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Artcolo
26 aprile 2020 - Il Fatto - Italia - Il Giornale
“Fisseremo il prezzo minimo” Ma è emergenza mascherine
Fausto Biloslavo
Nella fase 2 tutti dovranno portare le mascherine, che non solo costano dieci volte rispetto a prima dell\'emergenza, ma vengono tassate con l\'Iva al 22%. E non al 4%, l\'aliquota fiscale prevista per i beni primari come pane e latte. Federfarma, l\'associazione di categoria dei farmacisti, i sindaci e politici in maniera bipartisan hanno chiesto da giorni al governo di agire almeno sul taglio dell\'Iva. E finalmente ieri, il commissario straordinario per l\'emergenza Domenico Arcuri, ha annunciato che «nelle prossime ore fisseremo il prezzo massimo al quale le mascherine potranno essere vendute. E lo faremo sia con riferimento al prezzo che all\'aliquota fiscale connessa allo stesso». Il governo potrebbe anche abolire l\'Iva nel prossimo decreto legge sull\'emergenza, ma bisogna fare presto per cancellare gabelle che suonano odiose e fermare gli approfittatori della guerra contro il virus.
Il presidente dell\'Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro, ribadisce che «un prezzo fisso per le mascherine è una misura indispensabile e non più rinviabile. Non si può disporre l\'uso obbligatorio di un dispositivo a tutela della salute pubblica, e poi lasciare che ci possano essere speculazioni di mercato come purtroppo è accaduto in queste settimane».
Italia viva di Matteo Renzi ha lanciato una petizione per chiedere al governo di abbassare l\'Iva per le mascherine al 4% come la frutta, gli ortaggi, l\'olio d\'oliva, la pasta, protesi, carrozzine per gli invalidi e alcune prestazioni sanitarie a favore degli anziani. Lo stesso ministro della Salute, Roberto Speranza, ha caldeggiato l\'abbassamento dell\'Iva. La richiesta di mascherine tax free ha raccolto adesioni bipartisan da Liberi e uguali al senatore di Forza Italia Massimo Mallegni.
E soprattutto Federfarma invoca da giorni «di ridurre al 4% l\'Iva su mascherine rispetto all\'attuale aliquota del 22%, in modo tale da garantirne la vendita a prezzi equi e accessibili a tutti». E contro le speculazioni e alterazioni dei prezzi ribadisce che «le farmacie sono le prime vittime» che «si assoggettano a condizioni capestro di acquisto pur di rendere disponibili le mascherine».
Una tabella fornita al Giornale da una normale farmacia di Trieste mostra aumenti incredibili alla fonte. Prima dell\'emergenza il farmacista poteva acquistare una scatola di 50 mascherine chirurgiche per 4,93 euro. A causa della pandemia il prezzo è esploso a 57,95. Lo scorso anno si vendevano le poche mascherine richieste a 17 centesimi a pezzo con un ricarico della farmacia del 72%. Adesso il farmacista è costretto a venderla a 1,50 con un margine di appena il 29,42%. «Questa è la realtà. Nel 2019 compravo una mascherina a 10 centesimi adesso a 1,16. L\'incremento dal fornitore è di oltre il mille per cento. Per non parlare del fatto che siamo bersagliati da offerte strampalate di faccendieri, intralazzoni, produttori fai da te. Mi è capitato anche l\'offerta di mascherine da una carrozzeria», spiega Massimiliano du Ban, titolare di una storica farmacia triestina.
Federfarma, per prima, ha chiesto «al commissario Arcuri l\'indicazione di un prezzo imposto» si legge in un comunicato del 22 aprile. E chiedono meno burocrazia relativa ai marchi CE, che provocano spesso incursioni dei Nas.
Il problema è anche l\'enorme numero di protezioni che saranno necessarie per ripartire dopo l\'isolamento. Secondo il rapporto Imprese aperte, lavoratori protetti del Politecnico di Torino, serviranno 9 milioni di litri di gel igienizzante al mese, mezzo miliardo di guanti e un miliardo di mascherine.
[continua]

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04 luglio 2012 | Telefriuli | reportage
Conosciamoci
Giornalismo di guerra e altro.

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14 marzo 2015 | Tgr Friuli-Venezia Giulia | reportage
Buongiorno regione
THE WAR AS I SAW IT - L'evento organizzato dal Club Atlantico giovanile del Friuli-Venezia Giulia e da Sconfinare si svolgerà nell’arco dell’intera giornata del 10 marzo 2015 e si articolerà in due fasi distinte: MATTINA (3 ore circa) ore 9.30 Conferenza sul tema del giornalismo di guerra Il panel affronterà il tema del giornalismo di guerra, raccontato e analizzato da chi l’ha vissuto in prima persona. Per questo motivo sono stati invitati come relatori professionisti del settore con ampia esperienza in conflitti e situazioni di crisi, come Gianandrea Gaiani (Direttore responsabile di Analisi Difesa, collaboratore di diverse testate nazionali), Fausto Biloslavo (inviato per Il Giornale in numerosi conflitti, in particolare in Medio Oriente), Elisabetta Burba (firma di Panorama), Gabriella Simoni (inviata Mediaset in numerosi teatri di conflitto, specialmente in Medio Oriente), Giampaolo Cadalanu (giornalista affermato, si occupa di politica estera per La Repubblica). Le relazioni saranno moderate dal professor Georg Meyr, coordinatore del corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Università di Trieste. POMERIGGIO (3 ore circa) ore 14.30 Due workshop sul tema del giornalismo di guerra: 1. “Il reporter sul campo vs l’analista da casa: strumenti utili e accorgimenti pratici” - G. Gaiani, G. Cadalanu, E. Burba, F. Biloslavo 2. “Il freelance, l'inviato e l'addetto stampa in aree di crisi: tre figure a confronto” G. Simoni, G. Cuscunà, cap. B. Liotti

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05 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
Islam, matrimoni forzati e padri assassini
Nosheen, la ragazza pachi­stana, in coma dopo le spranga­te del fratello, non voleva spo­sarsi con un cugino in Pakistan. Il matrimonio forzato era stato imposto dal padre, che ha ucci­so a colpi di mattone la madre della giovane di 20 anni schiera­ta a fianco della figlia. Se Noshe­e­n avesse chinato la testa il mari­to, scelto nella cerchia familia­re, avrebbe ottenuto il via libera per emigrare legalmente in Ita­lia. La piaga dei matrimoni com­binati nasconde anche questo. E altro: tranelli per rimandare nella patria d’origine le adole­scenti dove le nozze sono già pronte a loro insaputa; e il busi­ness della dote con spose che vengono quantificate in oro o migliaia di euro. Non capita solo nelle comuni­tà musulmane come quelle pa­chistana, marocchina o egizia­na, ma pure per gli indiani e i rom, che sono un mondo a par­te.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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