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																				Reportage 
																						24 aprile 2011  - Cronache - Italia - Il Giornale | 
																				
																					
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																				| Feriti d'Italia | 
																			 
																			
																				«È stato come un pugno sferrato con un guanto  d’acciaio.  Non dimenticherò mai la sensazione,  fredda, metallica del  proiettile penetrato vicino all’orecchio,  da destra e uscito dal  collo, a sinistra. Il sangue mi ha riempito subito la bocca e ho  pensato: «Sono gli ultimi secondi della mia vita  ». Il caporal  maggiore  Gianluca Ricatti, 24 anni, del183˚ reggimentoparacadutisti   Nembo, racconta così il suo ferimento in Afghanistan. Il 24 settembre  2009 il suo convoglio si stava avvicinando ad un villaggio  nella  famigerata valle di Zirko,  quando è scattata l’imboscata.  «Sentivo i  fischi dei proiettili,  che schizzavano a terra davanti  ai mezzi  blindati. Ad una quarantina di metri esplodevano le  granate di mortaio  - ricorda il parà-  Ero in ralla , fuori dalla  botola e rispondevo  al fuoco con la mitragliatrice».Un proiettile  di kalashnikov gli  trapassa il collo e crolla dentro il blindato Lince. Chi lo soccorre lo  dà per spacciato. «Invece sono un miracolato.  Nessuna lesione  permanente  e ho recuperato completamente.  Adesso tutti mi  considerano  un amuleto vivente» spiega il fuciliere con barbetta e  basco amaranto. La cicatrice sul collo resterà per sempre, ma Ricatti   ha voluto tornare da oltre un mese in Afghanistan con i paracadutisti   della Folgore.  Negli ultimi dieci anni di «guerre» di pace hanno  perso la vita 53 soldati italiani, ma oltre 150 sono rimasti feriti.  Nulla rispetto ai sanguinosi conflitti del passato e alle migliaia di  morti fra i civili iracheni e afghani, ma dei feriti d’Italia sappiamo e  ne parliamo poco. In gran parte sono ragazzi poco più che ventenni   feriti in combattimento o saltati per aria sulle trappole esplosive.   A Il Giornale raccontano le loro storie di «miracolati» o dilaniati   per sempre nelle carni ed impegnati nella battaglia per ricostruirsi  una vita.  Il caporal maggiore degli alpini Cristina Buonacucina,  27 anni,   non è donna che si lagna. Il 17 maggio scorso avanzava verso  Bala  Murghab sul fronte nord nell’Afghanistan occidentale  controllato dagli  italiani, con una colonna di 140 mezzi. «Ricordo un tonfo sordo e poi  ho perso i sensi per una decina di secondi. Mi ha risvegliato la voce di  Gianfranco, che era stato  sbalzato fuori dal Lince dall’esplosione  e  urlava: «Cristina, Cristina» racconta il  sottufficialedellacompagniaValanga,  32˚ reggimento Genio guastatori.  Per il sergente maggiore Massimiliano  Ramadù ed il caporal maggiore scelto Luigi Pascazio, seduti davanti,non c’era più nulla  da fare.  «Il mio piede sinistro era girato  dall’altra parte e vedevo la  tibia,  uscita dalla carne, incastrata  fra le lamiere. - spiega  Cristina,  capelli corti e stampelle -Avevo paura, urlavo e mi  preoccupavo  del piede, che mi rimanesse attaccato  ». Tirata fuori ed  evacuata in elicottero il caporal maggiore è la prima donna  feritagravemente in zona di operazioni.  Per uscire dal tunnel ci è  voluto tempo: «In un letto d’ospedale i primi giorni temi di chiudere  gli occhi perchè rivedi tutta la scena. Mi  svegliavo con la nausea e se una porta sbatteva  sobbalzavo». Cristina  ora combatte con la riabilitazione per tornare a camminare senza  stampelle e rimanere nell’esercito.  La Difesa non ha voluto  fornire  le fotografie dei nostri soldati inzuppati di sangue. Secondo  qualche generale sono immagini  «inopportune». Il sangue dei feriti in  incidenti stradali o disastri  vari si può far vedere, ma quello dei  militari impegnati nelle «guerre» di pace no.  «È strano, non so  quante persone  ci fossero attorno tra talebani che sparavano,   militari italiani che rispondevano  al fuoco e personale vicino al  mezzo colpito,  ma con Luca mi sembrava di parlare come se fossi in una  stanza insonorizzata» ricorda il tenente colonnello medico degli   alpini Federico Lunardi. Il 9 ottobre 2010, nella valle della morte in  Gulistan, durante una furiosa battaglia con i talebani, un blindato  Lince salta in aria. Dei soldati a bordo quattro vengono uccisi.  Si  salva solo il caporal  maggiore Luca Cornacchia, grazie ad un valoroso  intervento  sotto il fuoco di Lunardi, che gli presta i primi soccorsi.  «Dopo avermi passato il fucile,  il momento più toccante è stato  quando mi ha messo in mano la fotografia del suo bambino di due anni con su scritto “al mio amore”  »racconta  l’ufficiale medico. Lunardi ha parlato con diversi feriti d’Italia e da  questi incontri potrebbe nascere un libro, il primo  di questo genere  dalla fine della seconda guerra mondiale. A  25 anni, il caporal maggiore Stefano La Mattina, piemontese  doc, con  il diploma di perito elettrotecnico, poteva trovare un lavoro  tranquillo: «Mi sono arruolato perchè è una scelta di vita. Ne sono  convinto anche dopo essere stato ferito il 23 settembre 2009 in  Afghanistan  » sottolinea  il paracadutista dell’11˚ compagnia Peste,  186˚ reggimento  della brigata Folgore. «Sentivo il ticchettio  metallico dei proiettili che colpivano il  blindato.Stavo ricaricando l’arma quando i rumori della battaglia   sono scomparsi, a parte un tonfo fortissimo. Ero stato colpito al  braccio sinistro.  Il proiettile entrato vicino al gomito era uscito  dalla spalla per conficcarsi sul portellone del Lince. I miei compagni   di squadra l’hanno conservato  per scaramanzia» spiega  il caporal  maggiore davanti al monumento ai caduti di El Alamein. Sul campo di battaglia lo hanno trasportato a braccia, in  barella, fino ad un elicottero per evacuarlo. «A bordo una tenente   medico spagnola mi schiaffeggiava urlando: «Non dormire, non dormire»  ricorda La Mattina, che aveva perso  molto sangue. Dall’ospedale  di  campo di Herat ha cercato di indorare la  pillola ai genitori dicendo che si  è fatto male cadendo dal   blindato.  «Claudia, mia madre, mi ha subito detto: questa storia mi  puzza» racconta il caporal maggiore con il braccio ancora  fasciato e  appeso al collo.  Qualcuno fra i feriti  d’Italia si lamenta del  labirinto amministrativo  e delle spese legali per ottenere quello che  spetta loro. Tutti vengono  seguiti da  vicino  per le cure ospedaliere  e psicologiche.  Vittorio De Rasis  ferito gravemente nella strage di Nassiryah del 2003 ha lasciato  i  carabinieri, ma le cicatrici dell’Irak restano.«Non ci invitano  neppure più alla commemorazione  ufficiale - osserva il luogotenente  in congedo-  Ci sono i caduti, ma anche noi feriti abbiamo  versato il  sangue per la patria  ».  Simone Careddu, 30 anni, della   compagnia Angeli neri, è saltato  in aria in Afghanistan sulla statale  517.I soldati italiani l’avevano  ribattezzata l’autostrada per  l’inferno.Per il caporal maggiore  dell’8˚ reggimento Genio guastatori  di Legnago, costretto ad una sedia a rotelle, ma abituato  a lanciarsi  con il paracadute, la vera battaglia, al fianco di sua moglie Tiziana,  inizia adesso.  Il 14 luglio 2009 il suo  Lince è stato fatto a pezzi da troppi chili di esplosivo. Il tetto è  volato via assieme al caporal maggiore scelto Alessandro Di Lisio morto   sul colpo. «Non ricordo il boom, ma una nuvola di polvere nera ed il  calore.  Ho irrigidito i muscoli e si è spenta la luce. Mi sono  ritrovato a terra a fianco del mezzo» racconta il guastatore.  «Mi  bruciavano gli occhi per colpa della nafta e avevo difficoltà  a  respirare. Il braccio destro era spezzato.- ricorda il giovane sardo-  Sentivo il dolore dietro la schiena, come se ci fosse una pietra  conficcata. E dicevo ai soccorritori  levatemela, ma non c’era nulla.Ho  capito subito che non sarei mai tornato a camminare  ». Simone ci  offre un caffè nell’appartamento della Difesa a Verona, attrezzato per  lui inchiodato  alla carrozzella. «Vorrei  tanto restare sotto le armi  spiega il coraggioso parà- È stato  il mio sogno fin da bambino.  Quando mi chiedevano cosa vuoi fare da grande rispondevo sempre: il  soldato».  www.faustobiloslavo.eu  | 
																			 
																			
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																											21 settembre 2012 | La Vita in Diretta | reportage 
																												Islam in Italia e non solo. Preconcetti, paure e pericoli 
																												 
																												 
																												
																															
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																											29 dicembre 2010 |  | reportage 
																												Gli occhi della guerra a Trieste 
																												Dopo aver portato la mostra su 25 anni di reportage di guerra in tutta Italia, finalmente il 29 dicembre è stata inaugurata a Trieste, presso la sala espositiva della Parrocchia di Santa Maria Maggiore, via del Collegio 6. Gli occhi della guerra sono dedicati ad Almerigo Grilz e a tutti i giornalisti caduti sul fronte dell'informazione. La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 10 al 20 gennaio. L'evento è stato organizzato dal Circolo universitario Hobbit con la sponsorizzazione della Regione. 
																												 
																												
																															
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																											24 novembre 2015 | Rai 1 Storie vere | reportage 
																												Terrorismo in Europa 
																												Dopo gli attacchi di Parigi cosa dobbiamo fare per estirpare la minaccia in Siria, Iraq e a casa nostra 
																												 
																												
																															
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																							03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento  | 
																						 
																						
																							Italia 
																								Gli occhi della guerra 
																								Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea.
Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.
 
																								 
																								
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