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19 agosto 2015 - Prima - Italia - Grazia
Adesso che arriva Moni la rossa
Moni la “rossa”, di capelli, non ha i lineamenti più adatti per farsi passare da irachena. Ai maschietti basta far crescere la barba e camuffarsi con una kefya per provare a scamparla in zona di guerra. I nostri militari sono saltati in aria a Nassiryah e vogliamo seguire le tracce della tribù Sadoon sospettata di aver aiutato i terroristi. Per avere un minimo di possibilità di non finire in ostaggio, o peggio, la nostra guida ci intima di travestirci il più possibile da locali.
Monica Maggioni, oggi presidente della Rai, allora “solo” inviata della tv pubblica, non si perde d’animo. Nonostante il caldo soffocante del deserto iracheno si infila sotto un chador, il velone nero che copre le donne musulmane dalla testa ai piedi. E poi via a bordo di una scassata utilitaria irachena a caccia di piste per l’attentato attorno a Nassiryah, dove pullulano i miliziani sciiti già in urto con gli italiani arrivati da pochi mesi, dopo la caduta di Saddam Hussein.
La futura presidente, nel 2003, non è proprio alle prime armi nei reportage di guerra. La passione per gli Esteri, e per la carriera, l’ha sempre avuta. A fine anni novanta si cimenta in Sudafrica nel dopo Mandela ed in Mozambico per un’alluvione, ma le ossa in prima linea comincia a farsele in Medio Oriente. A Gerusalemme nel 2000 Monica è spaesata durante l’esplosione di violenza che accende la seconda Intifada. Sotto la porta del Leone, dove i palestinesi lanciano una valanga di pietre, Gian Micalessin, veterano del Medio Oriente, che diventerà per molto tempo suo compagno, la consiglia come non farsi ammazzare e portare lo stesso a casa un servizio.
Tre anni dopo è embedded, aggregata ad un reparto logistico americano che avanza in Iraq. Qualche volo in elicottero e tanta polvere a bordo di un camion a stelle e strisce, che non si ferma spesso. Dopo le mine, i cecchini o le granate da mortaio il problema maggiore per ogni donna che segue la guerra in mezzo ad un fottuto deserto piatto e senza ripari è fare la pipì evitando gli sguardi indiscreti ed i sorrisetti della truppa.
Monica viene accusata, come tutti gli embedded, di sottomettersi alla censura e di stare dalla parte dei marines. Lei non solo risponde a modo, ma ci scrive sopra un libro spiegando un’ovvia verità: “Non avrei mai potuto raccontare un pezzo di mondo, un angolo di guerra che altrimenti non si sarebbe visto. Trovo insopportabile che quella parola venga usata come il velinaro di una volta”.
Il rapporto è ottimo anche con i soldati italiani impegnati nelle guerre di pace. I generali la adorano a tal punto che la piazzano come il prezzemolo in premi, master ed iniziative simili.
So poco e neppure mi interessa sapere di più su pregi e difetti di Monica nel labirinto giornalistico della Rai. Non ho dubbi che se sgobbava come un mulo in prima linea avrà fatto lo stesso nella sua ascesa in tv abituandosi ai campi minati delle redazioni non meno insidiosi di quelli veri. Bravissima nel battere un colpo a destra e uno a sinistra, nonostante la carriera fulminante non ha dimenticato gli anni avventurosi della polvere e del sudore dei reportage. L’ex inviata è stata quasi sempre disponibile per un dibattito o la presentazione di un libro di chi è ancora testardamente attratto dalle guerre.
E pronta sul pezzo se arriva dall’altra parte del mondo. Nel 2013 dal Kazakstan con la prima intervista ad Alma Shalabayeva, la moglie di un discusso dissidente deportata da Roma, Monica, direttore di RaiNews 24, si attacca al telefono con il sottoscritto per montare il servizio al meglio.
Sui tagliagole islamici del Califfato sceglie di non mostrare i loro orrori, ma sbaglia. La guerra va guardata dritta negli occhi per non avere dubbi su chi abbiamo di fronte.
La leggenda vuole che ai primi di agosto Monica parte per il viaggio a Teheran al seguito della delegazione italiana, che riapre i rapporti con gli ayatollah,  per qualche giorno di “relax” con un servizio da Esteri, il primo amore. A casa torna da presidente della Rai. Grazie ad un’idea più o meno dell’ultima ora del ministro Paolo Gentiloni, che guida la delegazione in Iran e di qualche mossa ben piazzata nel tempo.
Dalla poltrona più alta della Rai darà il via libera al più che ostacolato accorpamento delle news. Non tanto per scimmiottare la Bbc, ma perché non ci sono più soldi per mandare al seguito del premier in giro per il mondo un inviato per ogni testata, che gli mette il gelato (microfono) sotto il naso. E poi tutti mandano in onda la stessa dichiarazione.
Da inviata a presidente sarebbe una bella idea rompere la tradizione delle poche fiction buoniste, banali e stucchevoli sulle nostre missioni all’estero con una vera serie di guerra, che potrebbe intitolarsi semplicemente “Soldati”. Basta che descriva come Clint Eastwood in Sniper le storie, senza peli sulla lingua, del sangue e sudore versato da centomila uomini e donne, che negli ultimi dieci anni hanno combattuto in Afghanistan e Iraq. Le stesse, che i giornalisti di guerra, come un tempo Moni la “rossa”, hanno raccontato.
Fausto Biloslavo

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16 marzo 2012 | Terra! | reportage
Feriti d'Italia
Fausto Biloslavo racconta le storie di alcuni soldati italiani feriti nel corso delle guerre in Afghanistan e Iraq. Realizzato per il programma "Terra" (Canale 5).

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29 dicembre 2010 | | reportage
Gli occhi della guerra a Trieste
Dopo aver portato la mostra su 25 anni di reportage di guerra in tutta Italia, finalmente il 29 dicembre è stata inaugurata a Trieste, presso la sala espositiva della Parrocchia di Santa Maria Maggiore, via del Collegio 6. Gli occhi della guerra sono dedicati ad Almerigo Grilz e a tutti i giornalisti caduti sul fronte dell'informazione. La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 10 al 20 gennaio. L'evento è stato organizzato dal Circolo universitario Hobbit con la sponsorizzazione della Regione.

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14 marzo 2015 | Tgr Friuli-Venezia Giulia | reportage
Buongiorno regione
THE WAR AS I SAW IT - L'evento organizzato dal Club Atlantico giovanile del Friuli-Venezia Giulia e da Sconfinare si svolgerà nell’arco dell’intera giornata del 10 marzo 2015 e si articolerà in due fasi distinte: MATTINA (3 ore circa) ore 9.30 Conferenza sul tema del giornalismo di guerra Il panel affronterà il tema del giornalismo di guerra, raccontato e analizzato da chi l’ha vissuto in prima persona. Per questo motivo sono stati invitati come relatori professionisti del settore con ampia esperienza in conflitti e situazioni di crisi, come Gianandrea Gaiani (Direttore responsabile di Analisi Difesa, collaboratore di diverse testate nazionali), Fausto Biloslavo (inviato per Il Giornale in numerosi conflitti, in particolare in Medio Oriente), Elisabetta Burba (firma di Panorama), Gabriella Simoni (inviata Mediaset in numerosi teatri di conflitto, specialmente in Medio Oriente), Giampaolo Cadalanu (giornalista affermato, si occupa di politica estera per La Repubblica). Le relazioni saranno moderate dal professor Georg Meyr, coordinatore del corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Università di Trieste. POMERIGGIO (3 ore circa) ore 14.30 Due workshop sul tema del giornalismo di guerra: 1. “Il reporter sul campo vs l’analista da casa: strumenti utili e accorgimenti pratici” - G. Gaiani, G. Cadalanu, E. Burba, F. Biloslavo 2. “Il freelance, l'inviato e l'addetto stampa in aree di crisi: tre figure a confronto” G. Simoni, G. Cuscunà, cap. B. Liotti

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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

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20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra

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