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22 dicembre 2011 - Esteri - Afghanistan - Il Giornale
Le poliziotte col velo addestrate dagli italiani
I carabinieri in Afghanistan si sono imbarcati nella «mission im­possible » di addestrare le donne af­ghane per farle diventare poliziot­te.
Una missione che se avrà succes­so, nel paese del burka, sarà rivolu­zionaria. Oggi ad Herat entreranno a far parte del corpo di polizia afgha­no le prime trenta donne addestra­te dal Centro regionale della Nato. In tutto l’Afghanistan le poliziot­te sono poco­più di 1200 oltre a qual­che centinaia di donne soldato. Po­co meno dell’1 per cento rispetto agli agenti uomini, ma l’obiettivo del governo di Kabul è farle diventa­re 5mila nel 2014, quando i soldati occidentali in gran parte se ne an­dranno. Non solo: le donne solda­to, che hanno già un generale, Kha­tol Mohammadzai, dovranno di­ventare il 10 per cento di 170mila uomini.
Dopo 4 settimane di corso le 30 poliziotte riceveranno oggi il cintu­rone, la pistola e indosseranno con orgoglio la divisa grigia degli agen­ti. Pantaloni e camicione all’afgha­na come gli uomini, con tanto di berretto a visiera.Un velo nero d’or­dinanza copre la testa lasciando li­bero il volto. Le donne in divisa so­no state addestrare da due con­tractor americane. Il programma però, che riguarda anche i poliziot­ti, è affidato a una quarantina di ca­rabinieri. «Le poliziotte sono ener­gia positiva e serviranno a cambia­re­l’immagine della donna in Afgha­nistan » ha dichiarato ieri il genera­le Shahzad, che comanda il 207˚ Corpo d’armata afghano ad Herat. Le neo poliziotte, addestrare nel Centro della Nato, tornavano ogni sera a dormire a casa per evitare promiscuità con i colleghi maschi. Il 29 settembre, proprio nella pro­vi­ncia di Herat sono cadute in azio­ne le prime due afghane, che si era­no arruolate quattro anni fa. Una bomba piazzata in una motociclet­ta­è esplosa al passaggio della mac­china
della polizia.
Martedì il generale Luciano Por­tolano, che comanda il contingen­te italiano di 4200 uomini, ha chiu­so il primo corso per la creazione di speciali squadre di donne soldato. Ventisette ragazze in divisa, italia­ne e alleate, sono state specificata­mente addestrate per entrare in contatto con le donne afghane in zona di operazioni sia con compiti militari, che umanitari. Gli ameri­cani hann­o introdotto questa novi­tà in gennaio e le donne soldato se­guono anche i corpi speciali.
A con­segnare i diplomi del corso di Herat c’era il generale Mohammadzai,la prima donna con questo grado. Ar­ruolata da giovanissima è stata ad­destrata dai paracadutisti sovieti­ci. «Quando mi sono lanciata la pri­ma volta ero talmente leggera, che i compagni stavano già a terra men­t­re io ancora scendevo appesa al pa­racadute » racconta l’alto ufficiale. Al centro di addestramento di Ka­bul c’è la compagnia Malalai, in onore ad un’eroina afghana che usò il suo velo come bandiera in una delle più famose battaglie con­tro i britannici nel 1880.
Negli ultimi due anni 50 cadette hanno superato l’addestramento militare, oltre ai corsi di inglese, computer, risorse umane e finan­za. Le volontarie sono tutte ragazze
fra i 19 e i 25 anni. Molte vengono minacciate di morte dai fidanzati, che non sopportano di vederle in di­visa. Il maggiore Fahima Misbah, responsabile del reclutamento, ammette: «Le famiglie afghane non permettono alla figlie di entra­re­nell’esercito per problemi di cul­tura e perché temono per la loro si­curezza ». I talebani considerano un obiettivo privilegiato le donne in divisa. «Quando lascio il mio nu­mero di telefonino nei giri di reclu­tamento - spiega il maggiore - mi chiamano gli uomini insultando­mi ».
www.faustobiloslavo.eu
[continua]

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17 novembre 2001 | Studio Aperto - Italia 1 | reportage
Kabul vuole tornare alla normalità
Kabul vuole tornare alla normalità

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02 novembre 2012 | Tg5 | reportage
Messa in prima linea per l'ultimo caduto
Tiziano Chierotti ucciso in combattimento a Bakwa il 25 ottobre viene ricordato con una toccante cerimonia nella mensa da campo di base Lavaredo.

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20 maggio 2007 | Terra! | reportage
I due che non tornarono
Due “fantasmi” resteranno legati per sempre alla brutta storia del sequestro e della liberazione di Daniele Mastrogiacomo. I fantasmi degli ostaggi afghani, gli ostaggi di serie B, il cui sangue pesa meno di quello di un giornalista italiano, come ci hanno detto fra le lacrime i loro familiari ed in tanti a Kabul (…) Gente comune, interpreti ed autisti del circo mediatico che ha invaso per qualche settimana l’Afghanistan e si è dissolto quando il giornalista di Repubblica è tornato a casa sano e salvo. I due fantasmi di questa brutta storia si chiamano Sayed Agha e Adjmal Naskhbandi, i compagni di sventura afghani di Mastrogiacomo che non sono più tornati a casa. I tagliagole talebani non hanno avuto un briciolo di pietà a tagliare loro la testa in nome del Jihad, la guerra santa. (…) Non si capisce cosa aveva da esultare il giornalista italiano, il 20 marzo, quando è sceso dalla scaletta dell’aereo che lo aveva riportato in patria, alzando le braccia al cielo come se avesse vinto un incontro di pugilato all’ultimo round. Alle spalle, sul campo di battaglia, aveva lasciato sia i vivi che i morti: Sayed il suo autista decapitato quattro giorni prima e Adjmal l’interprete rimasto vivo, ma ancora nelle grinfie dei talebani. (…) Purtroppo con il destino già segnato di una condanna a morte che servirà solo a seminare ulteriore zizzania politica in Italia ed in Afghanistan. Fin dal 5 marzo, quando sono stati inghiottiti in tre nella palude talebana della provincia di Helmand, i riflettori erano puntati solo sull’ostaggio eccellente, Daniele Mastrogiacomo. (…) Una prassi nei casi di sequestro dove chi ha il tuo stesso passaporto vale di più dei disgraziati locali che si trascina dietro. Loro se la cavano, si pensa spesso, ma in questo caso non è stato così. Il miraggio di guadagnare un pugno di dollari accompagnando un giornalista straniero a caccia dello scoop l’hanno pagato con la vita. Sayed aveva 25 anni e quattro figli, di cui il più grande Atifah ha solo sei anni. L’ultimo, il quinto che la moglie rischiava di perdere quando ha saputo del sequestro del marito, è nato un giorno prima del funerale del padre. Sayed faceva l’autista e pensava che non fosse tanto rischioso portare in giro Mastrogiacomo in una zona che conosceva come le sue tasche, perché c’era nato e ci viveva. Invece non aveva fatto i conti giusti con i talebani che per vecchie ruggini familiari e con l’accusa di spionaggio l’hanno processato secondo la legge islamica e condannato a morte. (…) Il 16 marzo i tagliagole hanno detto ai tre ostaggi che andavano a fare un giro, ma Sayed doveva sentire che era arrivata la sua ultima ora. Quando l’hanno fatto inginocchiare, a fianco di Mastrogiacomo, nella sabbia, in tunica bianca e con una benda rossa sugli occhi, non si agitava, sembrava rassegnato. Il giudice islamico ha letto una sbrigativa sentenza in nome di Allah ed il boia al suo fianco ha buttato il poveretto nella polvere, di traverso, per decapitarlo meglio. Nella mano destra del boia è apparso un coltellaccio ricurvo per segargli il collo. Sul corpo inanimato della vittima, come se fosse un burattino sena fili i tagliagole solitamente appoggiano la testa e si fanno riprendere soddisfatti. Ci sono voluti 11 giorni ai familiari per recuperare la salma, senza testa, perché nessuno gli ha dato una mano. (…) “Tutto il mondo ci ha dimenticato e si è occupato solo del rilascio del giornalista italiano in cambio di cinque criminali. Sayed e Adjmal lavoravano con lo straniero. Lui è stato liberato e per gli afgani cosa si è fatto?” ci ha detto amaramente Mohammed Dawood il fratello dell’autista ucciso. Adjmal aveva 23 anni e si era sposato da poco. Faceva il giornalista, non solo l’interprete e nelle zone talebane c’era già stato. Non abbastanza per salvarsi la pelle ed evitare di finire in una trappola assieme all’inviato di Repubblica. Con Mastrogiacomo ha diviso le catene ed i dolori del sequestro. (…) Nello scambio con cinque prigionieri talebani detenuti nelle carceri afghane era previsto sia Mastrogiacomo che Adjmal. A tutti e due il capobastone dei tagliagole che li tenevano prigionieri aveva detto “siete liberi”. Invece qualcosa è andato storto e Adjmal non è più tornato a casa. Quando la sua anziana madre ha capito che era ancora ostaggio dei talebani ha avuto un infarto. (…) Per non turbare il successo a metà della liberazione di Mastrogiacomo la grancassa di Repubblica aveva annunciato anche la liberazione di Adjmal e gran parte dei media hanno abboccato all’amo, ma non era vero. Qualche giorno dopo, quando Adjmal mancava tristemente all’appello, sempre Repubblica ha cercato di accreditare la teoria che era stata la sicurezza afghana a farlo sparire per interrogarlo. Anche questa volta non era così. (…) I talebani volevano sfruttare ancora un po’ il povero interprete per tenere sulla graticola il governo di Kabul e quello di Roma, che a parole ha chiesto la liberazione di tutti, ma nei fatti si è portato a casa solo il giornalista italiano. “Sono felice per la liberazione di Daniele, perché la vita di un uomo è stata salvata da un pericolo mortale. Allo stesso tempo sono arrabbiato, perché non ci si è occupati con la stessa attenzione di mio fratello” ci diceva Munir Naskhbandi assieme ad amici e cugini quando il giovane interprete era ancora vivo. Tutti, però, sapevano che il governo del presidente afghano Hamid Karzai non avrebbe più liberato un solo talebano in cambio dell’ostaggio. Per non lasciarsi testimoni afgani alle spalle a dare un’ultima scossa i tagliagole hanno condannato a morte anche Adjmal. La decapitazione di rito è avvenuto un giorno qualsiasi per loro, ma ancora più amaro per noi, la domenica di Pasqua e resurrezione. Attorno ai fantasmi e all’unico sopravissuto di questa storia non mancano le zone d’ombra, che prima o poi andranno chiarite. Rahmattulah Hanefi, l’uomo di fiducia di Emergency, che ha fatto da mediatore è stato arrestato dai servizi segreti afghani il giorno dopo la liberazione di Mastrogiacomo. (…) Il fratello di Sayed Agha, l’autista decapitato, aveva puntato subito il dito contro di lui. Amrullah Saleh il capo dei servizi di Kabul è ancora più duro e dice: “Abbiamo le prove che Hanefi è un facilitatore dei talebani, se non addirittura un loro militante travestito da operatore umanitario”. (…) L’uomo di Emergency avrebbe fatto cadere in una trappola Mastrogiacomo, sarebbe stato una quinta colonna dei tagliagole e avrebbe abbandonato Adjmal al suo destino. Le prove, però, non si vedono e fino a quando non verranno rese note non sapremo se si tratta di una ritorsione contro Emergency troppo blanda con i talebani, oppure un’innominabile verità che schizzerebbe fango su tutti, compreso il governo italiano. Un’altra ombra di questa vicenda è il canale parallelo di mediazione ingaggiato da Repubblica fin dalle prime ore del sequestro. Uno strano free lance italo inglese, Claudio Franco e la sua spalla afgana, hanno mediato per la liberazione. (…) Gino Strada, fondatore di Emergency, sente puzza di servizi segreti e non vuole averne a che fare. La strana coppia rispunta nell’area riservata dell’aeroporto militare di Kabul, quando arriva Mastrogiacomo appena liberato ed in viaggio verso l’Italia. Qualcuno della Nato li ha appena “estratti” dal sud dell’Afghanistan. Franco scatta foto esclusive di Mastrogiacomo mentre sale sul Falcon della presidenza del Consiglio, che lo riporterà a casa. Le immagini non vengono mai pubblicate e sul canale parallelo di mediazione viene steso un velo di silenzio. C‘è voluto un negoziato per avere questa fotografia di Sayed Agha con tre dei suoi cinque bambini. Nell’immagine c’era pure la moglie, ma i familiari, da buoni pasthun, non potevano farla vedere a degli stranieri (…) per di più infedeli. Alla fine hanno tagliato via la moglie e sono rimasti i bambini. Non vedranno più loro padre, morto nella provincia di Helmand, in Afghanistan, (…) per fare l’autista ad un giornalista italiano, Noi preferiamo ricordarlo così, (…) da vivo, con i suoi figli.

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14 luglio 2011 | Nuova Spazio Radio | intervento
Afghanistan
Si può vincere questa guerra?
Dopo la morte in combattimento dell'ultimo parà della Folgore, fino a quanto dovremo restare in Afghanistan? Almeno fino a quando gli afghani riusciranno a garantirsi da soli la sicurezza, altrimenti caliamo le braghe e la diamo vinta ai talebani. Per sconfiggerli non basta la forza delle armi.

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