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Esclusivo
01 luglio 2020 - Esteri - Venezuela - Panorama
Quell’ “oro blu” di Maduro arrivato anche in Italia
«Il regime di Maduro vuole arricchirsi con il coltan del Venezuela. Lo scorso anno ha esportato 5 tonnellate di “oro blu” a Trieste, ma il carico era stato sequestrato» racconta a Panorama da Madrid, Américo de Grazia, deputato dell’Assemblea nazionale dissolta dagli eredi di Hugo Chavez. «Il coltan proveniva dalle miniere di Parguaza. Nicolas Guerra, il figlio di Maduro, ne gestisce lo sfruttamento attraverso Wall marketing, una società di copertura» spiega De Grazia, che lo scorso anno è stato costretto a rifugiarsi nell’ambasciata italiana a Caracas per salvarsi dal carcere. Le autorità venezuelane hanno sempre smentito le accuse accusando il parlamentare “di diffamazione”. Il regime gli ha tolto l’immunità. Alla fine del 2019, grazie all’intervento del senatore Pierferdinando Casini, de Grazia è riuscito a riparare in Italia.
Il sequestro di 260 fusti di coltan in un container nel porto di Trieste del 18 marzo dello scorso anno è avvenuto per un’ipotesi di reato relativo ad autorizzazioni, etichettature e stoccaggio dell’oro blu, che ha una dose di radioattività naturale. Dal coltan si ricava il tantalio, metallo chiave per cellulari, computer, industria aerospaziale e armamenti. L’istruttoria dell’inchiesta è praticamente chiusa, il carico dissequestrato e trasferito a Milano. La vicenda potrebbe risolversi con il pagamento di una multa o un nulla di fatto, ma Panorama ha scoperto la rete venezuelana e gli intrecci che puntavano a dare il via all’affare dell’oro blu in Europa attraverso l’Italia. Forse non del tutto abortito.
Non può essere un caso, che pochi mesi dopo il sequestro del carico pilota di coltan a Trieste, per un valore di 300 mila dollari, il figlio di Maduro, Nicolás Maduro Guerra chiamato familiarmente Nicolasito, sia stato inserito dagli americani nella lista Ofac delle sanzioni. Gli Stati Uniti lo accusano espressamente «di avere approfittato delle miniere venezuelane assieme a Maduro e sua moglie Cilia Flores». Una fonte diplomatica di Panorama spiega che Nicolasito «è assolutamente coinvolto nello sfruttamento delle miniere. Il padre lo aveva delegato come braccio destro e dava non poco fastidio alle vecchie gerarchie chaviste».
De Grazia, esponente del partito di sinistra Causa radical, denuncia che «con il coltan vogliono ripetere lo stesso sistema utilizzato con l’oro per finanziare non il popolo venezuelano, ma il regime e i suoi rappresentanti». Il deputato che si è schierato con Juan Guaidó, autoproclamato presidente contro Maduro, sostiene «che probabilmente la scelta dell’Italia per la prima spedizione è legata alla maggioranza del Movimento cinque stelle nel governo».
 
Molti grillini sono schierati con Maduro e siamo l’unico paese Ue, assieme a Cipro e alla Slovacchia, a non avere riconosciuto Guaidó. Non solo: de Grazia dichiara che «sicuramente gli americani monitoravano l’arrivo del coltan a Trieste. L’intelligence Usa utilizza anche i satelliti per controllare le miniere e le spedizioni in partenza dal Venezuela».
L’importatore dell’oro blu a Trieste è Francisco José Blasini De Velazco, spregiudicato imprenditore venezuelano con potenti agganci nel regime, che gli hanno permesso di arricchirsi e dar vita all’operazione coltan con l’avallo di Maduro. Alle richieste di un incontro ha risposto picche, ma Panorama è in grado di ricostruire la vicenda con dettagli inediti.
 
Blasini, 45 anni, sceglie Trieste dove stabilirsi, quasi per caso, dopo un fortuito incontro a Cortina. Il 20 marzo 2018 atterra a Venezia una mini delegazione venezuelana composta da due tecnici minerari e un esponente governativo, che si presenta come viceministro. L’ambasciata venezuelana a Roma sostiene che non sa nulla della delegazione e «che si tratta di un’iniziativa privata». I tre vengono portati a Trieste e alloggiano al Savoia Excelsior Palace, un lussuoso hotel sul lungomare. Grazie all’avvocato Federico Pastor, vicino al centro destra, Blasini e gli ospiti incontrano il sindaco, che li porta nell’area ex Wartsila, dove il piano prevede di mettere in piedi uno stabilimento per il trattamento del coltan e produzione di microchip. E visitano pure il Sincrotrone, l’acceleratore di particelle del centro di ricerca Elettra sul Carso. La delegazione si ferma a Trieste dal 21 al 24 marzo, ma oggi nessuno sembra ricordarsi i nomi dei venezuelani.
 
Pastor è presidente in una società triestina nel mondo del caffè di proprietà al 100% di Blasini con ricavi per 1.732.316 € nel 2019. «La vicenda coltan è chiusa» spiega il legale «Tutto era avvenuto alla luce del sole». Però non vuole rivelare l’identità dei funzionari governativi venezuelani giunti a Trieste e fornire dettagli sul caso. Il primo cittadino, Roberto Dipiazza, si ricorda di Blasini «e di un gigante che lo seguiva come un’ombra. Penso fosse una guardia del corpo». Il 10 maggio 2018, un mese e mezzo dopo la missione a Trieste, il presidente Maduro annuncia la partenza “della prima esportazione del coltan dal Venezuela verso l’Italia». La República Bolivariana, che avrebbe più di 100 miliardi di dollari di riserve del prezioso minerale, decide di patrocinare l’operazione sottolineando che è legale.
 
Il giorno successivo all’annuncio del presidente è ben più interessante un filmato sull’oro blu e l’esportazione in Italia pubblicato su YouTube. Due ministri, Victor Cano, per le miniere e Josè Vielma Mora del Commercio estero annunciano con orgoglio il carico di «5 tonnellate di coltan» diretto «verso la città portuale di Trieste». Fra i dignitari presenti c’è anche il generale Jesùs Mantilla, in uniforme verde da battaglia, che non parla e si limita a battere le mani. Una fonte qualificata di Panorama a Caracas rivela che Blasini «ha operato grazie a Mantilla fin da quando era ministro della Salute e responsabile del Seguro social (l’Inps venezuelana, nda) e poi nel campo petrolifero». Secondo la fonte il venezuelano sbarcato a Trieste «viene incaricato da Mantilla di introdurre l’oro e il coltan nel mercato europeo». Non solo: Blasini avrebbe fondato una società con un altro uomo del generale, che aveva un patrimonio di 330 milioni dollari. Anche Mantilla finirà, nel marzo 2019, sulla lista nera americana dell’Ofac per l’intervento delle sue truppe durante il braccio di ferro fra Maduro e Guaidó.
Nonostante gli annunci ufficiali per oltre sei mesi il container di coltan sparisce dai radar. La nave che lo trasporta fa scalo nel porto di Cartagena, in Colombia, per poi solcare l’oceano. Alla fine arriva a Livorno e il container prosegue via terra fino a Trieste. Un mese prima, il 12 febbraio 2019 il senatore grillino, Gianluca Ferrara, intervenendo in aula dichiarava: «Il Venezuela ha le più cospicue riserve petrolifere al mondo. Ma non solo petrolio: anche coltan, oro e diamanti. È da anni che si sta tentando di destabilizzare questo Paese». Il resoconto stenografico registra gli applausi del gruppo pentastellato. Il giorno dopo Ferrara e altri grillini come Emilio Carelli e Alberto Airola si sono fatti immortalare assieme al viceministro venezuelano per l’Europa, Yvan Gil, in visita a Roma. Il momento è di massima tensione nella violenta crisi costituzionale del Venezuela.
Il 18 marzo la Guardia di Finanza sequestra nel porto di Trieste, dove non può transitare materiale radioattivo, le 5 tonnellate di coltan. Nessun giallo, ma la fonte diplomatica di Panorama non ha dubbi: «La procura si sarà mossa su input locale, ma a monte gli americani avranno allertato servizi italiani». E aggiunge: «A Trieste la zona franca e il porto che stava entrando nella via della seta cinese (il memorandum con Pechino è stato firmato cinque giorni dopo il sequestro nda) sono molto appetibili per i venezuelani».
Nell’aprile dello scorso anno, Debora Serracchiani, vicepresidente del Pd, lancia un’infuocata interpellanza al governo Conte 1 chiedendo se «Trieste è la porta per il commercio con Maduro». L’esecutivo non ha mai riposto se fosse informato o meno dell’esportazione dell’oro blu.
«Blasini non si vede più in giro come prima, ma all’inizio faceva notare la sua presenza a Trieste. Utilizzava un macchinone con targa americana e brindava a champagne» racconta chi l’ha incrociato nel capoluogo giuliano. Al suo fianco c’era, Ivian Sarcos, ex Miss Mondo venezuelana. Una bellezza difficile da non notare, anche se poi i due si sono separati. La reginetta di bellezza si era dichiarata chavista nel 2011 quando ottenne la corona. La modella con il cuore rosso è stata accolta da Hugo Chavez in persona all’ingresso del palazzo Miraflores, simbolo del potere a Caracas. In un paio di fotografie del 2012 l’ “eterno comandante” ostenta un baciamano a Sarcos e alle spalle c’è Nicolas Maduro, allora ministro degli Esteri.
A parte la piacevole compagnia di Miss Mondo, il venezuelano trapiantato a Trieste viene definito «come elemento altamente pericoloso» dalla fonte di Caracas. Sicuramente spregiudicato è stato bersaglio di attentati o tentati sequestri in Venezuela. Sempre illeso grazie alla pesante scorta. A Caracas si è costruito una casa bunker nella zona di Valle Arriba. Un suo ex socio lo accusa di averlo fatto arrestare ingiustamente in Canada per assumere il controllo della ditta Vangil ingenieros.
Blasini, nel gioco degli specchi, della «giungla» venezuelana, però, ha anche contatti con l’opposizione e proprietà a Miami, in Florida. Ramsés Reyes, leader politico alleato di Maduro, lo denuncia addirittura di essere un infiltrato legato agli americani. E per qualche giorno sarebbe finito in prigione per sospetti maneggi negli appalti. In Venezuela non mancano scambi di accuse e di doppio gioco, veri o falsi, nella guerra fra bande per il potere e gli affari.

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07 gennaio 2013 | Mattino5 | reportage
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