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Articolo
04 agosto 2017 - Il Fatto - Libia - Il Giornale |
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Le minacce di Haftar mettono paura ai nostri pescatori |
L a missione navale italiana nelle acque libiche per arginare l\'ondata di migranti è sotto attacco, almeno verbale. Difficile che arrivino le bombe vere, ma non è escluso che ci vada di mezzo qualche peschereccio italiano al largo della Libia come rappresaglia o che in piazza a Bengasi vengano bruciate le nostre bandiere. L\'ultima bordata contro Roma arriva da Seif el Islam, il figlio «intelligente» del colonnello Gheddafi liberato a fine giugno, che ha trovato ospitalità in Cirenaica, nell\'est del paese, feudo del generale Khalifa Haftar. «La politica italiana verso la Libia si basa sulla colonizzazione e sulla strategia fascista del passato» avrebbe sparato Seif secondo una fonte a lui vicina, che ha parlato ieri con la tv locale Libia 24. L\'ex delfino del colonnello usa l\'arma della retorica intrisa di propaganda per minacciare l\'Italia: «Con l\'invio di navi da guerra violano la sovranità della Libia. Una politica nostalgica della visione coloniale e fascista che considerava le coste di Tripoli come una colonia di Roma». Seif el Islam si toglie anche qualche sassolino dalle scarpe sull\'intervento armato del 2011 che ha abbattuto il regime del padre: «I politici italiani hanno rovinato la sintonia e i rapporti che erano alla base delle relazioni tra i due Paesi vicini dopo aver concesso alla Nato di bombardare le città libiche da basi italiane». E rincara la dose sostenendo che con la nuova missione «gli italiani ripetono lo scenario della Nato provocando i sentimenti dei libici e il loro amore verso il proprio Paese». Peccato che il figlio intelligente di Gheddafi non ricordi come i francesi abbiano forzato la mano all\'Occidente per bombardare la Libia sei anni fa. La stessa grandeur che adesso appoggia il generale Haftar e continua ad ostacolare l\'Italia, non solo sullo scacchiere libico, in una battaglia geopolitica senza precedenti. Non a caso il portavoce di Haftar, generale Khalifa al-Obeidi, ha confermato, ieri, gli ordini «al capo di stato maggiore della Marina di impedire a qualsiasi nave straniera di entrare nelle acque territoriale libiche». Proprio Haftar, uomo forte della Cirenaica, aveva dato fuoco alle polveri ordinando mercoledì sera di bombardare le navi italiane. Missione quasi impossibile tenendo conto che i pochi Mig russi a disposizioni del generale sono messi male e la distanza enorme fra la Cirenaica, base dell\'esercito di Haftar e la Tripolitania, dove arriverà la mini flotta della Marina militare. Lo stesso Obeidi ha chiarito che gli ordini sono stati inviati alle unità di stanza nel porto di Tobruk, Bengasi e Ras Lanuf a ben mille chilometri da Tripoli dove è attraccata nave Borsini per la ricognizione della missione italiana. Più probabile qualche colpo di mano come il sequestro di pescherecci, che dalla Sicilia puntano la prua verso sud. In passato è già capitato più volte al largo di Bengasi capoluogo della Cirenaica in mano ad Haftar. Oppure gli uomini del generale potrebbero inscenare manifestazioni popolari, più o meno pilotate, facendo leva sul sentimento nazionalista della Cirenaica, che ai tempi dell\'occupazione coloniale era una roccaforte della ribellione anti italiana. Scenari già visti, che al massimo porteranno a qualche bandiera italiana bruciata davanti alle telecamere, ma nessun pericolo concreto per le nostre navi. Per rincarare la dose politica delle minacce ieri ha ribadito il niet alla missione italiana pure il parlamento non più riconosciuto di Tobruk. Il «rifiuto» all\'Italia «è categorico» in nome della sovranità nazionale ed il nostro paese viene messo in guardia dal pericolo di esportare la crisi umanitaria da casa nostra alla Libia «attraverso il rimpatrio dei migranti illegali». Secondo fonti di Palazzo Chigi le minacce all\'Italia sono «inattendibili ed infondate». Si sottolinea che la richiesta di intervento arriva dal governo riconosciuto dell\'Onu di Fayez al Sarraj. Il punto critico è proprio il riconoscimento dell\'esecutivo di Tripoli, che a malapena controlla la capitale, piuttosto che del generale Haftar radicato in Cirenaica ed in espansione anche al sud proprio nelle aree di ingresso dei migranti africani diretti sulle coste libiche. |
[continua] |
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01 luglio 2019 | TG4 | reportage
#IoNonStoConCarola
“Io non sto con Carola”, la capitana trasformata in eroina per avere violato la legge. E bisognerebbe dirlo forte e chiaro per rompere questa illusione di solidarietà maggioritaria pompata ad arte dalla sinistra, da Ong talebane dell’accoglienza, una bella fetta dela Chiesa e dai pezzi da novanta del facile buonismo radical chic come Saviano, Fazio, Lerner e Murgia.
Per non parlare del governo tedesco e francese, che con una faccia di bronzo unica, ci fa la morale sulla capitana.
Ovviamente è passato sotto silenzio un sondaggio del 27 giugno su Rai3, non proprio una rete mangia migranti, che svelava come il 61% degli italiani fosse contrario all’attracco della nave Sea watch a Lampedusa, ancora prima dell’epilogo forzato deciso dalla capitana.
Se al volante della tua automobile trovi lungo la strada un carabiniere con la paletta che intima l’alt, cosa fai? Accosti e non sfondi il posto di blocco. Se speroni la macchina dell’Arma vieni rincorso armi in pugno e ti arrestano, ancor più se a bordo hai dei clandestini. E nessuno si sognerebbe di alzare un dito in tua difesa con pelose giustificazioni umanitarie.
Carola Rackete ha sfondato il blocco ordinato dal Viminale, violato la legge, speronato una motovedetta mettendo in pericolo la vita dei finanzieri a bordo e la stanno trasformando in un’eroina dei due mondi.
Non solo: da oggi potrebbe essere libera e bella.
Un mondo alla rovescia dove le Ong si sostituiscono agli stati e fanno quello che vogliono calpestando la sovranità nazionale del nostro paese.
Per non parlare del paradosso che Sea watch, grazie al polverone sollevato, ha pure incassato oltre un milione di euro con raccolte fondi in Germania e in Italia per la difesa dell’eroina dei due mondi.
Carola ha agito in stato di necessità per “salvare vite umane” sostegno i suoi fan. Ma se vogliamo salvare veramente i migranti in Libia, a cominciare da quelli rinchiusi nei centri di detenzione, dobbiamo continuare a riportarli a casa loro come sta facendo a rilento e fra mille difficoltà una delle agenzie dell’Onu, difficile da paragonare a SS moderne.
E non andarli a prendere al largo della Libia come ha fatto la capitana, che rimane indagata per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E piuttosto che sbarcarli in Tunisia il posto più vicino a sicuro li ha portati dritta, dritta in Italia per creare un caso politico usando come paravento “le vite salvate in mare”
La dimostrazione è la pattuglia di parlamentari di sinistra salita a bordo in favore di telecamere.
L’obiettivo finale dei talebani dell’accoglienza è tornare a spalancare le porte dell’Europa agli sbarchi di massa del passato con 170mila arrivi all’anno in Italia
Non si tratta di parteggiare per Salvini o il governo, ma di smetterla di farci prendere in giro trasformando la capitana che ha violato scientemente la legge in un’eroina. Per questo gli italiani, primi fra tutti i moderati dotati di buon senso, dovrebbero dire forte e chiaro “io non sto con Carola”.
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19 marzo 2011 | Studio Aperto | reportage
Diario dalla Libia in fiamme
Diario dalla Libia in fiamme
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22 marzo 2011 | TG4 | reportage
Diario dalla Libia in fiamme
Diario dalla Libia in fiamme
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09 marzo 2011 | Panorama | intervento |
Libia
Diario dalla Libia
Diario dalla Libia
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06 marzo 2011 | Panorama | intervento |
Libia
Diario dalla Libia
Diario dalla Libia
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02 marzo 2011 | Panorama | intervento |
Libia
Diario dalla Libia
Una nube nera su tutta Tripoli
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26 agosto 2011 | Radio Città Futura | intervento |
Libia
I giornalisti italiani rapiti a Tripoli
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29 aprile 2011 | Spazio Radio | intervento |
Libia
Piegare Gheddafi e preparare l'intervento terrestre
Gli americani spingono con insistenza per un maggiore coinvolgimento dell’Italia nel conflitto in Libia, non solo per passare il cerino politico agli europei. L’obiettivo finale è piegare il colonnello Gheddafi e far sbarcare una forza di interposizione in Libia, con ampia partecipazione italiana. Un modello stile ex Yugoslavia, dove il contingente occidentale è arrivato dopo l’offensiva aerea.
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