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18 luglio 2011 - Cronache - Italia - Il Giornale
La riabilitazione è in forno Continua il boom delle carceri-panetterie
Si parla sempre di carceri so­vraffollate, di reclusi che si impic­cano in cella o di star del crimine che fanno notizia in galera. Dietro le sbarre, però, ci sono pure altre realtà, come i detenuti di Opera, nei pressi di Milano e Marassi a Ge­n­ova che sfornano ogni notte quin­tali di pane. Non solo per i compa­gni di celle, ma per il mercato ester­no, il mondo libero.
E a Trieste stanno per seguire lo stesso esempio, come è già capita­to a Pavia, Bologna e Terni. Non so­lo: dietro le sbarre ci si ingegna nel­la produzione di prodotti alimen­­tari per l’esterno, con i nomi più cu­­riosi, dal vino «Il fuggiasco» agli ameretti «Dolci evasioni», alle ca­ramelle
«Papillon». «Ogni notte sforniamo una me­dia di 6 quintali di pane, 365 giorni all’anno, oltre a pizza e focaccia. Fatturiamo un milione e mezzo di euro, ma a fine mese è sempre bat­taglia per far quadrare i conti » rac­conta al Giornale , Gianluca Rolla, parlando del panificio dentro il carcere di Opera. Responsabile della cooperativa «Il giorno dopo» fa lavorare 8 detenuti, su due tur­ni, dalle 23 alle 6 del mattino quan­do viene sfornata l’ultima pagnot­ta. Il pezzo classico è il bovolino, un panino di 50 grammi, poi c’è il maggiolino, ma pure quello arabo per gli islamici e il pugliese su ri­chiesta.
Il pane del carcere di Ope­r­a finisce nella grande distribuzio­ne, grazie a un accordo con Mila­no ristorazione, nei centri di acco­glienza per gli stranieri, oltre che quelli di assistenza agli anziani del capoluogo lombardo. I detenuti panificatori guadagnano fra gli 800 e i 1.200 euro al mese, ma i risul­tati si vedono a fine pena.
«Una vol­ta scarcerato, uno dei ragazzi più bravi ha aperto in Lombardia un panificio assieme alla moglie» rac­conta Rolla. Il carcere di Marassi, a Genova, è l’altro istituto pioniere del pane al mondo libero. «Abbiamo comin­ciato con 10 chili e adesso ne sfor­niamo ogni giorno 3 quintali e mez­zo » spiega Pietro Civello, di Italfor­no, la società che distribuisce i pa­nini del carcere. I clienti esterni so­no la Coop, ma pure ristoranti e la Caritas per il pane ai poveri. Sfor­nano anche le pagnotte al farro e al­la soia, ma fra i detenuti che lavora­no ogni notte imbiancandosi di fa­rina ce ne sono due che facevano i panettieri prima di finire dentro.
L’ultimo progetto sul pane die­tro le sbarre è stato lanciato a Trie­ste nel carcere del Coroneo, dove i detenuti hanno già cominciato a servire il resto della popolazione carceraria. Adesso vogliono fare il salto di quantità rivolgendosi ai «commensali liberi».I primi clien­ti garant­iti sono le guardie carcera­rie e risultano contatti in corso con
i Vigili del fuoco. Il pane in ecce­denza verrà distribuito ai poveri. Il direttore del carcere, Enrico Sbri­glia, vorrebbe aprire addirittura uno «spaccio» fra il tribunale e il carcere, che sono contigui, «per permettere ai privati di prenotare pane e dolci». L’intraprendenza del carcere non è piaciuta a Edvi­no Jerian, che a nome dei panifica­tori triestini ha protestato sulla stampa locale: «Siamo passati da 123 forni a una cinquantina con la concorrenza del pane sloveno, che viene acquistato dai super­mercati. È una situazione già pe­sante e adesso ci si mette pure il Co­roneo ».
Nel 2008 erano sorti detenuti for­nai anche nel carc­ere Dozza di Bo­logna e a Terni è nato dietro le sbar­re il
«Forno solidale», per non par­lare dei dolci. Al Due palazzi di Pa­dova i dolci del Santo hanno rice­vuto premi e riconoscimenti e so­no stati serviti al G8 de L’Aquila. I prodotti«Dolci evasioni»di Siracu­sa, a base biologica, vengono di­stribuiti in tutta Italia.
I detenuti si sbizzarriscono nei nomi e nelle etichette dei prodotti che poi vanno sul mercato. «Il fug­giasco » è un rosso vivo e armoni­co. Altre bottiglie doc sono state chiamate «Valelapena», «Fresco di galera» e il «Recluso», sia bianco
che rosso.
www.faustobiloslavo.eu
[continua]

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12 maggio 2020 | Tg5 | reportage
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L’infermiera ha contratto il virus da un paziente anziano nell’ospedale Maggiore di Trieste A casa non riusciva più a respirare ed è stata trasportata d’urgenza in ospedale Il figlio, soldato della Nato, era rimasto bloccato sul fronte baltico dall’emergenza virus con l’appartamento pieno di medicine l’incubo del contagio non l’abbandonerà mai Due mesi dopo il contagio Svetlana è negativa al virus ma ancora debole e chiusa in casa

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10 giugno 2008 | Emittente privata TCA | reportage
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Negli anni 80 lo portava in giro per Milano sulla sua 500, scrive Panorama. Adesso, da ministro della Difesa, Ignazio La Russa ha voluto visitare a Bolzano la mostra fotografica Gli occhi della guerra, dedicata alla sua memoria. Almerigo Grilz, triestino, ex dirigente missino, fu il primo giornalista italiano ucciso dopo la Seconda guerra mondiale, mentre filmava uno scontro fra ribelli e governativi in Mozambico nell’87. La mostra, organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti, espone anche i reportage di altri due giornalisti triestini: Gian Micalessin e Fausto Biloslavo.

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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea. Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.

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