamo perso, ma neppure vinto. A questo punto non è meglio tornarsene a casa?
«Da militare dico che tornare a casa sarebbe una sconfitta e quel territorio diventerebbe come quello somalo: una base terroristica».
I feriti d\'Italia sono stati a lungo un tabù. Solo fra i reduci dell\'Afghanistan se ne contano circa 600. In Paesi come l\'Inghilterra e la Francia sfilano orgogliosi nelle parate nazionali. In Italia sembriamo quasi voler nascondere che sono feriti in combattimento. Come mai?
«Non concordo. L\'Italia è l\'unico Paese che dà la possibilità ai militari feriti con un\'invalidità pari o superiore all\'80% di rientrare, attraverso il Ruolo d\'Onore, in servizio ed avere una propria carriera. Come altri sono tornato in missione all\'estero in Iraq, Bosnia, Kosovo e Libano. Da quattro anni si è costituito il Gruppo Sportivo Paralimpico della Difesa e noi il 2 giugno sfiliamo in tuta ginnica perché è la Festa della Repubblica a differenza del 4 Novembre quando, per la Festa delle Forze Armate, siamo a Piazza Venezia in uniforme». 
Negli Usa l\'organizzazione dei veterani influenza la politica e le istituzioni pubbliche. In Italia le associazioni d\'arma non hanno la stessa forza e sembra quasi che servano solo per portare labari alle manifestazioni pubbliche e poco altro. Cosa ne pensa?
«In Italia ci stiamo arrivando. In America i veterani sono una potenza essendo tantissimi e hanno un proprio dicastero. Noi stiamo facendo tante cose, non solo portare labari. Ci sono stati protocolli d\'intesa con il Miur (Ministero dell\'Istruzione) e si va nelle scuole a parlare delle missioni. Le associazioni combattentistiche ci aiutano molto anche con la gestione dei sacrari».
Abbiamo sempre avuto paura\" di utilizzare le missioni militari all\'estero per un tornaconto economico per le nostre imprese. È ora di cambiare rotta?
«Il termine tornaconto non mi piace, ma credo che la rotta stia già cambiando. La ristrutturazione della diga di Mosul con imprenditori italiani è un segnale che va proprio in questa direzione».
[continua]

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14 maggio 2020 | Tg5 | reportage
Trieste, Lampedusa del Nord Est
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il gruppetto è seduto sul bordo della strada asfaltata. Tutti maschi dai vent’anni in su, laceri, sporchi e inzuppati di pioggia sembrano sfiniti, ma chiedono subito “dov’è Trieste?”. Un chilometro più indietro passa il confine con la Slovenia. I migranti illegali sono appena arrivati, dopo giorni di marcia lungo la rotta balcanica. Non sembra il Carso triestino, ma la Bosnia nord occidentale da dove partono per arrivare a piedi in Italia. Scarpe di ginnastica, tute e qualche piumino non hanno neanche uno zainetto. Il più giovane è il capetto della decina di afghani, che abbiamo intercettato prima della polizia. Uno indossa una divisa mimetica probabilmente bosniaca, un altro ha un barbone e sguardo da talebano e la principale preoccupazione è “di non venire deportati” ovvero rimandati indietro. Non sanno che la Slovenia, causa virus, ha sospeso i respingimenti dall’Italia. Di nuovo in marcia i migranti tirano un sospiro di sollievo quando vedono un cartello stradale che indica Trieste. Il capetto alza la mano in segno di vittoria urlando da dove viene: “Afghanistan, Baghlan”, una provincia a nord di Kabul. Il 12 maggio sono arrivati in 160 in poche ore, in gran parte afghani e pachistani, il picco giornaliero dall’inizio dell’anno. La riapertura della rotta balcanica sul fronte del Nord Est è iniziata a fine aprile, in vista della fase 2 dell’emergenza virus. A Trieste sono stati rintracciati una media di 40 migranti al giorno. In Bosnia sarebbero in 7500 pronti a partire verso l’Italia. Il gruppetto di afghani viene preso in carico dai militari del reggimento Piemonte Cavalleria schierato sul confine con un centinaio di uomini per l’emergenza virus. Più avanti sullo stradone di ingresso in città, da dove si vede il capoluogo giuliano, la polizia sta intercettando altri migranti. Le volanti con il lampeggiante acceso “scortano” la colonna che si sta ingrossando con decine di giovani stanchi e affamati. Grazie ad un altoparlante viene spiegato in inglese di stare calmi e dirigersi verso il punto di raccolta sul ciglio della strada in attesa degli autobus per portarli via. Gli agenti con le mascherine controllano per prima cosa con i termometri a distanza la temperatura dei clandestini. Poi li perquisiscono uno ad uno e alla fine distribuiscono le mascherine ai migranti. Alla fine li fanno salire sugli autobus dell’azienda comunale dei trasporti cercando di non riempirli troppo per evitare focolai di contagio. “No virus, no virus” sostiene Rahibullah Sadiqi alzando i pollici verso l’alto in segno di vittoria. L’afghano è partito un anno fa dal suo paese e ha camminato per “dodici giorni dalla Bosnia, attraverso la Croazia e la Slovenia fino all’Italia”. Seduto per terra si è levato le scarpe e mostra i piedi doloranti. “I croati mi hanno rimandato indietro nove volte, ma adesso non c’era polizia e siamo passati tutti” spiega sorridendo dopo aver concluso “il gioco”, come i clandestini chiamano l’ultimo tratto della rotta balcanica. “Abbiamo registrato un crollo degli arrivi in marzo e per gran parte di aprile. Poi un’impennata alla fine dello scorso mese fino a metà maggio. L’impressione è che per i paesi della rotta balcanica nello stesso periodo sia avvenuta la fine del lockdown migratorio. In pratica hanno aperto i rubinetti per scaricare il peso dei flussi sull’Italia e sul Friuli-Venezia Giulia in particolare creando una situazione ingestibile anche dal punto di vista sanitario. E’ inaccettabile” spiega l'assessore regionale alla Sicurezza Pierpaolo Roberti, che punta il dito contro la Slovenia. Lorenzo Tamaro, responsabile provinciale del Sindacato autonomo di polizia, denuncia “la carenza d’organico davanti all’emergenza dell’arrivo in massa di immigrati clandestini. Rinnoviamo l’appello per l’invio di uomini in rinforzo alla Polizia di frontiera”. In aprile circa il 30% dei migranti che stazionavano in Serbia è entrato in Bosnia grazie alla crisi pandemica, che ha distolto uomini ed energie dal controllo dei confini. Nella Bosnia occidentale non ci sono più i campi di raccolta, ma i migranti bivaccano nei boschi e passano più facilmente in Croazia dove la polizia ha dovuto gestire l’emergenza virus e pure un terremoto. Sul Carso anche l’esercito impegnato nell’operazione Strade sicure fa il possibile per tamponare l’arrivo dei migranti intercettai pure con i droni. A Fernetti sul valico con la Slovenia hanno montato un grosso tendone mimetico dove vengono portati i nuovi arrivati per i controlli sanitari. Il personale del 118 entra con le protezioni anti virus proprio per controllare che nessuno mostri i sintomi, come febbre e tosse, di un possibile contagio. Il Sap è preoccupato per l’emergenza sanitaria: “Non abbiamo strutture idonee ad accogliere un numero così elevato di persone. Servono più ambienti per poter isolare “casi sospetti” e non mettere a rischio contagio gli operatori di Polizia. Non siamo nemmeno adeguatamente muniti di mezzi per il trasporto dei migranti con le separazioni previste dall’emergenza virus”. Gli agenti impegnati sul terreno non sono autorizzati a parlare, ma a denti stretti ammettono: “Se va avanti così, in vista della bella stagione, la rotta balcanica rischia di esplodere. Saremo travolti dai migranti”. E Trieste potrebbe trasformarsi nella Lampedusa del Nord Est.

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03 febbraio 2012 | UnoMattina | reportage
Il naufragio di nave Concordia e l'allarme del tracciato satellitare


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16 febbraio 2007 | Otto e Mezzo | reportage
Foibe, conflitto sulla storia
Foibe, conflitto sulla storia

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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento
Italia
Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio

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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra

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