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Fatti
17 febbraio 2016 - Esteri - Egitto - Panorama
I misteri di un’orribile morte al Cairo

All’università degli studi l’Orientale, a Napoli, un giovane ricercatore voleva andare al Cairo per la sua tesi di dottorato. Tema: i sindacati egiziani che intralciano il nuovo corso dell’ex generale presidente Abdelfattah Al Sisi. La docente supervisore gli ha detto chiaro e netto: «Troppo pericoloso. O cambi ricerca, oppure ti trovi un altro tutor».
L’episodio capitava qualche settimana prima della terribile fine di Giulio Regeni, 28 anni, dottorando italiano all’università di Cambridge, che dal settembre 2015 era al Cairo per un ricerca. Prima che il suo cadavere venisse scoperto nella periferia della metropoli il 3 febbraio, sfigurato da segni di tortura, l’attenzione di Regeni si era focalizzata proprio sui sindacati indipendenti e di sinistra nel mirino del Mukhabarat, i servizi segreti.
Il ministro dell’Interno egiziano Magdi Abdel Ghaffar continua a negare qualsiasi coinvolgimento: «Regeni non è stato imprigionato da alcuna autorità egiziana» ripete. Il giovane friulano era sparito il 25 gennaio, quinto anniversario della rivolta di piazza Tahrir che ha abbattuto il regime di Hosni Mubarak. Secondo Ghaffar, chi ipotizza che la morte di Regeni sia avvenuta durante un interrogatorio delle forze di sicurezza «lancia accuse infondate».
Qualunque sia la verità, il ricercatore originario di Fiumicello (un paese di 5 mila anime in provincia di Udine), era affascinato dagli attivisti antigovernativi e spediva in Italia articoli militanti contro Al Sisi.
Un dottorato in Inghilterra viene pagato in media mille sterline (1.300 euro) al mese e per la sua missione al Cairo Regeni percepiva 350 euro in più. Ma i suoi supervisori dell’università di Cambridge lo avevano messo in guardia sui rischi che correva? Paul Holland a nome dell’ateneo dice a Panorama: «I nostri studenti che vanno all’estero devono svolgere una completa analisi del rischio, seguire le linee guida del ministero degli Esteri britannico per i viaggiatori ed avere un’assicurazione dell’università». Se anche Regeni ha rispettato questi criteri, è comunque finita nel peggiore dei modi.
Il tema della sicurezza è stato sollevato da Neil Pyper, amico di Regeni e docente dell’ateneo inglese di Coventry. È stata forse la passione politica, dimostrata anche dalla copertina del profilo Facebook con una foto in bianco e nero di Enrico Berlinguer, a fargli fare un passo di troppo? «Se ti occupi di temi contemporanei delicati, come i sindacati indipendenti in Egitto, bisogna avere molta prudenza» spiega a Panorama un docente universitario italiano che vuole restare anonimo, anche perché ha molta esperienza sul campo. E aggiunge: «A volte l’intelligenza del supervisore deve frenare il dottorando, che spesso fa un passo di troppo».
L’università di Cambridge, dopo il ritrovamento del corpo di Regeni, ha emesso un comunicato dove si esprimono sdegno e lutto per la morte del ricercatore, e si invitano le autorità egiziane a fare piena luce. Il rettore, contattato da Panorama, non fornisce dettagli sul dottorato e declina la richiesta di un’intervista. Da Cambridge non rispondono a Panoramna nemmeno i due supervisori di Regeni. Sono due professoresse: Anne Alexander, che è coordinatrice di un Centro di ricerche dell’università e avrebbe fornito i contatti al Cairo al giovane ricercatore ucciso; e Maha Abdelrahman, esperta di Egitto.
Le due docenti hanno scritto una lettera aperta al presidente Al Sisi: chiedono di fare luce non solo sulla morte di Regeni ma «su tutte le sparizioni forzate, sui casi di tortura e sui decessi nelle carceri del Paese nordafricano nei mesi di gennaio e febbraio 2016». Da Cambridge è partita anche una petizione: ha già raccolto 4.500 firme, alcune anche nel mondo accademico italiano, che vuole rilanciare la protesta.
Ann Alexander, in un’analisi pubblicata lo scorso ottobre, sostiene le tesi dei Socialisti rivoluzionari, un gruppo trozkista egiziano «che chiede alla sinistra di ripensare l’atteggiamento nei confronti dei
Fratelli musulmani (fuorilegge in Egitto, ndr)per costruire una più efficace opposizione al regime di Abdelfattah al Sisi». Per la docente «la strada attraverso cui costruire un’alleanza capace di farla finita col regime di Al Sisi deve partire lavorando al fianco degli attivisti islamici, che fronteggiano ogni giorno la repressione».
Al Cairo è certo che il ricercatore friulano avesse preso contatto con Hoda Kamel, un attivista del Centro per i diritti economici e sociali: un’organizzazione non governativa più volte perquisita dalla polizia. Il primo dicembre è stato arrestato il giornalista egiziano Ismail Alexandrani, vicino all’organizzazione. L’accusa nei suoi confronti è duplice: fare parte dei Fratelli musulmani e avere diffuso «notizie false». L’avvocato del Centro per i diritti economici e sociali, che difende Alexandrani, è uno dei primi ad avere lanciato l’allarme per la scomparsa di Regeni.
Grazie alla responsabile del Centro, il ricercatore italiano aveva partecipato ad alcune riunioni sindacali scrivendo un articolo, poi pubblicato postumo sul quotidiano il Manifesto. In quel testo Regeni manifesta idee simili a quelle delle sue docenti di Cambridge. «Sfidare lo stato di emergenza e gli appelli alla stabilità e alla pace sociale giustificati dalla guerra al terrorismo, significa oggi (…) mettere in discussione alla base la retorica su cui il
regime giustifica la sua stessa esistenza e la repressione della società civile» scriveva Regeni sul Manifesto.
Malgrado questi toni, Rabab el-Mahdi, che di Regeni era la co-tutor egiziana, ha dichiarato che il ricercatore «se ne stava alla larga da qualsiasi politicizzazione». Regeni «temeva per la sua incolumità», sostiene oggi il Manifesto. Va ricordato che un altro collaboratore del quotidiano, Giuseppe Acconcia, a sua volta ricercatore a Londra, era stato arrestato nel 2011 in piazza Tahir, e individuato come attivista vicino ai Fratelli musulmani.
Insomma, i rischi c’erano ed erano noti. «Quando uno fa il dottorato, è adulto e vaccinato. Scrivere dal Cairo su media militanti e nettamente schierati contro il regime egiziano aggiunge rischio al rischio. Certo, se se la vittima ha peccato d’ingenuità, i bastardi sono comunque i suoi aguzzini che l’hanno torturato e ucciso» dice Marco Lombardi, dell’università Cattolica, esperto di zone calde. Nella capitale egiziana Regeni si appoggiava al l’Università americana, a sua volta sotto la lente del Mukhabarat. Amy Austin Holmes, un’altra docente dell’ateneo in contatto con il ricercatore, dice: «So di gente arrestata e a cui è stato impedito di entrare in Egitto, che lavorava su temi simili a quelli che interessavano a Giulio».
Uno dei docenti universitari italiani interpellati da Panorama sottolinea un altro aspetto: «La prima regola è che la passione politica non oscuri l’obiettività della ricerca, ma le primavere arabe hanno provocato un terremoto ideologico. Tanti ricercatori e giovani studiosi, che stanno sul campo, si sono fatti coinvolgere. Non va bene lo studioso che vive fuori dalla realtà, ma neppure il ricercatore-attivista». n

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10 febbraio 2016 | Sky Tg24 | reportage
Il caso Regeni
I misteri di un'orribile moret al Cairo. I suoi supervisori dell'università di Cambridge lo avevano messo in guardia sui rischi che correva?

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21 agosto 2013 | Uno Mattina | reportage
I Fratelli musulmani piegati dalla piazza e dai militari
Sull'Egitto i grandi inviati sono rimasti infatuati dai Fratelli musulmani duramente repressi, ma gran parte degli egiziani non stava più con loro e non li considerava delle vittime

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23 febbraio 2016 | Porta a Porta | reportage
Il caso Regeni
Un video, denunce pubbliche dei pericoli per gli studenti in Egitto e scritti militanti mostrano un altro volto dei referenti accademici inglesi di Giulio Regeni. Non sono solo professori universitari, ma attivisti contro il regime egiziano oppure erano a conoscenza dei rischi della ricerca al Cairo dello studente friulano. Lo rivela il numero di Panorama in edicola con un titolo forte: “Le colpe dei docenti di Cambridge”.

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07 aprile 2016 | Zapping Rai Radio 1 | intervento
Egitto
Regeni: la pista inglese
Le referenti accademiche di Regeni sono protette da un insolito tabù mediatico e governativo. In realtà proprio il ruolo delle docenti di Cambridge potrebbe indirizzare verso il movente dell’orribile fine del giovane ricercatore. Maha Abdulrahaman, la sua tutor di origini egiziane, l’11 giugno dello scorso anno aveva tenuto una conferenza sui “Diritti umani in Egitto” a Cambridge nella sede di Amnesty international, che ha lanciato la campagna “verità per Giulio”. La conferenza denunciava le “forme di repressione contro giornalisti, studenti, attivisti, lavoratori e cittadini ordinari”. Pur conoscendo bene i pericoli ha controfirmato l’analisi del rischio presentata da Regeni all’università per poter andare al Cairo. La sua sodale, Alexander, ha storto il naso contro la “tardiva” presa di posizione britannica: “Quando un dottorando viene torturato ed ucciso i ministri sembrano riluttanti a dire qualcosa di critico sulle autorità egiziane”. In ottobre con Regeni al Cairo, grazie ai suoi contatti, la docente di Cambridge pubblicava un’analisi proponendo l’alleanza fra gli attivisti di sinistra ed i Fratelli musulmani “capace di farla finita con il regime del generale” Al Sisi, presidente egiziano. Il 25 ottobre firmava un appello contro la visita del capo dello stato egiziano a Londra, poi pubblicato su Ikhwanweb, il sito ufficiale dei Fratelli musulmani. Il 4 novembre con Regeni sempre in prima linea al Cairo arringava la piazza a Londra bollando Al Sisi come “un assassino” sollevando l’entusiasmo e lo sventolio delle bandiere della Fratellanza. Il tutto immortalato in un video, che non può essere sfuggito ai servizi inglesi ed egiziani. Alexander fin dal 2009 è in contatto con Maha Azzam, presidente dell’Egyptian Revolutionary Council, il governo ombra dell’opposizione ad Al Sisi con sede a Ginevra. La Farnesina non ha mai voluto commentare questa parte, inquietante ed ambigua, del caso Regeni, che potrebbe portare al movente del delitto.

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15 febbraio 2016 | Zapping Radio uno | intervento
Egitto
Misteri e sospetti sulla morte di Regeni
Ospedali Bombardati in Siria.Non si fermano i raid:Germano Dottori analista strategicoLuiss,Gastone Breccia esperto Medio Oriente,Loris De Filippi presidente MSF. I misteri ed i sospetti sulla morte di Regeni:Fausto Biloslavo.

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