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16 gennaio 2020 - Attualità - Libia - Il Giornale
A Tripoli i combattenti siriani Ora si teme la guerra globale
«A l 100% i siriani già combattono a Tripoli. Li hanno visti e hanno parlato con loro sul fronte di Salahuddin (un quartiere della capitale, nda) a pochi chilometri dal centro» spiega una fonte occidentale del Giornale in prima linea in Libia. Il quotidiano britannico Guardian rivela che sono 2mila uomini, reclutati dai turchi fra i ribelli anti Assad, già al fronte o pronti ad arrivare via Ankara. Non è un caso che ieri, al parlamento europeo, il re di Giordania Abdullah II si sia chiesto: «Che cosa succede se la Libia crolla in una guerra globale e diventa la nuova Siria, ma molto più vicina al continente che voi chiamate casa?».
I veterani della guerra santa in Siria a Tripoli sono l\\\'ennesimo allarme in vista della conferenza di pace di Berlino, che parte in salita. «Le aspettative sono molto basse» ha dichiarato la cancelliera tedesco, Angela Merkel, in vista del summit di domenica, che dovrebbe consolidare la fragile tregua in Libia. Il premier del governo libico riconosciuto dall\\\'Onu, Fayez al Serraj, e il suo mortale nemico, il generale Khalifa Haftar, che assedia la capitale, dovrebbero presentarsi a Berlino. «Ci saranno, ma a parte una foto opportunity si rischia a un buco nell\\\'acqua. Le posizioni sono troppo distanti» spiega la fonte da Tripoli.
Haftar non intende retrocedere di un passo dopo avere conquistato il quartiere di Abu Slim, che gli apre la strada verso il cuore della capitale. Non solo: vuole il disarmo delle milizie filo governative nel giro di tre mesi e non accetta i turchi in alcun ruolo bollandoli come «invasori ottomani».
Dall\\\'altra parte della barricata al Serraj punta al ritiro dell\\\'autoproclamato Esercito libico del generale sulle posizioni precedenti all\\\'attacco del 4 aprile, quando è scoppiata la guerra. In pratica relegato al Sud o addirittura di ritorno a Bengasi abbandonando anche la recente conquista di Sirte. I difensori di Tripoli contano sull\\\'aiuto militare turco, che ha già inviato 35 consiglieri militari promettendo un contingente di 5mila uomini. «Se gli attacchi di Haftar continueranno, la Turchia non si risparmierà dal dargli una lezione» ha annunciato il presidente Recep Tayyip Erdogan.
Nel frattempo i turchi hanno inviato in Libia i loro giannizzeri siriani. Tutti reclutati nel cosiddetto Jaish al-Watani (esercito nazionale) messo in piedi dal Mit, l\\\'intelligence turca, per combattere in Siria soprattutto i curdi. L\\\' «esercito» è un cartello di gruppi, anche di stampo jihadista, come la divisione Sultan Murad, la brigata Mutassim, la divisione Hamza, al-Jabha al-Shamiyyah, Aylaq al-Sham e Suqour al-Sham. Ai siriani verrebbero pagati 1500 dollari al mese e garantita la cittadinanza turca alla fine dell\\\'avventura. I giannizzeri sono inquadrati nell\\\'unità Omar Al Mukhtar, l\\\'eroe libico impiccato dagli italiani nel 1931. L\\\'operazione è fortemente avallata dai Fratelli musulmani che appoggiano e influenzano il governo di al Serraj con l\\\'obiettivo di controllare la Libia. Per questo motivo l\\\'Egitto del presidente Al Sisi, che considera la Fratellanza il nemico mortale, Emirati arabi, Arabia Saudita e Giordania che appoggiano militarmente Haftar, non vogliono che firmi alcun accordo di pace. E dietro questi paesi, legati a filo doppio con gli Stati Uniti, c\\\'è sicuramente lo zampino di zio Sam, che teme di rimanere tagliato fuori da un\\\'eventuale pax russa in Libia. Nelle ultime ore il presidente americano, Donald Trump, ha telefonato a Erdogan, «alleato» nella Nato, proprio per parlare della crisi libica. Ieri anche l\\\'assemblea della Lega araba ha votato contro l\\\'ingerenza turca bollandola come «una violazione del diritto internazionale». I nodi verranno al pettine a Berlino, ma sul terreno la tregua è già stata violata più volte. Il rischio è che da una speranza di pace si passi allo scontro finale.

video
23 marzo 2011 | TG5 | reportage
Diario dalla Libia in fiamme
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04 aprile 2011 | TG5 | reportage
Diario dalla Libia in fiamme
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21 settembre 2017 | Matrix | reportage
Migranti in gabbia
Per i migranti la Libia è un inferno. In 7000 sono detenuti nei centri del ministero dell’Interno in condizioni impossibili. L’Onu e le Ong, che denunciano le condizioni miserevoli, dovrebbero parlare di meno e fare di più prendendo in mano i centri per alzarne il livello di umanità. E non utilizzare le condizioni di questi disgraziati come grimaldello per riaprire il flusso di migranti verso l’Italia. Non solo: Tutti i dannati che vedete vogliono tornare a casa, ma i rimpatri, organizzati da un’agenzia dell’Onu, vanno a rilento perché mancano soldi e uomini. E chi ce la fa esulta come si vede in questo video dei nigeriani che tornano in patria girato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Dietro le sbarre a Tripoli un migrante ci mostra i segni di percosse e maltrattamenti. Nel centro di detenzione di Triq al-Siqqa, il più grande della capitale libica, ci sono anche le donne, intercettate prima di raggiungere l’Italia, con i loro bambini nati nei cameroni, che protestano con le guardie per il cibo pessimo ed insufficiente. Il responsabile del centro di Triq al-Siqqa si scaglia contro l’Europa e parla di “visite dei ministri degli esteri di Germania, Inghilterra, delegazioni italiane…. tanto inchiostro sui documenti, ma poi non cambia nulla, gli aiuti sono minimi”. Ogni giorno arrivano al centro nuovi migranti fermati in mare, che ci provano ancora a raggiungere l’Italia. In Libia sono bloccate fra mezzo milione e 800mila persone, in gran parte vessate dai trafficanti, che attraggono le donne come Gwasa dicendo che in Italia i migranti “hanno privilegi, rifugio e cibo”. In agosto le partenze sono crollate dell’86% grazie ad un accordo con le milizie che prima proteggevano i trafficanti. Nei capannoni-celle di Garyan i migranti mostrano i foglietti di registrazioni delle loro ambasciate per i rimpatri, ma devono attendere mesi o anche un anno mangiando improbabile maccheroni. E non sono solo musulmani. Nel centro di detenzione costruito dagli italiani ai tempi di Gheddafi i dannati dell’inferno libico invocano una sola parola: “Libertà, libertà”.

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radio

29 aprile 2011 | Spazio Radio | intervento
Libia
Piegare Gheddafi e preparare l'intervento terrestre
Gli americani spingono con insistenza per un maggiore coinvolgimento dell’Italia nel conflitto in Libia, non solo per passare il cerino politico agli europei. L’obiettivo finale è piegare il colonnello Gheddafi e far sbarcare una forza di interposizione in Libia, con ampia partecipazione italiana. Un modello stile ex Yugoslavia, dove il contingente occidentale è arrivato dopo l’offensiva aerea.

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26 agosto 2011 | Radio Città Futura | intervento
Libia
I giornalisti italiani rapiti a Tripoli


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26 aprile 2011 | Radio 101 | intervento
Libia
Con Luxuria bomba e non bomba
Il governo italiano, dopo una telefonata fra il presidente americano Barack Obama ed il premier Silvio Berlusconi, annuncia che cominciamo a colpire nuovi obiettivi di Gheddafi. I giornali titolano: "Bombardiamo la Libia". E prima cosa facevamo? Scherzavamo con 160 missioni aeree dal 17 marzo?

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10 marzo 2011 | Panorama | intervento
Libia
Diario dalla Libia
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02 marzo 2011 | Panorama | intervento
Libia
Diario dalla Libia
Una nube nera su tutta Tripoli

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