image
Reportage
20 febbraio 2019 - Esteri - Siria - Panorama
Le vite perdute delle donne dell’isis

BAGHUZ (Siria) - “Tutti i civili vogliono fuggire, ma hanno paura dei mujaheddin. I combattenti dell’Isis ci terrorizzano dicendo che saremo violentate dai kufar (gli infedeli nda) - racconta la ragazza velata di nero con un bambino in braccio -  Se scoprono qualcuno che se ne va lo ammazzano senza pietà”. Fatima Bakat, siriana di 23 anni, che da Aleppo aveva aderito alla causa jihadista, mostra solo gli occhi aggraziati sotto il burqa delle mogli dell’Isis. Appena uscita dall’ultima sacca del Califfato nella Siria orientale è stata bloccata dai combattenti curdi delle Forze democratiche siriane, che stanno spazzando via i quattro chilometri quadrati ancora in mano alle bandiere nere nel vasto villaggio di Baghuz ridotto a un cumulo di macerie.

I puntini neri delle donne del Califfo con i figli piccoli si vedono bene lungo il serpentone di terra battuta del corridoio umanitario di 8 chilometri aperto dai curdi. A piedi, talvolta trascinando dei carretti con le più anziane o invalide. Alle loro spalle le case basse e piatte, in campo aperto, in mano all’Isis vengono martellate da caccia e droni americani. Le bombe da 500 chili alzano possenti colonne di fumo nero, come un vulcano in eruzione. Le fuggiasche sono talmente abituate e stanche, che neppure si voltano al rimbombo delle esplosioni.

Gran parte delle sfollate sono vedove di guerra. I mariti, che le hanno spinte a seguirli nello Stato islamico sono morti in combattimento. Molte sono straniere, comprese numerose europee, che speravano di raggiungere la Turchia e tornare a casa magari sotto mentite spoglie. “I trafficanti ci avevano promesso di portarci oltre confine pagando 2000 dollari a testa. In realtà è tutto organizzato per consegnarci ai curdi” spiega un’altra donna velata, che non vuole fare il suo nome. Un gruppetto delle donne dell’Isis è buttato in un buco del terreno per ripararsi dal freddo. Altre, divise per nazionalità, sono alla seconda notte all’addiaccio con i bambini che si lamentano. Le kazake, che hanno sposato mujaheddin ceceni o russi, i duri e puri del Califfato, sono irriducibili. Um, che vuole dire “madre”, di Abdullah, è la capetta, che redarguisce un’altra moglie dell’Isis: “Perchè chiami i curdi “fratelli”? Sono traditori dell’Islam venduti agli americani”. Gli agenti della Cia scortati dai corpi speciali girano mascherati fra le sfollate con una lista di nomi. Nel mirino ci sono soprattutto le jihadiste occidentali. Se trovano qualcuna della lista fanno il riconoscimento biometrico e se serve il controllo del Dna per accertarne l’identità.

Um Abdullah infagottata nel velo nero che la copre dalla testa ai piedi si rifiuta di condannare l’Isis e quando l’interprete osa accendersi una sigaretta gli chiede con piglio deciso di spegnerla: “E’ haram (peccato) secondo il Corano”.

Gran parte delle mogli del Califfo non parlano delle bandiere nere dell’Isis nell’ultima sacca. Una si limita a dire, che “la vita nello Stato islamico era normale prima delle bombe”. Poche sembrano pentite. E chi conosce qualche parola di inglese si lamenta con i giornalisti: “Abbiamo freddo. Siamo stanche. Perchè non ci portano nei campi?”. In pochi giorni dall’inizio dell’offensiva finale dei curdi di inizio febbraio sono fuggiti in 1800 fra donne e bambini. Si aggiungono ai 2mila già intercettati dalla caduta di Raqqa, la storica “capitale” del Califfato nel 2017, e rinchiusi in alcune tendopoli sorvegliate nel nord est della Siria. I mujaheddin stranieri catturati sono oltre 1000, di 44 nazioni diverse, soprattutto nordafricani. Però non mancano francesi, inglesi, tedeschi, alcuni americani e un italiano, Samir Bougana, 24 anni, figlio di immigrati marocchini, ma nato in provincia di Brescia.

Lo scorso anno sono state fermate dai curdi sulla via della Turchia, due jihadiste italiane arrivate in Siria dal Veneto. “Voglio tornare in Italia, anche se andrò in carcere. Così almeno riabbraccio la mamma, che mi manca tanto…” ha sostenuto Meriem Rehaily scoppiando a piangere nel campo Roj, vicino al confine iracheno, neppure segnato sulla mappa. La jihadista di 22 anni di origini marocchine è stata condannata a 4 anni di carcere dal tribunale di Venezia. Meriem è partita da Padova per inseguire l’amore per un mujahed conocisut su internet e le sirene della guerra santa. Adesso sostiene di essere pentita. I genitori hanno scritto un accorata lettera alle autorità curde nel Nord Est della Siria: “Abbiate misericordia di questa famiglia che vive nell\'inferno di avere perso la figlia. Una famiglia che non ha nessuna colpa se non quella che l\'Isis ha rubato il fiore più bello della loro vita: Meriem”.

La baby jihadista italiana Sonia Khediri partita per la Siria ancora minorenne è pure sotto sorveglianza curda nell’altro campo di detenzione di Heyn Issa a nord di Raqqa. “Ho amato Daesh (lo Stato islamico nda) pensando di fare la scelta giusta ed invece ho perso la mia vita” ha ammesso Sonia, la giovane della provincia di Treviso indagata per terrorismo intrenazionale, che oggi ha 21 anni.

L’8 febbraio dalla sacca di Baghuz sono spuntate due canadesi con cinque bambini di Alberta e Toronto. Una delle fuggiasche ha ammesso: “Stavamo cercando di scappare dal crollo dell’ Isis da sette mesi”. Dopo la morte in battaglia dei mariti, le vedove del Califfato sono state abbandonate a se stesse. 

Cinque giorni prima, Lorenzo Meloni, fotografo italiano di Magnum ha incrociato al posto di blocco curdo, Leonora, una tedesca, che porta il velo, ma lascia libero il volto. “Mi ha detto che a Raqqa faceva la bella vita in una villa, ma adesso la situazione era ogni giorno più dura” racconta Meloni. La tedesca è partita per la Siria a soli 15 anni convertendosi all’Islam. Leonora ha sposato il suo connazionale, Martin Lemke, che aveva già  due mogli. Il terrorista, dato per morto, era uno dei capi dei combattenti stranieri dello Stato islamico. “Ci hanno lasciate sole, senza cibo, in mezzo alle rovine con i bambini mentre il nemico avanzava” denuncia la jihadista tedesca. 

Il 13 febbraio è scappata dall’Isis, Shamima Begum, l’unica scovata dai curdi, delle tre ragazzine di famiglie normali della scuola Bethnal Green di Londra, che avevano deciso assieme di aderire al Califfato nel 2015. Una è stata sicuramente uccisa e un’altra è forse ancora viva nella sacca. Shamima aspetta un bambino e ha perso di stenti e malattie i due figli che ha avuto nella continua fuga dai combattimenti. “Non mi pento di essere venuta in Siria - ha ribadito al quotidiano Times di Londra - Ma adesso voglio solo tornare a casa”.

Il portavoce del dipartimento di Stato americano, Robert Palladino, è stato chiaro: \"Gli Stati Uniti invitano le altre nazioni a rimpatriare e perseguire i loro cittadini detenuti dalla Forze democratiche siriane”. Russia e Indonesia sono stati i primi paesi ad avviare un programma di rimpatrio. La Francia avrebbe accettato di riportarsi a casa 150 fra bambini dell’Isis e madri. L’Inghilterra starebbe già facendo rientrare un’ottantina di donne e figli dello Stato islamico.  “La Danimarca, il Canada e la Svizzera sono pronti a riprendersi mamme e bambini, ma a patto che l’operazione non venga resa pubblica” ha rivelato Nadim Houry, direttore della sezione anti terrorismo di Human right watch. L’Italia, nonostante gli sforzi del Ros dei carabinieri non si fa neppure consegnare la jihadista di Padova formalmente latitante e ricercata.

Mustafa Bali, portavoce delle Forze democratiche siriane, spiega che “molte donne dell’Isis vogliono tornare in patria, anche se andranno in carcere. I paesi europei devono riprendersi pure gli uomini, jihadisti di casa loro, per giudicarli e punirli per i loro crimini”.  

Fausto Biloslavo

[continua]

video
12 settembre 2013 | Tg5 | reportage
Diario di guerra ia Damasco
Tadamon la prima linea a 500 metri dai vicoli dove i bambini giocano a pallone.

play
12 settembre 2013 | Tg5 | reportage
Maaalula: i tank governativi che martellano i ribelli
Il nostro inviato in Siria, Fausto Biloslavo, torna nel mezzo dei combattimenti fra le cannonate dei carri armati

play
23 gennaio 2014 | Televisione Svizzera Italiana | reportage
I cristiani combattono
I cristiani in Siria vivono fra due fuochi e iniziano a difendersi, armi in pugno. 

Queste sono le giovani reclute del Sutoro, una milizia cristiana nel nord del paese travolto dalla guerra civile. Le immagini sono state girate dagli stessi miliziani.

I cristiani siriaci combattono al fianco dei curdi contro gli estremisti islamici di Al Qaida.

Il nome Sutoro deriva da un’antica preghiera in aramaico, la lingua di Gesù Cristo.

Dall’Europa non partono per la Siria solo volontari della guerra santa islamica.

Ma pure giovani cristiani per proteggere le loro comunità minacciate di estinzione. 
Come raccontano i rappresentanti della diaspora cristiana nel vecchio continente.

Da Locarno è partito per la Siria Johann Cosar, un ex sergente dell’esercito elvetico. 
Ufficialmente per documentare le sofferenze dei cristiani, ma in realtà ha dato una mano ad addestrare la milizia del Sutoro.
Dei volontari cristiani in Siria, giunti dall'Europa, parla il rappresentante del Centro culturale mesopotamico di Locarno

Sait il padre di Johan Cosar, il giovane di Locarno partito per la Siria, è un cittadino svizzero ed esponente di spicco del Partito che ha fondato la milizia cristiana. 

I servizi segreti di Damasco lo hanno arrestato lo scorso agosto.

La famiglia non parla con la stampa ma a Berna il Dipartimento federale degli Esteri è informato del caso.

Il governo siriano sostiene che Sait Cosar sia morto per infarto. 

Duecentomila cristiani sono già fuggiti dalla guerra civile. 
I loro rappresentanti, assieme ai curdi, avevano chiesto all’Onu di partecipare a Ginevra 2, senza ottenere risposta.
Nel futuro della Siria, per i cristiani, è in gioco la sopravvivenza.

play
[altri video]
radio

02 dicembre 2015 | Radio uno Tra poco in edicola | intervento
Siria
Tensione fra Turchia e Russia
In collegamento con Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa. In studio conduce Stefano Mensurati.

play

02 luglio 2015 | Radio24 | intervento
Siria
La famiglia jihadista
"Cosa gradita per i fedeli!!! Dio è grande! Due dei mujaheddin hanno assassinato i fumettisti, quelli che hanno offeso il Profeta dell'Islam, in Francia. Preghiamo Dio di salvarli”. E’ uno dei messaggi intercettati sulla strage di Charlie Hebdo scritto da Maria Giulia Sergio arruolata in Siria nel Califfato. Da ieri, la prima Lady Jihad italiana, è ricercata per il reato di associazione con finalità di terrorismo internazionale. La procura di Milano ha richiesto dieci mandati di cattura per sgominare una cellula “familiare” dello Stato islamico sotto indagine da ottobre, come ha scritto ieri il Giornale, quando Maria Giulia è arrivata in Siria. Il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli ha spiegato, che si tratta della “prima indagine sullo Stato Islamico in Italia, tra le prime in Europa”.

play

23 gennaio 2014 | Radio Città Futura | intervento
Siria
La guerra continua


play

[altri collegamenti radio]