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Articolo
24 luglio 2015 - Prima - Italia - Il Giornale |
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Ma il caso trafficanti resta Su centinaia di arresti una manciata di condanne |
L'ultimo scafista l'hanno ammanettato ieri i poliziotti di Messina. Si chiama, Tubo Momou, senegalese di 23 anni e minacciava i 578 migranti che dalla Libia ha traghettato verso l'Italia, di non dire nulla una volta sbarcati. Dal primo gennaio dello scorso anno sono stati arrestati 745 delinquenti coinvolti nell'immigrazione clandestina, in gran parte moderni Caronte. Secondo il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, dal primo maggio 2013 al 20 aprile scorso «sono 1.000 gli scafisti/schiavisti arrestati in Italia». Per tutti i reati relativi all'immigrazione clandestina risultano 1.142, i detenuti nel nostro paese fino ad oggi. Solo il 35%, però, ovvero 399 delinquenti, scontano una condanna definitiva. Secondo i dati forniti a il Giornale dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria gli stranieri sono il 91%. I libici dietro le sbarre risultano appena 66, lo 0,39%. I boss del traffico di uomini, che si annidano dall'altra sponda del Mediterraneo (dalla Libia partono il 95% dei barconi) preferiscono arruolare scafisti stranieri pagandoli fino a 5mila dollari per traghettare la merce umana verso l'Italia. Non a caso la prima nazionalità degli arrestati dal gennaio dello scorso anno è quella egiziana con 246 delinquenti finiti in manette. Molti sono pescatori e altri scafisti per caso, come gli africani della Guinea, Senegal, Siria, Senegal, Mali. Nell'ultimo anno e mezzo solo 6 libici sono finiti in manette. A consegnare i Caronte alla polizia ci pensa anche la Marina militare. Durante la missione Mare nostrum, durata un anno, ne hanno individuati 366. Martedì, il ministro della Difesa Roberta Pinotti, ad un'audizione in Senato ha dichiarato che nel corso della nuova «operazione Mare sicuro sono stati fermati oltre 100 scafisti ed il 14 aprile sequestrata una nave madre», che serve a smistare i migranti. Nel rapporto Greta, un gruppo di esperti del Consiglio d'Europa, pubblicato lo scorso settembre, l'Italia è stata bacchettata chiedendo più «sforzi per garantire che i reati in materia di traffico di esseri umani, per tutti i tipi di sfruttamento, siano attivamente indagati e perseguiti prontamente ed efficacemente portando a sanzioni proporzionate e dissuasive». Fino a qualche anno fa il fronte giudiziario era un disastro. Nel 2010 le condanne per traffico di esseri umani sono state solo 14 e 9 nel 2011, quando è scoppiata la primavera araba con relativa ondata di sbarchi. In marzo, Giorgio Innocenzi, segretario generale della Confederazione sindacale autonoma di polizia, aveva lanciato l'allarme sulle troppo scarcerazioni in attesa di giudizio o sui casi di scafisti che «avvezzi al nostro sistema giudiziario, confutano il reato che nasce spesso da dichiarazioni fatte a caldo da alcuni migranti, che si fatica a suffragare con i fatti». I testimoni talvolta non si presentano in tribunale per paura di ritorsioni o perché hanno raggiunto un altro Paese. Un tunisino accusato di aver traghettato un migliaio di profughi nel luglio 2014, lo scorso febbraio è stato condannato a due anni, scarcerato ed espulso. Altra musica per Elmi Mouhamud Muhidin, rinchiuso nel carcere di Trapani con una condanna a 30 anni per la morte in mare di 366 migranti nel 2013. Haj Hammouda Radouan e Hamid Bouchab sono stati condannati a Catania rispettivamente all'ergastolo e a 10 anni per il naufragio del 12 maggio 2014 con 200 vittime. Non mancano una dozzina di baby scafisti, fra i 13 e 15 anni, nel carcere minorile di Catania. I ragazzini venivano ingaggiati in Egitto promettendo 500 o 1.000 dollari, metà in contante ed il resto all'arrivo con pagamento via money transfer. Pochi i veri trafficanti finiti in carcere in Italia. In aprile è stato arrestato in Sicilia l'eritreo Asghedom Ghermay, che faceva da terminale per una delle più grosse reti annidate in Libia. Il suo compito era far proseguire, a pagamento, i migranti sbarcati sull'isola verso altre città italiane o paesi europei. Lo poteva fare perché l'Italia gli aveva concesso lo status di rifugiato, dopo il suo arrivo su un barcone a Lampedusa ed il permesso di soggiorno fino al 2019. |
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18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre.
Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato.
Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano.
Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca.
“Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria.
Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman
Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida.
L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane.
La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....
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26 agosto 2023 | Tgcom24 | reportage
Emergenza migranti
Idee chiare sulla crisi dagli sbarchi alla rotta balcanica.
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29 dicembre 2011 | SkyTG24 | reportage
Almerigo ricordato 25 anni dopo
Con un bel gesto, che sana tante pelose dimenticanze, il presidente del nostro Ordine,Enzo Iacopino, ricorda davanti al premier Mario Monti, Almerigo Grilz primo giornalista italiano caduto su un campo di battaglia dopo la fine della seconda guerra mondiale, il 19 maggio 1987 in Mozambico.
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20 giugno 2017 | WDR | intervento |
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.
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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento |
Italia
Professione Reporter di Guerra
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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento |
Italia
Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale
Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio
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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento |
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.
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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento |
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea.
Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.
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