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19 maggio 2017 - Prima - Italia - Il Giornale
Le immagini, i filmati e i racconti: omaggio dei compagni d’avventura
Fausto Biloslavo
Trieste «La sveglia è chiamata poco dopo le 5. (...) Fa freddo, l\\\'erba è umida e c\\\'è una nebbiolina brinosa tutto attorno. Riteniamo opportuno iniziare la giornata con un sorso di whisky, che fa l\\\'effetto di una fiammata in gola» scrive Almerigo Grilz il 18 maggio 1987 sul suo diario di guerra dell\\\'ultimo reportage in Mozambico. «In pochi minuti la colonna è in piedi. I soldati, intirizziti nei loro stracci sbrindellati raccolgono in fretta armi e fardelli. (...) Il vocione del generale Elias (...) li incita a muoversi: Avanza primera compagnia! Vamos in bora!. In no time siamo in marcia». Per Almerigo sarà l\\\'ultimo giorno di appunti. All\\\'alba del 19 maggio, il proiettile di un cecchino gli trapasserà la nuca mentre filma la scomposta ritirata dei guerriglieri della Renamo respinti dai governativi nell\\\'attacco alla città di Caia. Grilz è il primo giornalista italiano caduto in guerra dopo la fine del secondo conflitto mondiale.
Trent\\\'anni dopo Gian Micalessin e chi vi scrive, i suoi compagni di avventura nei reportage, gli dedicano a Trieste, la città dove è nato, la mostra fotografica Gli occhi delle guerra - da Almerigo Grilz alla battaglia di Mosul. Un\\\'esposizione unica in Italia con 90 pannelli su 35 anni di reportage dall\\\'invasione israeliana del Libano nel 1982 fino al caos della Libia, la terribile guerra in Siria e la sanguinosa battaglia contro il Califfo in Irak. La mostra e il catalogo contengono anche le foto scattate da Almerigo nel corso della sua breve, ma intensa attività in Afghanistan, Etiopia, Filippine Mozambico, Iran, Cambogia e Birmania. L\\\'esposizione, che si inaugura oggi alle 18.30 con l\\\'assessore alla Cultura di Trieste, Giorgio Rossi, al civico museo di guerra per la pace Diego de Henriquez rimarrà aperta fino al 3 luglio.
Della mostra fa parte una selezione delle pagine più significative delle agende che Almerigo Grilz utilizzava per annotare con precisione ogni momento dei suoi reportage corredando il tutto con disegni e mappe dettagliate. La futura vocazione e la passione del giornalista emerge pure dalle pagine dei Diari del giovane Grilz con un Almerigo adolescente che disegnava scene di battaglie storiche e descriveva gli avvenimenti della sua Trieste. Il pubblico potrà sfogliare anche le bozze del fumetto Almerigo Grilz - avventura di una vita al fronte (Ferrogallico editore), dalla passione politica al giornalismo, che verrà pubblicato in settembre.
Un percorso nella memoria di un giornalista scomodo e volutamente poco ricordato per il suo attivismo a destra, nel Fronte della gioventù, negli anni Settanta, che non a caso Toni Capuozzo ha definito l\\\'«inviato ignoto». Oggi alle 19.30 Almerigo verrà ricordato a Trieste anche in via Paduina davanti a quella che è stata la sede nel Fronte, l\\\'organizzazione giovanile del Movimento sociale italiano.
Al museo de Henriquez accanto alle foto scorrono i filmati realizzati da Almerigo con la cinepresa Super 8. E l\\\'invito in studio nel 1986 di Ambrogio Fogar nel programma Jonathan dimensione avventura dove Grilz con Egisto Corradi, storica colonna del Giornale e Maurizio Chierici del Corriere della Sera parlano del mestiere di inviato di guerra e dei suoi pericoli.
I video comprendono anche i reportage di oggi sui Paesi senza pace come Afghanistan, Siria, Libia, Irak realizzati grazie al progetto del giornale.it, gli Occhi della guerra e al sostegno dei nostri lettori. E non manca il documentario L\\\'Albero di Almerigo che racconta la ricerca e il ritrovamento in Mozambico dell\\\'antico albero ai piedi del quale riposa Almerigo Grilz.
La mostra nel trentennale della sua scomparsa vuole essere anche un tributo ai reportage in prima linea, in un periodo di media in crisi e un omaggio non solo a Grilz, ma a tutti i giornalisti che hanno perso la vita sul fronte dell\\\'informazione per raccontare le tragedie dei conflitti. Nel 1986 in Mozambico, un anno prima di morire, Almerigo annotava sul suo diario: «Mi sporgo fuori per filmarli: non è facile, occorre stare appiattiti a terra perché le pallottole fischiano dappertutto. Alzare troppo la testa può essere fatale».
[continua]

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18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre. Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato. Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano. Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca. “Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria. Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida. L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane. La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....

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07 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Parla il sopravvissuto al virus
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il sopravvissuto sta sbucciando un’arancia seduto sul letto di ospedale, come se non fosse rispuntato da poco dall’anticamera dell’inferno. Maglietta grigia, speranza dipinta negli occhi, Giovanni Ziliani è stato dimesso mercoledì, per tornare a casa. Quarantadue anni, atleta e istruttore di arti marziali ai bambini, il 10 marzo ha iniziato a stare male nella sua città, Cremona. Cinque giorni dopo è finito in terapia intensiva. Dalla Lombardia l’hanno trasferito a Trieste, dove un tubo in gola gli pompava aria nei polmoni devastati dall’infezione. Dopo 17 giorni di calvario è tornato a vivere, non più contagioso. Cosa ricorda di questa discesa all’inferno? “Non volevo dormire perchè avevo paura di smettere di respirare. Ricordo il tubo in gola, come dovevo convivere con il dolore, gli sforzi di vomito ogni volta che cercavo di deglutire. E gli occhi arrossati che bruciavano. Quando mi sono svegliato, ancora intubato, ero spaventato, disorientato. La sensazione è di impotenza sul proprio corpo. Ti rendi conto che dipendi da fili, tubi, macchine. E che la cosa più naturale del mondo, respirare, non lo è più”. Dove ha trovato la forza? “Mi sono aggrappato alla famiglia, ai valori veri. Al ricordo di mia moglie, in cinta da otto mesi e di nostra figlia di 7 anni. Ti aggrappi a quello che conta nella vita. E poi c’erano gli angeli in tuta bianca che mi hanno fatto rinascere”. Gli operatori sanitari dell’ospedale? “Sì, medici ed infermieri che ti aiutano e confortano in ogni modo. Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”. Il momento che non dimenticherà mai? “Quando mi hanno estubato. E’ stata una festa. E quando ero in grado di parlare la prima cosa che hanno fatto è una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo”. Come ha recuperato le forze? “Sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”. Come è stato infettato? “Abbiamo preso il virus da papà, che purtroppo non ce l’ha fatta. Mio fratello è intubato a Varese non ancora fuori pericolo”. E la sua famiglia? “Moglie e figlia di 7 anni per fortuna sono negative. La mia signora è in attesa di Gabriele che nascerà fra un mese. Ed io sono rinato a Trieste”. Ha pensato di non farcela? “Ero stanco di stare male con la febbre sempre a 39,6. Speravo di addormentarmi in terapia intensiva e di risvegliarmi guarito. Non è andata proprio in questo modo, ma è finita così: una vittoria per tutti”.

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21 settembre 2012 | La Vita in Diretta | reportage
Islam in Italia e non solo. Preconcetti, paure e pericoli


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20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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