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Articolo
01 ottobre 2015 - Attualità - Italia - Il Giornale
Ora arrivano gli anarchici a dar manforte ai profughi
«Mentre la ruspa del potere cancella 3 mesi di lotta e autogestione. Sugli scogli continua la resistenza di migranti e solidali (…) we are not going back - Ventimiglia ovunque» è il grido di battaglia degli attivisti «No border» su Facebook, che ieri sono stati sgomberati dalla polizia. La tendopoli abusiva ad un passo da Ventimiglia era il presidio di un centinaio di migranti e amici dell' «invasione», che si battono «contro il regime europeo dei confini».
Fra loro un attivista serbo, che secondo l'agenzia Ansa è stato arrestato su mandato internazionale di cattura per rapina. Non si tratta di quattro gatti isolati, ma del tassello di una rete più ampia, a livello europeo, che punta alla totale libertà di movimento, senza distinzione fra rifugiati e clandestini. Gli attivisti di varie nazionalità forniscono assistenza sul terreno e mappe on line con indicazioni precise sulle rotte, i passaggi, i sotterfugi per raggiungere l'illusorio Eldorado occidentale. Via twitter e Whatsapp indirizzano migliaia di migranti verso determinati punti di frontiera per cercare di sfondarli. La rete «senza confini», infiltrata dagli anarchici, «è uno strumento per i gruppi e le organizzazioni di base a favore dei migranti e dei richiedenti asilo - si legge in rete - al fine di lottare al loro fianco per la libertà di movimento».
All'alba di ieri la polizia, su richiesta della magistratura, ha sgomberato il campo illegale alla Barriera di San Ludovico vicino a Ventimiglia ed al confine francese. Radio Onda rossa incitava in diretta: «Si resiste sugli scogli». Per ore un gruppetto di irriducibili non voleva muoversi lanciando appelli alla mobilitazione su Facebook raccolti dai pacifisti, che hanno manifestato a Genova.
Non a caso sono arrivati in soccorso, a parole, gli ultimi comunisti. Per Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista - Sinistra Europea «gli sgomberi dei migranti e del presidio No Border a Ventimiglia sono vergognosi. Il governo Renzi si ispira con ogni evidenza a Orban (il premier ungherese che ha eretto una barriera anti invasione alle frontiere)». In realtà la stragrande maggioranza della popolazione e lo stesso sindaco Pd di Ventimiglia non ne potevano più della protesta estrema. Tutto è iniziato l'11 giugno quando i migranti sono stati respinti alla frontiera dai francesi. «Da allora la rete di solidarietà (…) ha messo in piedi un laboratorio permanente di resistenza alle politiche repressive esercitate sui confini” sostengono gli attivisti nostrani.
La «resistenza» è pan europea. In settembre prima della chiusura della frontiera ungherese è comparsa la pagina Facebook in inglese «Evitate l'Ungheria - Notizie della migrazione». Grazie a Google maps vengono indicati i tragitti alternativi verso ovest, attraverso Croazia, Slovenia e Austria, con prezzi, lunghezza in chilometri e tempi di percorrenza in treno o su quattro ruote. Non mancano mappe con la nuova rotta che lambisce l'Italia scritte in arabo. Oltre ad indicazioni dei punti di passaggio illegale, dove si trovano i cordoni di polizia per evitarli ed i punti di accoglienza per riprendere le forze. Gli attivisti si presentano su Facebook come «un gruppo di volontari nato per aiutare i richiedenti asilo a trovare rotte alternative per raggiungere le loro destinazioni» fino in Germania e nei paesi del nord Europa.
I pro migranti, compresi «compagni» italiani sono anche sul terreno per indirizzare il flusso. A metà settembre la rete pro “invasione” ha suonato l'adunata via twitter con gli hashtag #Crossingnomore e #marchofhope. Migliaia di migranti hanno risposto all'appello marciando su Edirne, una cittadina turca vicina al confine greco e bulgaro. L'obiettivo era sfondare la frontiera per evitare il passaggio via mare dell'Egeo, ma la polizia turca ha fatto muro.
I piani delle reti pro «invasione» No border e Stop Deportation sono anche più aggressivi. Le compagnie aeree come Lufthansa, Air France, Swissair, Sabena, British Airways, Iberia e pure le agenzie di viaggio sono nel mirino perché «deportano» i clandestini. L'obiettivo è organizzare blocchi e proteste negli aeroporti per fermare i respingimenti. I campi come quello di Ventimiglia già organizzati in Slovacchia, Germania, Polonia, Sicilia e Spagna sono un altro tassello del piano pro «invasione». Ulteriori azioni prevedono l'«evasione dai centri (di accoglienza nda), la loro distruzione o la lotta contro le nuove costruzioni».
[continua]

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e tutti i caduti sul fronte dell'informazione

Ci sono voluti 21 anni, epiche battaglie a colpi di articoli, proteste, un libro fotografico ed una mostra, ma alla fine anche la "casta" dei giornalisti triestini ricorda Almerigo Grilz. L'11 novembre, nella sala del Consiglio comunale del capoluogo giuliano, ha preso la parola il presidente dell'Ordine dei giornalisti del Friuli-Venezia Giulia, Pietro Villotta. Con un appassionato discorso ha spiegato la scelta di affiggere all'ingresso del palazzo della stampa a Trieste una grande targa in cristallo con i nomi di tutti i giornalisti italiani caduti in guerra, per mano della mafia o del terrorismo dal 1945 a oggi. In rigoroso ordine alfabetico c'era anche quello di Almerigo Grilz, che per anni è stato volutamente dimenticato dai giornalisti triestini, che ricordavano solo i colleghi del capoluogo giuliano uccisi a Mostar e a Mogadiscio. La targa è stata scoperta in occasione della celebrazione del centenario della Federazione nazionale della stampa italiana. Il sindacato unico ha aderito all'iniziativa senza dimostrare grande entusiasmo e non menzionando mai, negli interventi ufficiali, il nome di Grilz, ma va bene lo stesso. Vale la pena dire: "Meglio tardi che mai". E da adesso speriamo veramente di aver voltato pagina sul "buco nero" che ha avvolto per anni Almerigo Grilz, l'inviato ignoto.

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Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

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Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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