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Intervista esclusiva
31 agosto 2021 - Il fatto - Afghanistan - Il Giornale
“Piango gli amici al di là di quel muro”
Il generale Luciano Portolano veterano delle missioni più dure racconta al Giornale la drammatica evacuazione degli afghani. Da Roma, al Comando operativo di vertice interforze, ha gestito in prima persona la difficile operazione dormendo poche ore per notte.
Come si è arrivati all\'evacuazione all\'ultimo minuto?
«Era stato previsto il trasferimento dei nostri interpreti e collaboratori da Herat a Kabul ed in Italia con aerei civili, ma la situazione è precipitata in tutto l\'Afghanistan. Già alla cerimonia dell\'ammaina bandiera ad Herat alla presenza del ministro della Difesa Guerini i talebani erano all\'interno dell\'area che ci era stata assegnata».
Quando i talebani sono arrivati a Kabul cosa avete fatto?
«Ci siamo trovati in una totale emergenza con dei piani di evacuazione che non riflettevano più la realtà sul terreno. Abbiamo rimodulato tutto facendo partire l\'operazione Aquila Omnia».
Chi e quanti abbiamo messo in salvo?
«È diventata un\'evacuazione di massa che ha portato via non solo interpreti ed ex collaboratori, ma attivisti, sportivi, intellettuali, organizzazioni non governative, religiosi. Sono stati trasferiti in Italia 4980 afghani».
L\'aeroporto era circondato da una massa umana di 20mila persone in fuga. Come avete affrontato il caos?
«È stato un momento critico. Siamo riusciti ad aprire un corridoio umanitario, dedicato, verso l\'Abbey gate (uno dei cancelli dello scalo, nda), dove purtroppo è avvenuta la strage del terrorista suicida».
Come portavate dentro gli afghani?
«Attraverso le liste di nomi che avevamo e altre che ci sono arrivate contattavano anche da Roma i capi dei nuclei familiari da mettere in salvo con gli interpreti già arrivati in Italia che hanno lavorato al mio fianco. Personalmente mantengo i contatti con 200-250 capi famiglia».
Via whatsapp?
«Ho tutti i messaggi che ci siano scambiati con le paure, i timori, le emozioni, le angosce. Dovevamo guidarli fornendo indicazioni su dove andare e gli orari di accesso per favorire l\'estrazione da parte delle squadre sul posto».
In pratica come facevano?
«I nostri uomini con il generale Faraglia li prendevano di peso da un canale, che arrivava fino al gate, una fogna, e li tiravano letteralmente su dal muro di cinta».
Quali casi non dimenticherà mai?
«Ufficiali che erano arruolati nelle forze speciali o interpreti che inviavano comunicazioni drammatiche. Qualcuno si nascondeva nei pozzi con la famiglia, altri nei forni per sfuggire ai talebani. Poi in prossimità del cancello d\'ingresso si stabiliva il contatto a tre: noi da Roma, gli afghani da salvare, il personale sul muro per portarli dentro».
E c\'erano anche bambini.
«Tanti bambini, anche di sei mesi rimasti nella prossimità del cancello d\'ingresso per giorni. Ne abbiamo salvati 1400».
E una volta in salvo qual è stata la reazione?
«Non ha prezzo la gioia dei messaggi di ringraziamento degli afghani che ti scrivono ci avete salvato la vita. La soddisfazione più grande? Essere chiamato brother, fratello, dagli afghani».
Quanti sono rimasti indietro?
«Se contiamo gli studenti, le organizzazioni non governative, altri afghani in pericolo. Direi altrettanti rispetto a quelli evacuati».
E adesso cosa bisogna fare?
«Nessuno verrà lasciato indietro, ma l\'importante è non isolare l\'Afghanistan. Stiamo creando un database di tutti quelli che hanno ancora bisogno del nostro aiuto. Si sono aperte delle vie di fuga con il Pakistan e Iran».
Quando lo Stato islamico ha attaccato dov\'erano i militari italiani?
«Esistevano degli allarmi molto precisi su un imminente attentato. Qualche minuto prima erano proprio nella zona del canale dove è avvenuta la strage. Stavano portando via gli afghani tirati dentro dalla bolgia per scortarli al nostro hangar».
Cosa le rimane di queste settimane di fuoco?
«Da una parte la gioia di avere potato in Italia dei collaboratori che avranno una nuova vita, ma dall\'altra l\'angoscia di non avere potuto fare di più. Lo dico con un nodo alla gola: al di là del muro dell\'aeroporto sono rimasti tanti miei amici».
[continua]

video
16 novembre 2001 | Studio Aperto - Italia 1 | reportage
I talebani perdono Jalalabad
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13 marzo 2011 | Terra! | reportage
Cicatrici
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15 novembre 2001 | TG5 - Canale 5 e Studio Aperto - Italia 1 | reportage
Si combatte a sud di Kabul
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25 novembre 2010 | Nuova Spazio Radio | intervento
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Il talebano impostore ai segretissimi colloqui di pace
“Tu Vuo' Fa' O' Talebano” era il divertente tormentone musicale che prendeva in giro Osama bin Laden nel 2001, ma questa volta in Afghanistan la farsa ha superato l’immaginazione. Un impostore si è presentato al segretissimo tavolo della pace con il governo afghano spacciandosi per il numero due di mullah Omar, il leader guercio dei talebani. Nella sceneggiata tragicomica ci è cascata anche la Nato, che ha prelevato con i suoi aerei il truffatore in Pakistan scortandolo in Afghanistan.

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14 novembre 2001 | Radio 24 | reportage
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La musica che cambia
Nei negozi della capitale liberata non si vende più la cantilena dei versi del Corano, ma la melodiosa musica indiana, proibita dai talebani.

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12 novembre 2001 | Radio 24 Gr | reportage
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In prima linea in Afghanistan dopo l'11 settembre. L'attacco su Kabul alle prima ore dell'alba con il sottofondo dei razzi terra terra lanciati dai mujaheddin sulle linee talebane a nord della capitale

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La crisi elettorale
Dopo il boicottaggio del secondo turno di Abdulla Abdullah, il rivale tajiko del presidente pasthun Hamid Karzai

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11 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ A caccia dei razzi talebani
A caccia di mortai e razzi talebani che colpivano Tobruk, la base più avanzata dei paracadutisti italiani nella famigerata provincia di Farah. E’ questa la missione del 2° plotone Jolly guidato dal maresciallo Cristiano Nicolini, 35 anni, di Ancona. Si esce di notte con i visori notturni montati sull’elmetto che fanno sembrare il paesaggio afghano ancora più lunare di quello che è, con una tinta verdognola. Si va verso Shewan la roccaforte dei talebani, dove gli inosrti hanno scavato tunnel e cunicoli che collegano le case, le postazioni trincerate e spuntano a 300 metri dall’abitato in campo aperto. Come i vietcong. Un reticolo mortale per i parà che da queste parti hanno combattuto battaglie durissime. “Negli ultimi due mesi le trappole esplosive e le imbosctae sono aumentate fortmente, in vista delle elezioni” spiega il maresciallo Nicolini. Per il voto del 20 agosto che eleggerà il nuovo presidente afghano sono previsti 1089 seggi elettorali nel settore ovest del paese controllato dagli italiani. Almeno il 15% è a rischio. I seggi vengono ricavati in scuole e moschee ed i parà li hanno ispezionati tutti nell’ostica provincia di Farah. In alcuni casi neppure esistevano, in un villaggio gli afghani non avevano idea che ci fossero le elezioni e da altre parti non hanno trovato anima disposta a parlare del voto. La maggioranza dei seggi, però, sarà aperta con l’aiuto della Folgore. Fausto Biloslavo da base Tobruk, Afghanistan occidentale per Radio 24 Il Sole 24 ore

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