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Reportage
16 dicembre 2020 - Esteri - Slovenia - Panorama
Le foibe
TRIESTE - “Sono i cold case della storia. L’interesse scientifico è grande, ma non nego un coinvolgimento emotivo. Mia madre era un’esule istriana di Levade vicino a Portole - spiega Paolo Fattorini, esperto di Dna in ambito forense, a Panorama - Provare a identificare il numero più alto possibile delle vittime nascoste per tanti anni, dopo la seconda guerra mondiale, serve a voltare pagina, come sta facendo la Slovenia”. Il docente di medicina legale dell’Università di Trieste ha lavorato attraverso tecniche innovative a casi famosi come il giallo di via Poma e all’identificazione dei 366 corpi di migranti naufragati al largo dei Lampedusa nel 2013. Questa volta “è come scoperchiare fino in fondo un tabù durato decenni per motivi politici”. In collaborazione con Irena Zupanic Pajnic dell’università di Lubiana, Fattorini aiuta a dare un nome e un cognome a un centinaio di vittime del regime di Tito. Prigionieri inermi massacrati dopo la fine della seconda guerra mondiale. Joze Dezman, presidente della Commissione governativa slovena che ha alzato il velo sugli eccidi del 1945, dichiara che “abbiamo individuato fino ad oggi 750 fosse comuni, foibe, grotte utilizzate per i massacri. Stimiamo che siano state uccise solo sul nostro territorio almeno 100mila persone”. La piccola Slovenia è il cimitero nascosto più impressionante d’Europa: in media una fossa ogni 27 chilometri quadrati con 135 vittime ciascuna. Negli ultimi anni sono iniziate le riesumazioni dei resti umani e adesso si vuole dare un nome alle ossa, che la Jugoslavia di Tito aveva fatto di tutto per celare in eterno.
Le vittime sono soprattutto sloveni e croati che hanno combattuto al fianco di Hitler, ma anche partigiani monarchici serbi, anti comunisti e civili innocenti compresi bambini. Per spianare la strada alla Jugoslavia socialista è stato eliminato un quarto di milione di persone. E in Slovenia sono ancora sepolti nelle foibe o in fosse comuni centinaia, forse migliaia, di italiani, militari, civili ed i deportati da Trieste e Gorizia. “E’ stato un massacro multietnico di carattere politico. Fra i siti identificati almeno 180 sono su ex territorio del Regno d’Italia e forse un’ottantina potrebbero contenere anche resti di italiani - rivela Renato Podbersič, storico di Nova Gorica - Ma penso che altre 150 fosse o foibe sono ancora da scoprire soprattutto nel litorale sloveno”.
Luca Urizio, presidente della Lega nazionale di Gorizia, ha mobilitato speleologi, volontari e giornalisti per cercare i connazionali infoibati in Slovenia con l’aiuto degli esperti locali. E trovato documenti desecretati degli archivi della Farnesina come il rapporto del dopoguerra sull\' “esistenza di 3 foibe nella foresta di Tarnova” con tanto di mappa, mai esplorate. “Vogliamo fare il possibile per riportare in Italia i corpi dei deportati infoibati dai partigiani da Tito e permettere ai loro cari di posare finalmente un fiore sulla tomba dei nostri martiri” spiega Urizio a Panorama. La pandemia ha rallentato il progetto, che la Lega nazionale presenterà alla regione Friuli-Venezia Giulia, ma sono già state fatte delle “missioni” esplorative, che riprenderanno quando si tornerà a circolare liberamente.
L’obiettivo ancora più ambito sarebbe identificare le vittime come gli specialisti di Lubiana e Trieste stanno già facendo con 81 resti riesumati di militari slavi prigionieri trucidati dai partigiani. “Nelle ossa di 75 anni fa sepolte in fosse comuni o disperse nelle foibe il livello di degrado del Dna che si può estrarre è alto - spiega Fattorini - Ma con l’utilizzo delle metodiche next-generation siamo riusciti ad ottenere dati genetici che permettono un’identificazione certa”. I campioni di Dna sono stati estratti da altrettanti femori di 57 soldati sloveni, croati e serbi rinvenuti nella fossa Konfin I nel comune di Loski Potok nella Bassa Carniola.
“Su 15 casi che non avevano dato risultati abbiamo avuto successo con il metodo next-generation. E adesso stiamo lavorando sul Dna di altri 24 soldati” dichiara il docente del dipartimento di Medicina dell\'università di Trieste. “Grazie a questo procedure innovative siamo in grado di scoprire anche caratteristiche della vittima come colore degli occhi e dei capelli - spiega Fattorini - Ma si può stabilire pure se aveva le lentiggini e calvizie precoce per risalire all’identità dello scheletro”.
Irena Zupanic Pajnic dell’Istituto di medicina legale di Lubiana, ha inviato a Panorama le pubblicazioni sui casi già identificati come la decina di membri di una famiglia, compresi adolescenti ed un donna in cinta, ritrovati in una fossa comune. E la storia di Rado Hribar, banchiere e industriale con sua moglie Ksenya, prima pilota iugoslava, liquidati nel 1944. Poi sepolti per non venire mai più ritrovati vicino al loro castello di Strmol.
“A parte l’aspetto scientifico, l’identificazione di chi non è più tornato a casa chiude una ferita per i familiari e permette una giusta sepoltura al proprio caro, dove deporre un fiore” sottolinea Fattorini.
I recenti ritrovamenti in Slovenia e Croazia delle vittime celate di Tito hanno spinto il senatore Maurizio Gasparri di Forza Italia a scrivere al presidente del Consiglio Giuseppe Conte. “Ritengo che sarebbe doveroso continuare a fare luce su questi tragici fatti con un deciso intervento dell’Italia - chiede Gasparri - Occorre procurare fondi adeguati per lo svolgimento di tali ricerche. (…) Sicuramente esistono fosse comuni nei dintorni di Borovnica, di Lubiana e di Maribor dove furono internati (…) a guerra finita oltre 3.000 italiani e di cui almeno il 50% non fece più ritorno”. La lettera continua spiegando che “esistono altri campi, foibe e fosse comuni in Istria rimaste insondate e che potrebbero contenere i resti di connazionali, secondo alcune fonti almeno 10.000 italiani”. Gasparri conclude ricordando che “l’Italia ha speso di recente ingenti fondi per il recupero di salme e di natanti al largo di Lampedusa. Con analoga sensibilità si dovrebbe agire per le vicende delle foibe”.
Il 22 settembre ha risposto il sottosegretario agli Esteri, Ivan Scalfarotto assicurando che l’esecutivo segue le riesumazioni in Slovenia e Croazia. E confermando che “qualora gli esiti di tali complesse ricerche dovessero far emergere o confermare elementi riconducibili alla presenza di vittime italiane tra i ritrovamenti, il Governo non mancherà di valutare le iniziative più opportune da intraprendere. Si tratta di questione di primaria importanza nel quadro di una pagina della storia che non può essere dimenticata”.
Prima dello stop imposto dalla pandemia Panorama ha seguito il presidente della Lega nazionale di Gorizia e una coppia di speleologi nell’esplorazione della zona slovena di confine. U. M. si è calato nelle foibe sotto una pioggia battente. Negli anni novanta aveva trovato in Istria i resti di una ventina di infoibati: “Alcune ossa erano legate con il filo dei ferro”. Lo speleologo ha esplorato una prima foiba non registrata indicata dagli sloveni, dove nel villaggio vicino gli anziani ancora ricordano “le grida in italiano delle vittime scaraventate nella voragine” dai partigiani di Tito. “Bisognerebbe scavare, ma purtroppo sul fondo c’è un cumulo di tronchi impossibile da spostare” spiega lo speleologo triestino. In un’altra foiba già identificata dalla Commissione  governativa slovena sulle fosse nascoste ha trovato immondizia, ma soprattutto pericolosi proiettili di artiglieria. “La terza, vicina a una strada sterrata, è ostruita circa a metà da rifiuti di grosse dimensioni come una vecchia automobile e una lavatrice. Purtroppo le cavità più accessibili sono state usate nel tempo come discariche” spiega U. M..
Un rapporto della segreteria generale della Farnesina del 9 gennaio 1946 firmato dal capo di gabinetto, E. Carlucci, individuò  “tre foibe nella foresta di Tarnova”. Grazie alle informazioni di “un ex partigiano di Tito proveniente dalla Venezia Giulia, che proseguiva per la Svizzera avendo disertato da poco”. Non solo precisava l’esatta posizione, che ha permesso di realizzare una mappa dettagliata allegata all\'informativa, ma indicava pure alcuni nomi delle vittime come “l’ing. Caldana con la moglie, il Sig. Caffarelli Ciro, Montante Pietro. Si presume che detta foiba contenga circa 50 cadaveri”. Un’altra si trova “sulla sinistra della casa forestale” a due chilometri da un paesino. Per la terza “nel 1944 e 1945 diverse persone sono state gettate ancora vive, altre invece sono state uccise con un colpo di pistola alla testa. Detta foiba è la più grande e contiene certamente qualche centinaio di cadaveri”. Il passaggio più inquietante dell’informativa sulla foresta di Tarnova deriva dalle voci che circolavano fra i partigiani: “Sono state scavate tre grandi fosse comuni e quasi tutti i deportati della provincia di Gorizia e di Trieste sono stati colà soppressi”.
Nella prima missione esplorativa nell’area è stata individuata una cavità ostruita da grossi massi coperti dalla vegetazione cresciuta nel tempo, dove sarebbero stati gettati altri prigionieri. Attorno ci sono lumini e candele portati per i morti. “Si può scavare  - spiega U. M. - e se ci sono degli infoibati è probabile che tutto sia rimasto come allora”. Quando il virus ci darà tregua è prevista la discesa in una foiba già identificata “che ha un primo salto di 60 metri, poi un ghiaione pensile e altri sbalzi fino a 130 metri di profondità”. Urizio è convinto: “Ho incontrato diverse volte una nota storica d’oltre confine, che ha rivelato come siano stati gettati nella voragine almeno 200 fra civili e militari italiani. Le viscere slovene sono un grande cimitero nascosto a causa dei massacri di Tito. Una tragedia che non ci divide, ma unisce ai popoli slavi trucidati nel dopoguerra””.
Fausto Biloslavo
[continua]