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Scenari Mondo
28 dicembre 2017 - Esteri - Israele - Panorama
Per l’ambasciata Usa un trasloco complesso

Il riconoscimento della Casa Bianca di Gerusalemme capitale di Israele ha scatenato la collera palestinese e un voto contrario dlel’Onu. Peccato che, per spostare l’ambasciata statunitense da Tel Aviv alla città santa, ci vorrà un minimo di tre anni. Le opzioni sul luogo in cui sorgerà la nuova sede diplomatica sono segrete e tutte complicate da sensibilità politiche e obblighi di sicurezza. E c’è anche l’ipotesi di far rimanere la struttura a Tel Aviv, facendo spostare formalmente soltanto l’ambasciatore, che sarebbe costretto a un pendolarismo quotidiano.

L’annuncio di Donald Trump del 6 dicembre ha dato semplicemente il via libera a una legge del Congresso americano, che già nel 1995 prevedeva lo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme. I predecessori di Trump, sia democratici sia repubblicani, avevano utilizzato il loro potere per congelare la decisione, in nome della sicurezza nazionale. Pochi, però, sanno che era stato il presidente americano Ronald Reagan a ordinare di trovare un luogo dove edificare una futura sede diplomatica a Gerusalemme. Nel 1989 l’allora ambasciatore americano in Israele, William Brown, all’ultimo giorno della presidenza Reagan firmò un contratto di affitto simbolico di un terreno a un dollaro l’anno per 99 anni. 

Oggi quell’area si trova al limite del quartiere di Talpiot, a Gerusalemme Ovest. Il problema è che i palestinesi rivendicano la proprietà di gran parte dei 31.250 metri quadrati conquistati dalle forze ebraiche fin dal 1948. Non solo: dopo gli attentati suicidi di al Qaeda del 1998, che hanno provocato una strage alle ambasciate statunitensi in Kenya e in Tanzania, il Dipartimento di Stato ha stabilito ulteriori norme di sicurezza draconiane. In pratica, nessuna ambasciata può sorgere a meno di 100 metri dalle strade adiacenti, per evitare attacchi con macchine o con camion minati. 

La zona affittata dal presidente Reagan ospitava una caserma inglese abbastanza isolata, che risaliva al protettorato britannico. Adesso è in uno stato di abbandono ed è cosparsa di rifiuti, ma si trova in mezzo a un’area densamente abitata. 

Un’altra opzione sul piatto di Washington è l’utilizzo o l’ampliamento di un edificio già esistente, per esempio una delle strutture consolari statunitensi nel quartiere Arnona. I piani per l’ambasciata prevedono di occupare un edificio adiacente al consolato, corrispondente all’hotel Diplomat. Ma resta il problema di trovare posto, anche in termini di abitazioni private, a uno staff di 960 persone che attualmente operano a Tel Aviv.

Tutti i dipendenti consolari americani a Gerusalemme non arrivano a 600 persone. E una bella fetta lavora nel consolato a Gerusalemme Est, che è off limits per l’insediamento della nuova ambasciata. Per questo motivo non si esclude che la sede diplomatica possa sorgere ex novo alla periferia o fuori Gerusalemme, a una certa distanza dal centro città. 

Lo scorso marzo, prima dell’annuncio ufficiale, il presidente Trump aveva dichiarato che l’ambasciata sarebbe stata spostata «molto velocemente». Non la pensa così Daniel Shapiro. Secondo lui, ex ambasciatore in Israele con il presidente Barack Obama, per lo spostamento della nuova sede diplomatica «ci potrebbero volere da cinque a 10 anni».  

(Fausto Biloslavo)