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07 marzo 2020 - Prima - Italia - Il Giornale
Mascherine, l’Ue abbandona l’Italia
Fausto Biloslavo
L\\\'Italia ha chiesto aiuto all\\\'Europa per le mascherine anti virus, ma gli stati membri si sono ben guardati dal rispondere dimostrando solidarietà. Anzi Francia, Germania e Repubblica Ceca hanno bloccato le esportazioni delle protezioni che servono come il pane. Però è stata l\\\'Italia a farlo per prima il 25 febbraio. L\\\'assurdo è che, nella settimana precedente al contagio da noi, mandavamo in Cina 2 tonnellate di protezioni individuali, comprese le mascherine, difficili già allora da reperire sul mercato, come «regalo del governo italiano» con tanto di bandierina tricolore. Non solo: la Farnesina del ministro degli Esteri Luigi Di Maio nasconde le informazioni sul carico come il costo e il numero di mascherine richieste dal Giornale.
Il governo italiano alla fine dello scorso mese aveva attivato il Meccanismo di protezione civile Ue per chiedere mascherine agli altri stati membri. Peccato che nessuno abbia risposto all\\\'appello. Il ministro della salute, Roberto Speranza, riunito ieri a Bruxelles con gli altri colleghi europei è convinto che «non dobbiamo farci la guerra con il solo rischio di far aumentare il prezzo» delle protezioni. «Non bastano le parole, ma fatti e tempi brevi. Per questo abbiamo chiesto maggiore coordinamento e velocità» ha aggiunto Speranza. La scorsa settimana è stata lanciata una richiesta di «acquisti congiunti di materiali sanitari protettivi» da venti stati membri della Ue. Lunedì si spera di ottenere delle risposte, ma in Italia servono milioni di protezioni. Il capo della protezione civile, Angelo Borelli, ha dichiarato che sono «state acquisite sul mercato 970mile mascherine. Dalla settimana prossima dovremmo avere la fornitura di almeno 2 milioni». Il primo marzo, però, aveva detto che il fabbisogno era di 5 milioni di mascherine. I fornitori non riescono a soddisfare le richieste come è capitato con un ordine di 4 milioni di dispositivi di protezione della regione Lombardia.
Alle forze di polizia sono state distribuite 37mila mascherine, ma erano rimaste di scorta solo 17mila. Altre 100mila dovevano arrivare in questi giorni dalla Svizzera e il capo della polizia, Franco Gabrielli ha garantito che da metà marzo verranno acquistate 50mila mascherine Ffp2 e Ffp3 a settimana. Si spera che sia così, ma il mercato non riesce a coprire l\\\'enorme domanda, che prima del virus veniva soddisfatta almeno per metà dalla produzione cinese. Oggi in Cina vengono sfornate 116 milioni di mascherine al giorno soprattutto per l\\\'emergenza interna.
Anche per questo suona paradossale il «dono» del governo italiano alla Cina di 2 tonnellate di dispositivi individuali di protezione ovvero tute, guanti, occhiali e mascherine. Le foto degli scatoloni imbarcati su un volo dell\\\'Onu decollato da Brindisi il 15 febbraio fanno vedere la bandiera tricolore appiccicata sugli imballaggi con la scritta in varie lingue «dono del governo italiano». Tutto materiale di importazione pagato dalla Cooperazione internazionale.
Sempre il 15 febbraio, come si legge sul sito della città di Firenze, imprenditori italiani, come Giorgio Moretti e Jacopo Mazzei e cinesi «si sono mossi per donare (a Pechino nda) mascherine utili contro la diffusione del Coronavirus grazie all\\\'input del sindaco Dario Nardella». E si ammette, pochi giorni prima dell\\\'emergere del contagio in Italia, che «la ricerca è stata molto complessa poiché la domanda di mascherine è molto cresciuta con l\\\'emergenza. Però ne sono state trovate 250.000 inviate a Shanghai».
Ieri il ministro Speranza ha sostenuto che «non abbiamo problemi di mascherine al momento in Italia». Peccato che nelle ultime 48 ore i pediatri milanesi hanno denunciato forniture irrisorie. Gli interventi chirurgici sono stati bloccati negli ospedali di Moscati di Avellino e Landolfi di Solofra per mancanza di mascherine. L\\\'ordine dei medici di Cosenza denuncia che «nessuna iniziativa organica e strutturale è stata ancora assunta per dotare tutti gli operatori sanitari dei necessari equipaggiamenti di difesa personale dal contagio (mascherine idonee, tute, visiere)».
[continua]

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31 ottobre 2021 | Quarta repubblica | reportage
No vax scontri al porto
I primi lacrimogeni rimbalzano sull'asfalto e arditi No Pass cercano di ributtarli verso il cordone dei carabinieri che sta avanzando per sgomberare il varco numero 4 del porto di Trieste. I manifestanti urlano di tutto «merde, vergogna» cercando pietre e bottiglie da lanciare contro le forze dell'ordine. Un attivista ingaggia lo scontro impossibile e viene travolto dalle manganellate. Una volta crollato a terra lo trascinano via oltre il loro cordone. Scene da battaglia urbana, il capoluogo giuliano non le vedeva da decenni. Portuali e No Pass presidiavano da venerdì l'ingresso più importante dello scalo per protestare contro l'introduzione obbligatoria del lasciapassare verde. In realtà i portuali, dopo varie spaccature, sono solo una trentina. Gli altri, che arriveranno fino a 1.500, sono antagonisti e anarchici, che vogliono la linea dura, molta gente venuta da fuori, più estremisti di destra. Alle 9 arrivano in massa le forze dell'ordine con camion-idranti e schiere di agenti in tenuta antisommossa. Una colonna blu che arriva da dentro il porto fino alla sbarra dell'ingresso. «Lo scalo è porto franco. Non potevano farlo. È una violazione del trattato pace (dello scorso secolo, nda)» tuona Stefano Puzzer detto Ciccio, il capopopolo dei portuali. Armati di pettorina gialla sono loro che si schierano in prima linea seduti a terra davanti ai cordoni di polizia. La resistenza è passiva e gli agenti usano gli idranti per cercare di far sloggiare la fila di portuali. Uno di loro viene preso in pieno da un getto d'acqua e cade a terra battendo la testa. Gli altri lo portano via a braccia. Un gruppo probabilmente buddista prega per evitare lo sgombero. Una signora si avvicina a mani giunte ai poliziotti implorando di retrocedere, ma altri sono più aggressivi e partono valanghe di insulti. Gli agenti avanzano al passo, metro dopo metro. I portuali fanno da cuscinetto per tentare di evitare incidenti più gravi convincendo la massa dei No Pass, che nulla hanno a che fare con lo scalo giuliano, di indietreggiare con calma. Una donna alza le mani cercando di fermare i poliziotti, altri fanno muro e la tensione sale alimentata dal getto degli idranti. «Guardateci siamo fascisti?» urla un militante ai poliziotti. Il nocciolo duro dell'estrema sinistra seguito da gran parte della piazza non vuole andarsene dal porto. Quando la trattativa con il capo della Digos fallisce la situazione degenera in scontro aperto. Diego, un cuoco No Pass, denuncia: «Hanno preso un mio amico, Vittorio, per i capelli, assestandogli una manganellata in faccia». Le forze dell'ordine sgomberano il valico, ma sul grande viale a ridosso scoppia la guerriglia. «Era gente pacifica che non ha alzato un dito - sbotta Puzzer - È un attacco squadrista». I più giovani sono scatenati e spostano i cassonetti dell'immondizia per bloccare la strada scatenando altre cariche degli agenti. Donne per nulla intimorite urlano «vergognatevi» ai carabinieri, che rimangono impassibili. In rete cominciano a venire pubblicati post terribili rivolti agli agenti: «Avete i giorni contati. Se sai dove vivono questi poliziotti vai a ucciderli».Non a caso interviene anche il presidente Sergio Mattarella: «Sorprende e addolora che proprio adesso, in cui vediamo una ripresa incoraggiante esplodano fenomeni di aggressiva contestazione». Uno dei portuali ammette: "Avevamo detto ai No Pass di indietreggiare quando le forze dell'ordine avanzavano ma non ci hanno ascoltati. Così la manifestazione pacifica è stata rovinata». Puzzer raduna le «truppe» e i rinforzi, 3mila persone, in piazza Unità d'Italia. E prende le distanze dagli oltranzisti: «Ci sono gruppi che non c'entrano con noi al porto che si stanno scontrando con le forze dell'ordine». Non è finita, oltre 100 irriducibili si scatenano nel quartiere di San Vito. E riescono a bloccare decine di camion diretti allo scalo con cassonetti dati alle fiamme in mezzo alla strada. Molti sono vestiti di nero con il volto coperto simili ai black bloc. La battaglia sul fronte del porto continua fino a sera.

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05 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
Islam, matrimoni forzati e padri assassini
Nosheen, la ragazza pachi­stana, in coma dopo le spranga­te del fratello, non voleva spo­sarsi con un cugino in Pakistan. Il matrimonio forzato era stato imposto dal padre, che ha ucci­so a colpi di mattone la madre della giovane di 20 anni schiera­ta a fianco della figlia. Se Noshe­e­n avesse chinato la testa il mari­to, scelto nella cerchia familia­re, avrebbe ottenuto il via libera per emigrare legalmente in Ita­lia. La piaga dei matrimoni com­binati nasconde anche questo. E altro: tranelli per rimandare nella patria d’origine le adole­scenti dove le nozze sono già pronte a loro insaputa; e il busi­ness della dote con spose che vengono quantificate in oro o migliaia di euro. Non capita solo nelle comuni­tà musulmane come quelle pa­chistana, marocchina o egizia­na, ma pure per gli indiani e i rom, che sono un mondo a par­te.

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10 giugno 2008 | Emittente privata TCA | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /2
Negli anni 80 lo portava in giro per Milano sulla sua 500, scrive Panorama. Adesso, da ministro della Difesa, Ignazio La Russa ha voluto visitare a Bolzano la mostra fotografica Gli occhi della guerra, dedicata alla sua memoria. Almerigo Grilz, triestino, ex dirigente missino, fu il primo giornalista italiano ucciso dopo la Seconda guerra mondiale, mentre filmava uno scontro fra ribelli e governativi in Mozambico nell’87. La mostra, organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti, espone anche i reportage di altri due giornalisti triestini: Gian Micalessin e Fausto Biloslavo.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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