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Esclusivo
22 dicembre 2010 - Esteri - Afghanistan - Il Giornale
Emal, l'afghano slavato dall'Italia e dimenticato dalla burocrazia
Per gli studenti in piazza, che giurano di battersi per il loro futuro ma rischiano di di­fendere il passato. Per il sinda­cato unico dei giornalisti, sempre pronto a mobilitarsi contro le minacce alla libertà di stampa vere o presunte. Per Emergency, che nono­stante tutte le sue pecche fa del bene in giro per il mondo. Per la corazzata Potëmkin di Repubblica , che si erge a faro del giornalismo della schiena dritta. Ci sembra giusto ricor­dare la storia di Emal Naqsh­bandi. Un giovane afghano, studente nel nostro paese, fra­tello più piccolo di Adjmal, l’aiutante dell'’nviato Danie­le Mastrogiacomo rapito nel 2007 da una banda di tagliago­le talebani. Non solo un inter­prete, ma un giornalista, che per noi occidentali, in una ter­ra difficile e pericolosa come l'Afghanistan, si trasforma in occhi e orecchie. In gergo si chiamano fixer o stringer, ma una volta pagati per il loro fon­damentale lavoro ce ne di­mentichiamo.
Daniele tornò a casa, in cambio di cinque capibasto­ne di mullah Omar. Adjmal
l’hanno decapitato perché in quanto afghano valeva poco e sapeva troppo. Guarda caso nessuna fuga di notizia, targa­ta Julian Assange, ci ha anco­ra r­ivelato l’ira dell’ambascia­ta americana a Kabul, che ave­va il dente avvelenato con il governo Prodi. I diplomatici Usa, scrivendo a Washin­gton, accusavano l’esecutivo di centrosinistra di essersi pie­gato alle richieste talebane a Emergency e Repubblica . Al­la fine il governo afghano rila­sciò cinque prigionieri amici dei tagliagole, in cambio di Mastrogiacomo. La storia è quella di Emal, venuto in Italia con la promes­sa di una borsa di studio per 5 anni all’università di Perugia. Una specie di compensazio­ne per il fratello morto in un gioco più grande di lui. In Oc­cidente può sembrare quasi barbaro, ma a certe latitudini il prezzo del sangue è una spe­cie di debito d’onore.
Il giovane afghano nelle pro­messe italiane ci ha creduto, ma grazie alle pastoie della burocrazia rischiava di venir dimenticato. Pochi giorni fa ha inviato un accorato mes­saggio di posta elettronica scritto in uno stentato, quan­to tenero italiano a Toni Ca­puozzo. L’unico giornalista che si è occupato di lui e per questo il fratello di Adjmal gli ha chiesto aiuto. La storia di Adjmal e del fratellino mino­re che voleva studiare in Ita­lia, infatti. è stata velocemen­te dimenticata da tutti. E al­l’­ambasciata a Kabul non tro­vavano più la sua pratica.
«Fri­zioni burocratiche», spiega­no da Roma, gli hanno già le­vato un mese di borsa di stu­dio che per l’an­no prossimo sembrava del tutto cancellata. Poi, ieri, la Far­nesina ha con­f­ermato a Il Gior­nale che la pro­messa di conti­nuare a studiare in Italia verrà onorata. Il giova­ne afghano sogna solo di con­tinuare a costruirsi un futuro nel nostro Paese, che in fon­do qualcosa gli deve per co­me abbiamo dimenticato suo fratello nelle grinfie dei tale­bani in nome di una fredda ra­gion di stato.
Non vedremo in piazza a Roma le foto di Emal e di Adj­mal decapitato durante le ma­nifestazioni studentesche, non ci risulta che il sindacato dei giornalisti abbia mai in­detto la mobilitazione per il caso del giovane studente af­ghano e tantomeno che
Re­pubblica o Emergency siano intervenuti per garantirgli un futuro migliore. Se lo facesse­ro o l'avessero già fatto senza pubblicità tanto di cappello.
Nessun ostacolo burocrati­co deve far dimenticare che le promesse di un Paese serio, anche se decise da altri, van­no comunque mantenute. E a tutti va ricordato che il regalo sotto l’albero per Emal, di una borsa di studio doverosa­mente confermata, è solo un piccolo segnale per il fratello di una vittima dimenticata dei tagliagole. Gli stessi che i nostri soldati combattono ogni giorno in Afghanistan.

video
16 aprile 2010 | SkyTG24 | reportage
Luci e ombre su Emergency in prima linea
Per la prima volta collegamento in diretta dal mio studio a Trieste. Gli altri ospiti sono: Luca Caracciolo di Limes, il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica e l'ex generale Mauro Del Vecchio. In collegamento Maso Notarianni, direttore di Peacereporter

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16 dicembre 2012 | Terra! | reportage
Afghanistan Goodbye
Dopo oltre dieci anni di guerra in Afghanistan i soldati italiani cominciano a tornare a casa. Questa è la storia del ripiegamento di 500 alpini dall’inferno di Bakwa, una fetta di deserto e montagne, dimenticata da Dio e dagli uomini, dove le penne nere hanno sputato sangue e sudore. I famigerati ordigni improvvisati chiamati in gergo Ied sono l’arma più temibile dei talebani che li sotterrano lungo le piste. Questo è il filmato ripreso da un velivolo senza pilota di un blindato italiano che salta in aria. A bordo del mezzo con quattro alpini del 32imo genio guastatori di Torino c'ero anch'io. Grazie a 14 tonnellate di corazza siamo rimasti tutti illesi. Il lavoro più duro è quello degli sminatori che devono aprire la strada alle colonne in ripiegamento. Il sergente Dario Milano, veterano dell’Afghanistan, è il cacciatore di mine che sta davanti a tutti. Individua le trappole esplosive da un mucchietto di terra smossa o da un semi invisibile filo elettrico del detonatore che spunta dalla sabbia. Nel distretto di Bakwa, 32 mila anime, questo giovane afghano rischia di perdere la gamba per la cancrena. Il padre ha paura di portarlo alla base italiana dove verrebbe curato, per timore della vendetta talebana. La popolazione è succube degli insorti e dei signori della droga. Malek Ajatullah è uno dei capi villaggio nel distretto di Bakwa. La missione del capitano Francesco Lamura, orgoglioso di essere pugliese e alpino è dialogare con gli afghani seduto per terra davanti ad una tazza di chai, il tè senza zucchero di queste parti. Malek Ajatullah giura di non saper nulla dei talebani, ma teme che al ritiro delle truppe italiane il governo di Kabul non sia in grado di controllare Bakwa. Tiziano Chierotti 24 anni, caporal maggiore del 2° plotone Bronx era alla sua prima volta in Afghanistan. Una missione di sola andata. La polizia afghana cerca tracce dei talebani nel villaggio di Siav, ma gli insorti sono come fantasmi. Il problema vero è che nessuno vuole restare a Bakwa, dove in tutto il distretto ci sono solo 100 soldati dell’esercito di Kabul. Il maggiore Gul Ahmad ha arrestato tre sospetti che osservavano i movimenti della colonna italiana, ma neppure con il controllo dell’iride e le impronte digitali è facile individuare i talebani. Il caporal maggiore Erik Franza, 23 anni, di Cuneo è alla sua seconda missione in Afghanistan. Suo padre ogni volta che parte espone il tricolore sul balcone e lo ammaina solo quando gli alpini del 2° reggimento sono tornati a casa. Per Bakwa è passato anche il reggimento San Marco. I fucilieri di marina, che garantiscono il servizio scorte ad Herat, hanno le idee chiare sulla storiaccia dei due marò trattenuti in India. Anche se ordini da Roma li impongono di non dire tutto quello che pensano. Per Natale i 500 alpini di base Lavaredo saranno a casa. Per loro è l’addio all’Afghanistan dove rimangono ancora 3000 soldati italiani.

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27 novembre 2001 | TG5 - Canale 5 | reportage
La caduta di Kunduz
La caduta di Kunduz

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[altri video]
radio

13 aprile 2010 | Radio Città Futura | intervento
Afghanistan
La sorte dei tre italiani di Emergency in manette
Gli uomini dei servizi afghani puntano il dito contro il chirurgo Marco Garatti e Matteo D’Aira, il capo infermiere, mentre il giovane Matteo Pagani non sarebbe coinvolto e potrebbe venir ben presto scagionato.

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16 giugno 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento
Afghanistan
Il "tesoro" nascosto
L’Afghanistan è un paese disgraziato, povero e senza risorse, a parte l’oppio? Assolutamente no. Il sottosuolo afghano nasconde un forziere di minerali che vale 1 trilione di dollari. In cifre europee stiamo parlando di 810 miliardi di euro. Oro, gemme, rame, ferro ed il prezioso litio sono presenti in quantità tali da poter trasformare l’Afghanistan in una delle maggiori “potenze” minerarie al mondo. Lo hanno scoperto i geologi assoldati dal Pentagono studiando vecchie carte tracciate dai sovietici, che invasero il paese negli anni ottanta. Una ricchezza naturale capace di risollevare economicamente l’Afganistan e magari farlo uscire dal tunnel delle guerra.

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19 aprile 2010 | SBS Australia | intervento
Afghanistan
Liberati i tre operatori di Emergency
Svolta nella ultime ore dopo una settimana di passione.

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18 maggio 2010 | SBS Australia | intervento
Afghanistan
Trappola esplosiva uccide due alpini
L’Afghanistan è la nostra trincea, dove 3300 soldati italiani combattono i talebani e portano aiuti e sviluppo alla popolazione. Dal 2001 abbiamo perso 22 uomini per cercare di garantire sicurezza al paese. Gli ultimi due caduti sono il sergente Massimiliano Ramadù ed il caporal maggiore Luigi Pascazio. La mattina del 17 maggio sono saltati in aria su una trappola esplosiva lungo la “strada maledetta”. Una pista in mezzo alle montagne di sabbia che porta da Herat, il capoluogo dell’Afghanistan occidentale, a Bala Murghab, dove i soldati italiani tengono con le unghie e con i denti una base avanzata. I caduti fanno parte del 32° reggimento genio guastatori della brigata Taurinense. Due loro commilitoni, il primo caporal maggiore Gianfranco Scirè ed il caporale Cristina Buonacucina sono rimasti feriti dall’esplosione che ha sconquassato il blindato Lince su cui viaggiavano. L’alpina è la seconda donna soldato ferita in Afghanistan.

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16 aprile 2010 | SBS Australia | intervento
Afghanistan
I tre di Emergency trasefriti nella capitale afghana
Trasferiti a Kabul i tre medici di Emergency. Sembrava che la soluzione fosse ancora lontana.

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