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Reportage
15 gennaio 2015 - Il Fatto - Italia - Il Giornale
Fra le donne coperte dal velo che aiutano i jihadisti d’Italia
«Non ho niente da dire. Se vuoi sapere qualcosa vai in Siria» è il senso del battibecco con la donna coperta dal niqab fino ai piedi, che le lascia libero solo il volto. La sua famiglia ha ospitato lo scorso anno il nipote albanese, Aldo Kobuzi, marito di Maria Giulia Sergio convertita all'islam con il nome di Fatima, la prima jihadista italiana. Nel settembre scorso sono partiti entrambi verso la Siria per arruolarsi nel Califfato sfruttando una rete di volontari della guerra santa albanese.
Non siamo in un covo del Jihad, ma a Scansano un centro della Maremma in provincia di Grosseto con 4300 abitanti. Ed una comunità albanese di un centinaio di anime. Proprio ieri il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, è volato a Tirana per annunciare la formazione di squadre congiunte di polizia per contrastare il fenomeno del terrorismo. «I Balcani occidentali sono un'area che può essere considerata dai terroristi una zona importantissima di attraversamento per recarsi nei teatri di guerra - ha dichiarato Alfano - Dove si può immaginare che possano formarsi ed addestrarsi terroristi che vanno poi a combattere in Siria».
A Scansano la donna con il niqab marrone, tutti la chiamano Nila, camminava avanti e indietro parlando al telefono e salutando l'interlocutore all'islamica con salam al eikum (la pace sia con te) davanti a casa, in via 20 settembre. In un primo momento era disponibile e ha chiamato al cellulare il fratello, Coku Baki, che lavora a Grosseto. Quando hanno capito che sono un giornalista si sono chiusi a riccio. Il fratello farfugliava di non voler parlare e alla fine ha buttato giù il telefono. L'albanese velata, che ha sposato un arabo di Milano, diventando sempre più integralista è praticamente fuggita verso casa.
«Già da tre mesi circolava la voce che suo nipote fosse partito per la Siria con l'italiana convertita. In rete ci sono le foto dalla prima linea. Il cognato di Kobuzi aveva aderito ancora prima al Califfato ed è morto in combattimento» racconta una fonte della comunità albanese. «Questi sono matti. Kobuzi non salutava le donne perché è un integralista. Se sanno che parlo potrebbero ammazzarmi» spiega con un velo di paura nella voce.
Il marito della lady Jihad italiana viveva a Poggioferro, una frazione di Scansano, dove avrebbe portato anche Maria Giulia/Fatima per poi partire assieme verso la guerra santa. Per due volte lo zio ha certificato di averlo ospitato nel settembre 2012 e l'ottobre dell'anno dopo fino alla scorsa estate.
A Poggioferro ricordano il clan albanese con le donne velate sempre più integraliste. «Un giorno ho chiesto ad una di loro se la costringono, con il caldo estivo ad uscire coperta - racconta una signora italiana - E lei mi ha risposto secca: “È la nostra religione“. Devo dire che mi intimorivano».
Maria Giulia/Fatima, però, è un fantasma, che potrebbe essere arrivata dopo il matrimonio del 2013 per partire lo scorso settembre verso la Siria con il giovane marito albanese. L'antiterrorismo doveva tenerli d'occhio, ma i due sono andati a Roma acquistando un biglietto per la Turchia per poi unirsi allo Stato islamico in Siria.
Gli albanesi che si ritrovano al bar di Scansano, dopo aver lavorato nei campi, non parlano o fanno finta di niente. Dalla polizia municipale, il comandante, Carlo Poggioli, assicura «che gran parte della comunità è ben integrata. Sono poche unità quelle che hanno delle caratteristiche islamiche più marcate». Come la famiglia albanese che ha ospitato la coppia della guerra santa. Francesco Tenucci, consigliere comunale d'opposizione alla giunta di sinistra, osserva laconico: «Constatare che il nemico è alle porte di casa e la tranquillità in cui si è soliti vivere in provincia risulta apparente, suscita sempre maggior perplessità sul residuo di identità nazionale che l'Italia conserva».
www.gliocchidellaguerra.it
[continua]

video
18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre. Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato. Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano. Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca. “Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria. Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida. L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane. La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....

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16 febbraio 2007 | Otto e Mezzo | reportage
Foibe, conflitto sulla storia
Foibe, conflitto sulla storia

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03 febbraio 2012 | UnoMattina | reportage
Il naufragio di nave Concordia e l'allarme del tracciato satellitare


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radio

24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea. Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.

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