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29 giugno 2017 - Il Fatto - Italia - Il Giornale
Il sistema anti-emergenza? In tilt per l’emergenza
Fausto Biloslavo
Trecentomila euro già spesi, sperimentazione iniziata lo scorso novembre e annuncio della partenza entro l\'estate con il nuovo Sistema informatico del Viminale, che dovrebbe tracciare e distribuire i migranti sul territorio nazionale. Oltre a controllare le presenze effettive ed evitare le truffe sui numeri e rispettivi esborsi per migrante (35 euro) da parte dello Stato. Bella idea, ma il mitico Sga (Sistema gestione e accoglienza) non è ancora attivo proprio per l\'emergenza sbarchi estiva, perfettamente prevista, che doveva affrontare. E nascerà monco senza il cruciale controllo sui veri numeri dei migranti presenti nei centri e l\'erogazione dei contributi per evitare malversazioni già avvenute.
La triste realtà è emersa ieri durante l\'audizione davanti alla Commissione d\'inchiesta sulla digitalizzazione della Camera di Enza Maria Leone. Il 15 marzo la responsabile del Sistema informatico di gestione dell\'accoglienza del Dipartimento per le libertà civili e l\'immigrazione del ministero dell\'Interno, aveva annunciato la partenza del sistema di tracciatura dei migranti entro l\'estate. «Tra maggio e giugno di quest\'anno: in questa maniera avremo un quadro preciso dei migranti in Italia» aveva dichiarato Leone.
Ieri ha ammesso di aver «fatto una valutazione sbagliata indicando una data di partenza entro l\'estate. Mettere in esercizio un sistema del genere in questo momento delicato ha un certo impatto». In pratica il controllo centralizzato dei migranti «in Italia fin dal loro arrivo alla pianificazione dell\'accoglienza a livello periferico» rischiava di andare in tilt proprio a causa dell\'emergenza sbarchi. «Abbiamo bisogno di caricare e controllare la mole di dati da inserire che sono arrivati dalle prefetture. La verifica ha richiesto più tempo del previsto ed impedito la partenza entro l\'estate» ha spiegato l\'esperta del Viminale. Davanti alle pressanti domande dei parlamentari Leone ha dichiarato: «Penso che si partirà entro l\'anno». I costi, fino ad oggi, indicati dalla dirigente «sono attorno ai 300mila euro», ma è saltato fuori che il sistema, per ora, sarà monco. «All\'inizio della procedura - ha spiegato Leone - c\'è la raccolta delle impronte digitali e viene assegnato a ogni migrante il Cui, Codice identificativo unico, che inserito nel sistema Sga consente di tracciarlo e identificarlo con precisione». Il secondo passo è «la ripartizione, che avviene prima a livello regionale, poi sono le prefetture ad allocare i migranti nei centri di competenza».
Vincenza Bruno Bossio del Partito democratico e altri parlamentari hanno, però, scoperchiato i limiti del nuovo sistema informatico. Sga registra l\'arrivo del migrante allo sbarco e le prefetture confermano l\'iniziale presenza nei centri regionali, ma poi il controllo si perde. Bossio ha fatto notare che nel caso del Cara (Centro di accoglienza per i richiedenti asilo) di Crotone travolto da un\'inchiesta i numeri dei migranti realmente presenti erano fittizi. Leone ha ammesso che «al momento il livello di controllo dentro i centri non è garantito» dall\'innovativo sistema informatico, anche se «lo gestirà in futuro». Questo significa che non inciderà, per ora, sulle truffe dell\'accoglienza. Il 15 marzo, quando era stato annunciato che il sistema sarebbe partito entro l\'estate, il Viminale parlava di «uno strumento ideato per gestire in maniera sia centralizzata che periferica il problema della pianificazione e dell\'allocazione delle risorse». Ad una domanda specifica, durante l\'audizione di ieri, se i contributi concessi per i migranti saranno informatizzati la risposta di Leone non lascia dubbi: Questo è il sistema di controllo delle presenze. Al momento i fondi vengono erogati su segnalazione quotidiana delle prefetture ed in questo momento non è prevista la gestione dei contributi».
[continua]

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14 marzo 2015 | Tgr Friuli-Venezia Giulia | reportage
Buongiorno regione
THE WAR AS I SAW IT - L'evento organizzato dal Club Atlantico giovanile del Friuli-Venezia Giulia e da Sconfinare si svolgerà nell’arco dell’intera giornata del 10 marzo 2015 e si articolerà in due fasi distinte: MATTINA (3 ore circa) ore 9.30 Conferenza sul tema del giornalismo di guerra Il panel affronterà il tema del giornalismo di guerra, raccontato e analizzato da chi l’ha vissuto in prima persona. Per questo motivo sono stati invitati come relatori professionisti del settore con ampia esperienza in conflitti e situazioni di crisi, come Gianandrea Gaiani (Direttore responsabile di Analisi Difesa, collaboratore di diverse testate nazionali), Fausto Biloslavo (inviato per Il Giornale in numerosi conflitti, in particolare in Medio Oriente), Elisabetta Burba (firma di Panorama), Gabriella Simoni (inviata Mediaset in numerosi teatri di conflitto, specialmente in Medio Oriente), Giampaolo Cadalanu (giornalista affermato, si occupa di politica estera per La Repubblica). Le relazioni saranno moderate dal professor Georg Meyr, coordinatore del corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Università di Trieste. POMERIGGIO (3 ore circa) ore 14.30 Due workshop sul tema del giornalismo di guerra: 1. “Il reporter sul campo vs l’analista da casa: strumenti utili e accorgimenti pratici” - G. Gaiani, G. Cadalanu, E. Burba, F. Biloslavo 2. “Il freelance, l'inviato e l'addetto stampa in aree di crisi: tre figure a confronto” G. Simoni, G. Cuscunà, cap. B. Liotti

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26 settembre 2012 | Uno Mattina | reportage
I lati oscuri (e assurdi) delle adozioni
Con mia moglie, prima di affrontare l’odissea dell’adozione, ci chiedevamo come mai gran parte delle coppie che sentono questa spinta d’amore andavano a cercare bambini all’estero e non in Italia. Dopo quattro anni di esperienza sulla nostra pelle siamo arrivati ad una prima, parziale e triste risposta. La burocratica e farraginosa gestione delle adozioni nazionali, grazie a leggi e cavilli da azzeccagarbugli, non aiutano le coppie che vogliono accogliere un bimbo abbandonato in casa propria, ma le ostacolano.

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30 aprile 2020 | Tg5 | reportage
L'anticamera dell'inferno
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Per noi in prima linea c’è il timore che il ritorno alla vita normale auspicata da tutti possa portare a un aumento di contagi e dei ricoveri di persone in condizioni critiche” ammette Gianfranco, veterano degli infermieri bardato come un marziano per proteggersi dal virus. Dopo anni in pronto soccorso e terapia intensiva lavorava come ricercatore universitario, ma si è offerto volontario per combattere la pandemia. Lunedì si riapre, ma non dimentichiamo che registriamo ancora oltre 250 morti al giorno e quasi duemila nuovi positivi. I guariti aumentano e il contagio diminuisce, però 17.569 pazienti erano ricoverati con sintomi fino al primo maggio e 1578 in rianimazione. Per entrare nel reparto di pneumologia semi intensiva respiratoria dell’ospedale di Cattinara a Trieste bisogna seguire una minuziosa procedura di vestizione. Mascherina di massima protezione, tuta bianca, copri scarpe, doppi guanti e visiera per evitare il contagio. Andrea Valenti, responsabile infermieristico, è la guida nel reparto dove si continua a combattere, giorno e notte, per strappare i contagiati alla morte. Un grande open space con i pazienti più gravi collegati a scafandri o maschere che li aiutano a respirare e un nugolo di tute bianche che si spostano da un letto all’altro per monitorare o somministrare le terapie e dare conforto. Un contagiato con i capelli grigi tagliati a spazzola sembra quasi addormentato sotto il casco da marziano che pompa ossigeno. Davanti alla finestra sigillata un altro paziente che non riesce a parlare gesticola per indicare agli infermieri dove sente una fitta di dolore. Un signore cosciente, ma sfinito, con i tubi dell’ossigeno nel naso è collegato, come gli altri, a un monitor che segnala di continuo i parametri vitali. “Mi ha colpito un paziente che descriveva la sensazione terribile, più brutta del dolore, di non riuscire a respirare. Diceva che “è come se mi venisse incontro la morte”” racconta Marco Confalonieri direttore della struttura complessa di pneumologia e terapia intensiva respiratoria al dodicesimo piano della torre medica di Cattinara. La ventilazione non invasiva lascia cosciente il paziente che a Confalonieri ha raccontato come “bisogna diventare amico con la macchina, mettersi d’accordo con il ventilatore per uscire dal tunnel” e tornare alla vita. Una “resuscitata” è Vasilica, 67 anni, operatrice di origine romena di una casa di risposo di Trieste dove ha contratto il virus. “Ho passato un inferno collegata a questi tubi, sotto il casco, ma la voglia di vivere e di rivedere i miei nipoti, compreso l’ultimo che sta per nascere, ti fa sopportare tutto” spiega la donna occhialuta con una coperta sulle spalle, mascherina e tubo per l’ossigeno. La sopravvissuta ancora ansima quando parla del personale: “Sono angeli. Senza questi infermieri, medici, operatori sanitari sarei morta. Lottano ogni momento al nostro fianco”. Il rumore di fondo del reparto è il ronzio continuo delle macchine per l’ossigeno. L’ambiente è a pressione negativa per aspirare il virus e diminuire il pericolo, ma la ventilazione ai pazienti aumenta la dispersione di particelle infette. In 6 fra infermieri ed un medico sono stati contagiati. “Mi ha colpito la telefonata di Alessandra che piangendo ripeteva “non è colpa mia, non è colpa mia” - racconta Confalonieri con il volto coperto da occhialoni e maschera di protezione - Non aveva nessuna colpa, neppure sapeva come si è contagiata, ma si struggeva per dover lasciare soli i colleghi a fronteggiare il virus”. Nicol Vusio, operatrice sanitaria triestina di 29 anni, ha spiegato a suo figlio che “la mamma è in “guerra” per combattere un nemico invisibile e bisogna vincere”. Da dietro la visiera ammette: “Me l’aspettavo fin dalla prime notizie dalla Cina. Secondo me avremmo dovuto reagire molto prima”. Nicol racconta come bagna le labbra dei pazienti “che con gli occhi ti ringraziano”. I contagiati più gravi non riescono a parlare, ma gli operatori trovano il modo di comunicare. “Uno sguardo, la rotazione del capo, il movimento di una mano ti fa capire se il paziente vuole essere sollevato oppure girato su un fianco o se respira male” spiega Gianfranco, infermiere da 30 anni. Il direttore sottolinea che “il covid “cuoce” tutti gli organi, non solo il polmone e li fa collassare”, ma il reparto applica un protocollo basato sul cortisone che ha salvato una novantina di contagiati. Annamaria è una delle sopravvissute, ancora debole. Finalmente mangia da sola un piattino di pasta in bianco e con un mezzo sorriso annuncia la vittoria: “Il 7 maggio compio 79 anni”.

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20 giugno 2017 | WDR | intervento
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Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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