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30 dicembre 2009 - Il Fatto - Afghanistan - Il Giornale
Feriti due soldati italiani Ora a Kabul ci sparano anche gli afghani
Il soldato afghano si stava aggirando nei dintorni dell’elicottero atterrato nella base avanzata italiana di Bala Murghab, come un avvoltoio sulla preda. Un suo commilitone forse aveva intuito e ha cercato di fermarlo prendendolo alle spalle. «Il militare afghano si è messo a urlare come un pazzo, sembrava drogato», racconta una fonte del Giornale. Imbracciava un fucile mitragliatore kalashnikov, l'arma in dotazione all’Ana, l'esercito nazionale afghano. Il commilitone non è riuscito a bloccarlo prima che partisse una raffica contro gli alleati della Nato, che stavano scaricando materiale logistico da un elicottero di trasporto Hind Mi 8.
Un militare americano, falciato dai proiettili, è morto. Due italiani sono rimasti leggermente feriti da alcune schegge provocate dal rimbalzo dei colpi. L'inaspettata tragedia è avvenuta ieri alle 11.30 afghane, le 8 del mattino in Italia. L'afghano non ha avuto il tempo di tirare altre raffiche, perché è stato immobilizzato dai suoi commilitoni e dai militari italiani. Qualcuno gli ha sparato ferendolo a una gamba. Se non fosse stato così avrebbe scaricato l'arma sui soldati italiani provocando una strage.
«Non escludiamo nulla: né la matrice manifestamente ostile, né l'attimo di follia. Stiamo compiendo tutti gli accertamenti per capire se ce l'aveva proprio con le forze Isaf (il contingente Nato in Afghanistan, ndr) oppure covava problemi personali o magari familiari», spiega al Giornale il tenente colonnello Marco Mele, portavoce del contingente italiano a Herat, nell'Afghanistan occidentale. «Il gesto era comunque volontario, non accidentale e rivolto presumibilmente contro le forze Isaf e dell'Ana» ribadisce Mele. Il generale afghano Khair Mohammad Khawari sospetta che l'omicida abbia problemi mentali.
I due militari feriti fanno parte dei «dimonios», i Diavoli rossi del 151° reggimento di fanteria della brigata Sassari. In patria sono di stanza a Cagliari. Uno ha riportato una ferita alla coscia sinistra e l'altro alla destra, oltre a un'ammaccatura al dito di una mano. Dopo essere stati medicati all'infermeria da campo hanno ripreso servizio incassando l'apprezzamento del ministro della Difesa Ignazio La Russa. Nella stessa infermeria è stato curato l'afghano che voleva ucciderli.
Bala Murghab, nel nord del settore controllato dagli italiani, è un nodo strategico di comunicazione. Nella vallata e dintorni non mancano sacche di talebani, che pure in questi giorni hanno lanciato qualche colpo di mortaio attorno alla base avanzata italiana. Il fattaccio di ieri non è un caso isolato. Le forze di sicurezza afghane sono infiltrate dai talebani, ma solitamente è più porosa la polizia.
A Bala Murghab, invece, ha sparato un soldato dell'esercito, che addestriamo a Herat presso la base del 207° corpo d'armata. Per la missione Isaf l'episodio più grave è avvenuto il 3 novembre, quando un ufficiale di polizia nella provincia di Helmand ha sparato a freddo uccidendo il suo comandante, il vice e cinque soldati britannici. Il pluriomicida si chiama Gulbuddin e secondo i capi tribù locali era legato da tempo ai talebani. Gli afghani rivendicano spesso «l’infiltrazione» nelle forze di sicurezza afghane.
Il 28 marzo nel nord del Paese, a Mazar i Sharif, un soldato afghano ha ucciso due militari Usa ferendone un terzo.
Non sempre si tratta di quinte colonne collegate ai talebani. In alcuni casi sono stati problemi personali e familiari, come la prolungata distanza da casa, a far impazzire gli alleati locali. Non solo: gli afghani sono suscettibili e un comportamento normale per gli occidentali può venire interpretato come una grave offesa, che va lavata con il sangue. Pure a Camp Zafar (Vittoria nella lingua locale), vicino a Herat, dove gli italiani addestrano l'esercito locale, è scattato il grilletto, ma per motivi ben diversi. Un sottufficiale americano aveva scoperto che alcuni afghani facevano la cresta sugli approvvigionamenti. Quando ha minacciato di denunciare la corruzione lo hanno ammazzato.

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07 giugno 2010 | Porta a Porta | reportage
Un servizio sulle guerre di pace degli italiani
Le “guerre” di pace degli italiani sono iniziate nel 1982, con la prima importante missione all’estero nel martoriato Libano, dopo il conflitto fra israeliani e palestinesi. Oggi sono quasi diecimila i soldati italiani impegnati nel mondo in venti paesi. Oltre alla baionette svolgiamo un apprezzato intervento umanitario a favore della popolazione. Dall’Africa, ai Balcani, al Medio Oriente, fino all’Afghanistan non sempre è una passeggiata per portare solo caramelle ai bambini. Nel 1991, durante la guerra del Golfo, un caccia bombardiere italiano è stato abbattuto dalla contraerea irachena. Il pilota Gianmarco Bellini ed il navigatore Maurizio Cocciolone sono rimasti per 45 giorni nelle cupe galere di Saddam Hussein. Quella in Somalia, è stata una missione sporca e dura, macchiata da casi isolati di torture e maltrattamenti. Al check point Pasta, a Mogadiscio, i paracadutisti della Folgore hanno combattuto la prima dura battaglia in terra d’Africa dopo la seconda guerra mondiale. Alla fine del conflitto etnico siamo intervenuti a pacificare la Bosnia. Per il Kosovo, nel 1999, l’aeronautica militare ha bombardato i serbi effettuando 3mila sortite. Una guerra aerea di cui non si poteva parlare per opportunità politiche. Dopo l’11 settembre i focolai di instabilità sono diventati sempre più insidiosi, dall’Iraq all’Afghanistan. Nel 2003, con la missione Antica Babilonia a Nassiryah, i nostri soldati sono rimasti coinvolti nelle battaglie dei ponti contro i miliziani sciiti. In sole 24 ore gli italiani hanno sparato centomila colpi. Siamo sbarcati di nuovo in Libano dopo il conflitto fra Israele ed Hezbollah, ma la nostra vera trincea è l’Afghanistan. Con i rinforzi previsti per l’estate arriveremo a 4mila uomini per garantire sicurezza nella parte occidentale del paese, grande come il Nord Italia, al confine con l’Iran. Herat, Bala Murghab, Farah, Bala Baluk, Bakwa, Shindad sono i nomi esotici e lontani dove fanti, alpini, paracadutisti combattono e muoiono in aspri scontri e imboscate con i talebani o attentati. Dal 1982, nelle nostre “guerre” di pace, sono caduti 103 soldati italiani.

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14 novembre 2001 | TG5 - Canale 5 e Studio Aperto - Italia 1 | reportage
Il giorno dopo la liberazione di Kabul
Il giorno dopo la liberazione di Kabul

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20 settembre 2009 | Domenica Cinque | reportage
I parà di Kabul
Su Canale 5: Più che eroi i paracadutisti caduti in Afghanistan sono soldati che hanno fatto il loro dovere fino in fondo

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07 novembre 2009 | SBS Radio Italian Language Programme | intervento
Afghanistan
Cosa fare dopo la caotica elezione di Karzai?
Un dibattito a più voci con toni talvolta vivaci sui crimini di guerra in Afghanistan e la giustizia internazionale.

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12 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ "Noi voteremo per Karzai"
“Noi voteremo per Karzai” assicura Nazir Ahmad, un capo villaggio amico degli italiani, riferendosi alle presidenziali del 20 agosto e al favorito Hamid Karzai capo dello stato in carica. Il tenente Francesco Vastante della 4° compagnia Falchi è seduto per terra a bere il tè con Nazir nella valle di Kohe Zor. Una vallata tranquilla dove l’Italia ha finanziato 15 pozzi per l’acqua. In cambio gli afghani non vogliono saperne dei talebani. “Almeno in questa valle stiamo vincendo la sfida” sottolinea il tenente Vastante. L’area è quella di Shindad dove sono previsti una cinquantina di seggi per il voto presidenziale e provinciale, che apriranno quasi tutti. Anche nella famigerata valle di Zirko, santuario degli insorti e dei signori della droga, secondo le promesse dei capi clan locali. Gli italiani hanno donato ingenti quantità di bulbi di zafferano per convincere i contadini della valle a convertire le piantagioni di oppio. Per le elezioni le autorità afghane stanno reclutando anche personale femminile necessario alle perquisizione delle donne in burqa che verranno a votare. Talvolta, sotto i burqa, si sono nascosti dei terroristi suicidi. Il 3 luglio un kamikaze si è fatto saltare in aria, con un pulmino, al passaggio di un blindato della compagnia Falchi. I parà a bordo del mezzo, che si è capovolto, sono rimasti miracolosamente illesi. Non dimenticheranno mai l’attentatore vestito di bianco, la vampata giallognola dell’esplosione ed il fumo nero che li ha avvolti. Fausto Biloslavo da Shouz, Afghanistan occidentale per Radio 24 Il Sole 24 ore

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17 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/Voto e kamikaze
I paracadutisti di base Tobruk sono pronti a partire prima dell’alba diretti verso il deserto della turbolenta provincia di Farah. Il tenente Alessandro Capone, 30 anni, romano, comandante del primo plotone Nembo illustra la missione. Sul cruscotto del suo blindato Lince c’è Aldino il pinguino, un pupazzo portafortuna che i parà grattano ogni volta che escono verso l’ignoto. Dove i talebani possono sempre aspettarci al varco. Nelle quattro province sotto controllo italiano i seggi elettorali per le elezioni presidenziali e provinciali del 20 agosto sono 1014. Fra il 10 ed il 13% non apriranno perché troppo esposti alla minacce dei talebani ha rivelato il generale Rosario Castellano che guida il contingente. Nel sud, dove gli insorti sono più forti, si raggiungeranno punte del 20-30% di seggi chiusi. Dagli altoparlanti delle mosche nelle roccaforti talebani, come Shewan. ad una ventina di chilometri da base Tobruk, gli estremisti ordinano alla gente di non andar votare per “i nemici dell’Islam”. E preparano di peggio, con terroristi kamikaze, come comunicano per radio i parà italiani che scortano i poliziotti afghani dispiegati per le elezioni

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12 giugno 2009 | R101 | intervento
Afghanistan
Soldati italiani nel mirino
Le truppe italiani, assieme all'esercito afghano, espandono il controllo del territorio ed aumentano gli scontri. La fine della raccolta dell'oppio offre soldi e manovalanza per i talebani.

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14 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani / Trappola esplosiva per i parà
SHEWAN - Il fumo nero e lugubre si alza in un istante per una quindicina di metri. “Attenzione Ied alla testa del convoglio” lanciano subito l’allarme per radio i paracadutisti della Folgore in uno dei blindati più vicini all’esplosione. La tensione è alle stelle. La trappola esplosiva, chiamata in gergo Ied, era nascosta sulla strada. I parà che spuntano della botola dei mezzi puntano le mitragliatrice pesanti verso le casupole di Shewan, roccaforte dei talebani. La striscia d’asfalto che stiamo percorrendo è la famigerata 517, soprannominata l’autostrada per l’inferno. Il convoglio composto da soldati italiani, americani e poliziotti afghani scorta due camion con il materiale elettorale per le presidenziali del 20 agosto. I talebani di Shewan da giorni annunciano con gli altoparlanti delle moschee che i veri fedeli dell’Islam non devono andare alle urne. Chi sgarra rischia di venir sgozzato o quantomeno di vedersi tagliare il dito, che sarà segnato con l’inchiostro indelebile per evitare che lo stesso elettore voti più volte. La colonna è partita alle 13.30 da Farah (Afghanistan sud occidentale) per portare urne, schede e altro materiale elettorale nel distretto a rischio di Bala Baluk. Novanta chilometri di paura, con i talebani che attendono i convogli come avvoltoi. Prima ancora di arrivare nell’area “calda” di Shewan giungevano segnalazioni di insorti in avvicinamento verso il convoglio. Li hanno visti i piloti degli elicotteri d’attacco Mangusta giunti in appoggio dal cielo. Ad un certo punto la strada si infila fra quattro casupole in fango e paglia, dove i civili afghani sembrano scomparsi da un momento all’altro. I talebani avevano già colpito e dato alle fiamme due cisterne afghane ed un camion che trasportava un’ambulanza. Le carcasse fumanti che superiamo sono la prima avvisaglia che ci aspettano. Nel blindato Lince del tenente Alessandro Capone, 30 anni, romano, comandante del primo plotone Nembo, i parà sono pronti al peggio. La trappola esplosiva ha colpito un Coguar americano, all’inizio della colonna con l’obiettivo di immobilizzarlo e bloccare tutto il convoglio. Invece il mezzo anti mina resiste e prosegue senza registrare feriti a bordo. Sui tetti delle casupole stanno cercando riparo alcuni soldati dell’esercito afghano. “L’Ana (le forze armate di Kabul nda) ha visto qualcosa” urla il parà che spunta dalla botola del Lince. Tutti hanno il dito sul grilletto e ci si aspetta un’imboscata in piena regola dopo lo scoppio dell’Ied. Invece la coppia di elicotteri Mangusta che svolazzano bassi su Shewan consigliano i talebani di tenere giù la testa. L’attacco è fallito. Il materiale elettorale un’ora dopo arriva destinazione, ma la battaglia per le elezioni in Afghanistan continua.

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