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11 febbraio 2017 - Album - Italia - Il Giornale |
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| Esuli e infoibati, la pietà non è di Stato |
Fausto Biloslavo da Trieste La croce spicca verso il cielo sopra il sepolcro d\'acciaio della foiba di Basovizza, monumento nazionale. Il tricolore sventola a mezz\'asta. I carabinieri in alta uniforme scattano sull\'attenti davanti alle corone di alloro inviate da Roma, al posto delle alte cariche dello Stato, quando la tromba suona il silenzio. Tutt\'attorno, a semicerchio, sono schierati i gonfaloni con i loro antichi simboli delle città perdute di Grisignana, Rovigno, Cherso, Zara sorretti dagli esuli istriani fiumani e dalmati. Ogni 10 febbraio questo popolo in via di estinzione si ritrova per il Giorno del Ricordo davanti alla foiba di Basovizza, simbolo della pulizia etnica anti-italiana di Tito. Gigliola Salvano Vecchione, esule di Cherso, ha in tasca la lettera spedita il 6 ottobre scorso al capo dello Stato Sergio Mattarella. «Le scrivo con molto anticipo nella speranza di vedere, noi ultimi esuli, il nostro Presidente nel settantesimo del Diktat a Trieste , capitale morale dell\'esodo. Ricordo ancora i suoi predecessori Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi inginocchiati in preghiera alla Foiba di Basovizza», scriveva nel testo che racconta la fuga a nove anni da Cherso, oggi Croazia. Centinaia sono le accorate lettere del genere recapitate al Quirinale, ma «il capo dello Stato non ci ha ascoltato - si lamentano gli esuli -. Ancora una volta siamo considerati italiani di serie B». Il presidente Mattarella ieri ha inviato un mellifluo messaggio citando una sola volta la parola «foibe» verso la fine. Per il secondo 10 febbraio di fila è all\'estero. Fra gli esuli la delusione è profonda. E se la prendono con Debora Serracchiani, vicesegretario del Pd e governatrice del Friuli-Venezia Giulia. «Si vergogni, come osa venire. Vada via, a casa, negazionista», le urla un reduce stringendo un tricolore spalleggiato da applausi e «buu» rivolti alla stellina del Partito democratico. La «colpa» è il finanziamento regionale per lo sviluppo del friulano ad una società editrice di libri che minimizzano la tragedia delle foibe. A Basovizza sono arrivati in forze i rappresentanti del centrodestra. Matteo Salvini, segretario della Lega Nord, attacca: «Non ci sono il presidente della Repubblica o quello del Senato o il presidente del Consiglio. Questo mi fa pensare che ci siano morti di serie A e morti di serie B». Giorgia Meloni, leader di Fratelli d\'Italia, si dice «dispiaciuta dell\'assenza del capo dello Stato Mattarella perché il ricordo dei figli d\'Italia massacrati è doveroso». Mariastella Gelmini di Forza Italia punta il dito contro «il negazionismo e l\'ignoranza». I veri protagonisti, però, sono gli infoibati ed i loro familiari che ritirano con le lacrime agli occhi le medaglie del Giorno del Ricordo consegnate dal sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova. Attilio Benvenuti, arrestato dai partigiani di Tito a Trieste nel maggio 1945, non è più tornato, «presumibilmente infoibato» recita la motivazione. La figlia Nadia ricorda piangendo al rappresentante del governo: «Siamo venuti da Pola in Italia, la madrepatria, e abbiamo trovato una matrigna». Il sindaco di Trieste, Roberto Di Piazza, evoca «la lunga scia di sangue tracciata dai partigiani di Tito con un eccidio di massa». Anche Della Vedova parla chiaro: «Conosciamo le troppe storie di connazionali gettati vivi nelle foibe, fatti brutalmente annegare o barbaramente uccisi, e tra questi anche valorosi partigiani. Oltre al silenzio insopportabile calato in Italia su questa vicenda». Belle parole, ma gli esuli temono che pure il governo li snobbi. E citano come curioso esempio il titolo sul sito di palazzo Chigi relativo al «Tavolo di coordinamento Governo-Associazioni esuli friulani» (al posto di fiumani) «istriani e dalmati». Forse per non voler scrivere Fiume in italiano, oggi Rjieka, lo strafalcione, più volte segnalato, non è mai stato corretto. Nel freddo pungente del 10 febbraio davanti alla foiba ci sono le scolaresche. La Julia è l\'unica media di Trieste e Deniz ha collegato in streaming con il tablet un istituto superiore di Lecce. Altri giovani studenti arrivano dalla Sicilia, come Maurizio Giuiusa, che ha le idee chiare: «Era doverosa la presenza di almeno un\'alta carica dello Stato, soprattutto perché le vittime sono italiane, che l\'Italia ha tradito in passato e dimenticato per tanti anni». |
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14 marzo 2015 | Tgr Friuli-Venezia Giulia | reportage
Buongiorno regione
THE WAR AS I SAW IT - L'evento organizzato dal Club Atlantico giovanile del Friuli-Venezia Giulia e da Sconfinare si svolgerà nell’arco dell’intera giornata del 10 marzo 2015 e si articolerà in due fasi distinte: MATTINA (3 ore circa) ore 9.30 Conferenza sul tema del giornalismo di guerra Il panel affronterà il tema del giornalismo di guerra, raccontato e analizzato da chi l’ha vissuto in prima persona. Per questo motivo sono stati invitati come relatori professionisti del settore con ampia esperienza in conflitti e situazioni di crisi, come Gianandrea Gaiani (Direttore responsabile di Analisi Difesa, collaboratore di diverse testate nazionali), Fausto Biloslavo (inviato per Il Giornale in numerosi conflitti, in particolare in Medio Oriente), Elisabetta Burba (firma di Panorama), Gabriella Simoni (inviata Mediaset in numerosi teatri di conflitto, specialmente in Medio Oriente), Giampaolo Cadalanu (giornalista affermato, si occupa di politica estera per La Repubblica). Le relazioni saranno moderate dal professor Georg Meyr, coordinatore del corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Università di Trieste. POMERIGGIO (3 ore circa) ore 14.30 Due workshop sul tema del giornalismo di guerra: 1. “Il reporter sul campo vs l’analista da casa: strumenti utili e accorgimenti pratici” - G. Gaiani, G. Cadalanu, E. Burba, F. Biloslavo 2. “Il freelance, l'inviato e l'addetto stampa in aree di crisi: tre figure a confronto” G. Simoni, G. Cuscunà, cap. B. Liotti
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24 novembre 2015 | Rai 1 Storie vere | reportage
Terrorismo in Europa
Dopo gli attacchi di Parigi cosa dobbiamo fare per estirpare la minaccia in Siria, Iraq e a casa nostra
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30 aprile 2020 | Tg5 | reportage
L'anticamera dell'inferno
Fausto Biloslavo
TRIESTE - “Per noi in prima linea c’è il timore che il ritorno alla vita normale auspicata da tutti possa portare a un aumento di contagi e dei ricoveri di persone in condizioni critiche” ammette Gianfranco, veterano degli infermieri bardato come un marziano per proteggersi dal virus. Dopo anni in pronto soccorso e terapia intensiva lavorava come ricercatore universitario, ma si è offerto volontario per combattere la pandemia. Lunedì si riapre, ma non dimentichiamo che registriamo ancora oltre 250 morti al giorno e quasi duemila nuovi positivi. I guariti aumentano e il contagio diminuisce, però 17.569 pazienti erano ricoverati con sintomi fino al primo maggio e 1578 in rianimazione. Per entrare nel reparto di pneumologia semi intensiva respiratoria dell’ospedale di Cattinara a Trieste bisogna seguire una minuziosa procedura di vestizione. Mascherina di massima protezione, tuta bianca, copri scarpe, doppi guanti e visiera per evitare il contagio. Andrea Valenti, responsabile infermieristico, è la guida nel reparto dove si continua a combattere, giorno e notte, per strappare i contagiati alla morte. Un grande open space con i pazienti più gravi collegati a scafandri o maschere che li aiutano a respirare e un nugolo di tute bianche che si spostano da un letto all’altro per monitorare o somministrare le terapie e dare conforto. Un contagiato con i capelli grigi tagliati a spazzola sembra quasi addormentato sotto il casco da marziano che pompa ossigeno. Davanti alla finestra sigillata un altro paziente che non riesce a parlare gesticola per indicare agli infermieri dove sente una fitta di dolore. Un signore cosciente, ma sfinito, con i tubi dell’ossigeno nel naso è collegato, come gli altri, a un monitor che segnala di continuo i parametri vitali. “Mi ha colpito un paziente che descriveva la sensazione terribile, più brutta del dolore, di non riuscire a respirare. Diceva che “è come se mi venisse incontro la morte”” racconta Marco Confalonieri direttore della struttura complessa di pneumologia e terapia intensiva respiratoria al dodicesimo piano della torre medica di Cattinara. La ventilazione non invasiva lascia cosciente il paziente che a Confalonieri ha raccontato come “bisogna diventare amico con la macchina, mettersi d’accordo con il ventilatore per uscire dal tunnel” e tornare alla vita.
Una “resuscitata” è Vasilica, 67 anni, operatrice di origine romena di una casa di risposo di Trieste dove ha contratto il virus. “Ho passato un inferno collegata a questi tubi, sotto il casco, ma la voglia di vivere e di rivedere i miei nipoti, compreso l’ultimo che sta per nascere, ti fa sopportare tutto” spiega la donna occhialuta con una coperta sulle spalle, mascherina e tubo per l’ossigeno. La sopravvissuta ancora ansima quando parla del personale: “Sono angeli. Senza questi infermieri, medici, operatori sanitari sarei morta. Lottano ogni momento al nostro fianco”.
Il rumore di fondo del reparto è il ronzio continuo delle macchine per l’ossigeno. L’ambiente è a pressione negativa per aspirare il virus e diminuire il pericolo, ma la ventilazione ai pazienti aumenta la dispersione di particelle infette. In 6 fra infermieri ed un medico sono stati contagiati. “Mi ha colpito la telefonata di Alessandra che piangendo ripeteva “non è colpa mia, non è colpa mia” - racconta Confalonieri con il volto coperto da occhialoni e maschera di protezione - Non aveva nessuna colpa, neppure sapeva come si è contagiata, ma si struggeva per dover lasciare soli i colleghi a fronteggiare il virus”.
Nicol Vusio, operatrice sanitaria triestina di 29 anni, ha spiegato a suo figlio che “la mamma è in “guerra” per combattere un nemico invisibile e bisogna vincere”. Da dietro la visiera ammette: “Me l’aspettavo fin dalla prime notizie dalla Cina. Secondo me avremmo dovuto reagire molto prima”. Nicol racconta come bagna le labbra dei pazienti “che con gli occhi ti ringraziano”. I contagiati più gravi non riescono a parlare, ma gli operatori trovano il modo di comunicare. “Uno sguardo, la rotazione del capo, il movimento di una mano ti fa capire se il paziente vuole essere sollevato oppure girato su un fianco o se respira male” spiega Gianfranco, infermiere da 30 anni.
Il direttore sottolinea che “il covid “cuoce” tutti gli organi, non solo il polmone e li fa collassare”, ma il reparto applica un protocollo basato sul cortisone che ha salvato una novantina di contagiati. Annamaria è una delle sopravvissute, ancora debole. Finalmente mangia da sola un piattino di pasta in bianco e con un mezzo sorriso annuncia la vittoria: “Il 7 maggio compio 79 anni”.
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20 giugno 2017 | WDR | intervento |
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.
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