
|
Articolo
06 gennaio 2017 - Il Fatto - Italia - Il Giornale |
|
L’esultanza dei detenuti dopo gli attentati E sul web 1.200 siti che inneggiano al Califfo |
Fausto Biloslavo Anis Amri, il «macellaio» del mercatino natalizio di Berlino, ucciso dalla polizia alle porte di Milano si è radicalizzato dietro le sbarre. Nelle carceri siciliani, dove ha scontato quattro anni per reati comuni fino al 2015, minacciava un detenuto cristiano dicendo «ti taglio la testa» e inneggiava all\'attentato a Parigi contro Charlie Hebdo. Ad ogni attacco gli estremisti islamici dietro le sbarre in Italia esultano gridando «Allah o akbar», Dio è grande. Dopo gli attentati di Bruxelles del marzo scorso sono stati segnalati una decina di casi. Per ribadire l\'esultanza alzavano il volume della tv quando trasmetteva le immagini e la conta dei morti. Per la strage di Parigi, nel novembre 2015, erano un\'ottantina i seguaci delle bandiere nere che esultavano in cella. Un rapporto del Dipartimento dell\'amministrazione penitenziaria rivela che le carceri «costituiscono un luogo dove gli estremisti possono creare una rete reclutando e radicalizzando nuovi membri attraverso una campagna di proselitismo». E non mancano tentativi piccoli o grandi di rivolta. A Pisa un detenuto islamico ha devastato la sua cella cercando di aizzare gli altri compagni di carcere a ribellarsi nel nome di Allah. Durante una rissa nel penale di Padova, alcuni musulmani, si sono messi ad inneggiare allo Stato islamico. Il convertito italiano Domenico Quaranta, condannato per attentati falliti da Agrigento a Milano, conduceva «la preghiera dei detenuti ristretti per il reato di terrorismo internazionale, che gli hanno formalmente riconosciuto la figura di imam». Uno dei casi più clamorosi è quello del convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari. Nel carcere di massima sicurezza di Macomer, in Sardegna, era diventato il leader di una decina di detenuti per terrorismo islamico. Gendron, una volta tornato in libertà è andato a combattere in Siria, dove è morto in da jihadista. Nelle carceri italiane gran parte dei detenuti islamici non permettono agli agenti di toccare il Corano per controllare se c\'è nascosto qualche messaggio fra le pagine. Molti non si fanno visitare dalle donne e chiedono infermiere con il velo. I detenuti più estremisti insultano gli agenti di guardia bollandoli come «razzisti o servi degli americani». I duri e puri dell\'Islam addirittura protestano se una guardia porta una croce al collo. In alcuni casi sono riusciti a far pubblicare lettere di protesta contro il sistema carcerario sui siti antagonisti. Uno dei fautori dell\'alleanza dietro le sbarre con i terroristi rossi era Moez Fezzani ex ospite delle nostre galere. Il grande vecchio tunisino delle bandiere nere è stato catturato in novembre in Sudan, grazie all\'intelligence italiana. L\'altro campo di battaglia della radicalizzazione jihadista viaggia su internet. Nel 2016 la polizia postale ha individuato 1.200 siti collegati ad organizzazioni islamiche. Ben Dhiab Nasreddin l\'ultimo espulso, a dicembre, per «motivi di sicurezza nazionale» dalla provincia di Brescia, manteneva contatti via Facebook con personaggi ambigui. Karim Bnnk ha come copertina l\'assassino dell\'ambasciatore russo ad Ankara immortalato con la pistola fumante in mano. Ghassem Kchaou utilizza l\'immagine di giovani miliziani armati e poi posta una foto scattata a Roma dell\'ingresso della stazione Termini. Fin dall\'espansione dello Stato islamico nel 2014, cinquantenni convertiti italiani, utilizzavano la bandiera nera del Califfo come copertina su Facebook. Da Raqqa, «capitale» dello Stato islamico Abourassib Alitali, l\' «italiano», che sostiene di arrivare da Milano, ha postato in rete video e proclami delle bandiere nere. Per non parlare delle pagine che non inneggiano direttamente ai terroristi, ma sono comunque radicali, come Musulmani d\'Italia-organizzazione comunitaria. Spesso vengono oscurate d\'autorità, ma poi rispuntano. Il sito di propaganda della guerra santa in Siria Bilad al Sham è stato cancellato 79 volte da Facebook. In rete non mancano gli epitaffi dei «martiri» della guerra santa. Il marocchino Anass Abu Jaffar, che non può tornare in Italia, aveva postato una foto mentre guidava la preghiera fra i monti di Agordo di «un fratello italiano e due fratelli bosniaci tra cui uno è morto». Su di lui invocava la misericordia di Allah. Il «caduto» era Ismar Mesinovic, imbianchino di Longarone, «martire» in Siria per il Califfo. |
[continua] |
|
video
|
|
06 giugno 2017 | Sky TG 24 | reportage
Terrorismo da Bologna a Londra
Fausto Biloslavo
"Vado a fare il terrorista” è l’incredibile affermazione di Youssef Zaghba, il terzo killer jihadista del ponte di Londra, quando era stato fermato il 15 marzo dello scorso anno all’aeroporto Marconi di Bologna. Il ragazzo nato nel 1995 a Fez, in Marocco, ma con il passaporto italiano grazie alla madre Khadija (Valeria) Collina, aveva in tasca un biglietto di sola andata per Istanbul e uno zainetto come bagaglio. Il futuro terrorista voleva raggiungere la Siria per arruolarsi nello Stato islamico. Gli agenti di polizia in servizio allo scalo Marconi lo hanno fermato proprio perché destava sospetti. Nonostante sul cellulare avesse materiale islamico di stampo integralista è stato lasciato andare ed il tribunale del riesame gli ha restituito il telefonino ed il computer sequestrato in casa, prima di un esame approfondito dei contenuti.
Le autorità inglesi hanno rivelato ieri il nome del terzo uomo sostenendo che non “era di interesse” né da parte di Scotland Yard, né per l’MI5, il servizio segreto interno. Il procuratore di Bologna, Giuseppe Amato, ha dichiarato a Radio 24, che "venne segnalato a Londra come possibile sospetto”. E sarebbero state informate anche le autorità marocchine, ma una fonte del Giornale, che ha accesso alle banche dati rivela “che non era inserito nella lista dei sospetti foreign fighter, unica per tutta Europa”.
Non solo: Il Giornale è a conoscenza che Zaghba, ancora minorenne, era stato fermato nel 2013 da solo, a Bologna per un controllo delle forze dell’ordine senza esiti particolari. Il procuratore capo ha confermato che l’italo marocchino "in un anno e mezzo, è venuto 10 giorni in Italia ed è stato sempre seguito dalla Digos di Bologna. Abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare, ma non c'erano gli elementi di prova che lui fosse un terrorista. Era un soggetto sospettato per alcune modalità di comportamento".
Presentarsi come aspirante terrorista all’imbarco a Bologna per Istanbul non è poco, soprattutto se, come aveva rivelato la madre alla Digos “mi aveva detto che voleva andare a Roma”. Il 15 marzo dello scorso anno il procuratore aggiunto di Bologna, Valter Giovannini, che allora dirigeva il pool anti terrorismo si è occupato del caso disponendo un fermo per identificazione al fine di accertare l’identità del giovane. La Digos ha contattato la madre, che è venuta a prenderlo allo scalo ammettendo: "Non lo riconosco più, mi spaventa. Traffica tutto il giorno davanti al computer per vedere cose strane” ovvero filmati jihadisti. La procura ha ordinato la perquisizione in casa e sequestrato oltre al cellulare, alcune sim ed il pc.
La madre si era convertita all’Islam quando ha sposato Mohammed il padre marocchino del terrorista che risiede a Casablanca. Prima del divorzio hanno vissuto a lungo in Marocco. Poi la donna è tornata casa nella frazione di Fagnano di Castello di Serravalle, in provincia di Bologna. Il figlio jihadista aveva trovato lavoro a Londra, ma nella capitale inglese era entrato in contatto con la cellula di radicali islamici, che faceva riferimento all’imam, oggi in carcere, Anjem Choudary. Il timore è che il giovane italo-marocchino possa essere stato convinto a partire per la Siria da Sajeel Shahid, luogotenente di Choudary, nella lista nera dell’ Fbi e sospettato di aver addestrato in Pakistan i terroristi dell’attacco alla metro di Londra del 2005. "Prima di conoscere quelle persone non si era mai comportato in maniera così strana” aveva detto la madre alla Digos.
Il paradosso è che nessuna legge permetteva di trattenere a Bologna il sospetto foreign fighter ed il tribunale del riesame ha accolto l’istanza del suo avvocato di restituirgli il materiale elettronico sequestrato. “Nove su dieci, in questi casi, la richiesta non viene respinte” spiega una fonte del Giornale, che conosce bene la vicenda. Non esiste copia del materiale trovato, che secondo alcune fonti erano veri e propri proclami delle bandiere nere. E non è stato possibile fare un esame più approfondito per individuare i contatti del giovane. Il risultato è che l’italo-marocchino ha potuto partecipare alla mattanza del ponte di Londra.
Parenti e vicini cadono dalle nuvole. La zia acquisita della madre, Franca Lambertini, non ha dubbi: “Era un bravo ragazzo, l'ultima volta che l'ho visto mi ha detto “ciao zia”. Non avrei mai pensato a una cosa del genere".
|
|
|
|
05 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
Islam, matrimoni forzati e padri assassini
Nosheen, la ragazza pachistana, in coma dopo le sprangate del fratello, non voleva sposarsi con un cugino in Pakistan.
Il matrimonio forzato era stato imposto dal padre, che ha ucciso a colpi di mattone la madre della giovane di 20 anni schierata a fianco della figlia. Se Nosheen avesse chinato la testa il marito, scelto nella cerchia familiare, avrebbe ottenuto il via libera per emigrare legalmente in Italia.
La piaga dei matrimoni combinati nasconde anche questo. E altro: tranelli per rimandare nella patria d’origine le adolescenti dove le nozze sono già pronte a loro insaputa; e il business della dote con spose che vengono quantificate in oro o migliaia di euro.
Non capita solo nelle comunità musulmane come quelle pachistana, marocchina o egiziana, ma pure per gli indiani e i rom, che sono un mondo a parte.
|
|
|
|
14 marzo 2015 | Tgr Friuli-Venezia Giulia | reportage
Buongiorno regione
THE WAR AS I SAW IT - L'evento organizzato dal Club Atlantico giovanile del Friuli-Venezia Giulia e da Sconfinare si svolgerà nell’arco dell’intera giornata del 10 marzo 2015 e si articolerà in due fasi distinte: MATTINA (3 ore circa) ore 9.30 Conferenza sul tema del giornalismo di guerra Il panel affronterà il tema del giornalismo di guerra, raccontato e analizzato da chi l’ha vissuto in prima persona. Per questo motivo sono stati invitati come relatori professionisti del settore con ampia esperienza in conflitti e situazioni di crisi, come Gianandrea Gaiani (Direttore responsabile di Analisi Difesa, collaboratore di diverse testate nazionali), Fausto Biloslavo (inviato per Il Giornale in numerosi conflitti, in particolare in Medio Oriente), Elisabetta Burba (firma di Panorama), Gabriella Simoni (inviata Mediaset in numerosi teatri di conflitto, specialmente in Medio Oriente), Giampaolo Cadalanu (giornalista affermato, si occupa di politica estera per La Repubblica). Le relazioni saranno moderate dal professor Georg Meyr, coordinatore del corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Università di Trieste. POMERIGGIO (3 ore circa) ore 14.30 Due workshop sul tema del giornalismo di guerra: 1. “Il reporter sul campo vs l’analista da casa: strumenti utili e accorgimenti pratici” - G. Gaiani, G. Cadalanu, E. Burba, F. Biloslavo 2. “Il freelance, l'inviato e l'addetto stampa in aree di crisi: tre figure a confronto” G. Simoni, G. Cuscunà, cap. B. Liotti
|
|
|
|
radio

|
20 giugno 2017 | WDR | intervento |
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.
|
|
|
|
|