
|
Reportage
10 maggio 2019 - Controstorie - Libia - Il Giornale |
|
Al fronte di Tripoli con i soldati di Serraj in una lotta cruenta che non ha vincitori |
Fausto Biloslavo da Tripoli Le vampate rossastre illuminano il tetto in prima linea nella cupa notte della battaglia di Tripoli. Un giovane mitragliere spara brevi raffiche intermittenti verso le postazioni del generale Khalifa Haftar. Per girare sul fronte della capitale con il calare del buio il sistema migliore è infilarsi in un\\\'ambulanza, che passa facilmente i posti di blocco. L\\\'assurdo è che una manciata di chilometri più indietro la vita nel centro di Tripoli scorre normalmente caotica, in mezzo al solito traffico, come se la guerra fosse lontana. Un mese dopo l\\\'inizio della battaglia per la capitale la situazione sul terreno è di drammatico stallo, come ha ammesso il premier Giuseppe Conte dopo l\\\'incontro a Roma con Fayez el Serraj, il capo del governo libico riconosciuto dall\\\'Onu. Serraj ha chiesto inutilmente all\\\'Italia un aiuto militare, ma i nostri 400 soldati all\\\'ospedale da campo di Misurata e a bordo di nave Capri nel porto di Tripoli si guardano bene dall\\\'intervenire negli scontri. La grande strada del sobborgo di Yarmuk, a 9 chilometri dal centro, è interrotta da un container e montagnette di terra, che un bulldozer rafforza con il calare del sole. Sul lato destro la palazzina abbandonata è un\\\'ottima postazione per martellare le linee nemiche. Nel buio più assoluto ci arrampichiamo sulle scale con i combattenti affannati, che trasportano pesanti casse di munizioni. Sul tetto piatto che domina mezzo quartiere i difensori di Tripoli giunti da Misurata, la Sparta libica, hanno piazzato una mitragliatrice Duska, senza treppiede, incastrandola sul parapetto. Gli unici a tenere la testa bassa sono i giornalisti a differenza dei combattenti, che si espongono senza problemi per prendere la mira e sparare tremende bordate inghiottite dal buio. Il tetto è una specie di armeria dove si preparano i nastri delle munizioni per la mitragliatrice alla luce di un telefonino nella speranza di non essere visti dai cecchini di Haftar. Il comandante di Misurata, che vive da settimane in prima linea, indica al giovane mitragliere dove sparare e parte la sequenza di colpi che illumina il tetto di rosso facendolo diventare un bersaglio perfetto. Nella capitale si perdono e riconquistano posizioni, ma le linee si muovono di poco. Il governo Serraj non riesce a ricacciare indietro le truppe di Haftar. E il generale della Cirenaica non è stato in grado di arrivare al centro, come aveva annunciato entro il Ramadan, il mese di digiuno islamico iniziato il 6 maggio. I governativi forse prenderanno l\\\'aeroporto internazionale in disuso dal 2014, ma Tripoli rimane assediata. Nel caos spuntano dei personaggi unici, che si incontrano solo nella guerre. Mohammed ancora zoppica per un proiettile che gli ha sfiorato l\\\'anca. Questa specie di Enrico Toti di Misurata si presenta in prima linea in mimetica e stampella. Coraggioso e segaligno ci porta nel cuore della battaglia di Ein Zara, un quartiere di Tripoli dove sono scoppiati gli scontri più duri. Gli regaliamo una nuova stampella perché la vecchia l\\\'ha dimenticata al fronte chissà dove, dopo ore di battaglia. Il capitano Rafat preferisce i jeans all\\\'uniforme con i gradi sulle spalline. Gli italiani lo hanno addestrato a Cassino. Quando ci incontra in mezzo ai combattimenti si fa in quattro per scortarci lungo il fronte in nome dell\\\'amicizia con il nostro paese. Il più variopinto è Nidal, barbone nero e lungo con cappellino di New York e un braccio fasciato per una ferita appeso al collo. Se ne frega e guida con una mano sola quello che resta di un gippone militare rosicchiato da schegge e proiettili. Sembra cadere a pezzi, ma in realtà viaggia ancora e pure veloce con un cannone senza rinculo montato sul retro. Completamente aperto, senza nessuna protezione, ha un equipaggio che sembra serenamente votato alla morte. Il taxi perfetto per andare al fronte. La guerra la vedi in faccia quando portano i feriti alle infermerie da campo avanzate a ridosso della prima linea. Il combattente in mimetica blu colpito alla testa, che non capisce più niente. Il ragazzino sbudellato arrivato già morto. Il giovane del Fezzan dalla pelle scura come gli africani con la base di un razzo di 10 centimetri di diametro conficcata nella gamba. Si fa coraggio con i commilitoni ripetendo come una cantilena Allah o akbar, Dio è grande. I bollettini di guerra delle organizzazioni internazionali registrano 443 morti, 2.553 feriti e 60mila sfollati. Le Nazioni Unite parlano di 823mila persone, compressi 250mila minori, che hanno bisogno di aiuti umanitari. Il palazzo di Vetro indaga sul coinvolgimento militare straniero, nella guerra civile libica da scenario siriano alle porte di casa nostra. Di notte sono comparsi spesso nei cieli di Tripoli dei droni, che hanno colpito in maniera chirurgica obiettivi strategici come depositi di munizioni o centri di comando. I missili lanciati sarebbero i Blue Arrow, secondo esperti Onu che hanno esaminato le immagini di alcuni frammenti. Questo genere di ordigni aria-terra sono in dotazione a tre paesi: Cina, Kazakistan ed Emirati Arabi Uniti. Il drone che li porta in grembo è il cinese Wing Loong. In un rapporto riservato non ancora reso noto si punterebbe il dito contro gli Emirati alleati del generale Haftar per l\\\'ingerenza armata in Libia. Il 7 maggio le truppe dell\\\'uomo forte della Cirenaica hanno abbattuto un Mirage governativo. Il pilota, lanciatosi fortunosamente con il paracaduto, è stato catturato. Un video lo fa vedere a terra e sanguinante sovrastato da un combattente con un coltellaccio in mano. Il pilota, secondo la stampa di Lisbona, si chiama Jimmy Reis e sarebbe un mercenario portoghese di 29 anni. La battaglia per il controllo della capitale sta diventando cronica e rischia di trascinarsi a lungo senza né vincitori, né vinti, ma con una sempre maggiore infiltrazione straniera che potrebbe trasformare la Libia in una nuova, devastante, Siria. |
[continua] |
|
video
|
|
21 settembre 2017 | Matrix | reportage
Migranti in gabbia
Per i migranti la Libia è un inferno. In 7000 sono detenuti nei centri del ministero dell’Interno in condizioni impossibili.
L’Onu e le Ong, che denunciano le condizioni miserevoli, dovrebbero parlare di meno e fare di più prendendo in mano i centri per alzarne il livello di umanità.
E non utilizzare le condizioni di questi disgraziati come grimaldello per riaprire il flusso di migranti verso l’Italia.
Non solo: Tutti i dannati che vedete vogliono tornare a casa, ma i rimpatri, organizzati da un’agenzia dell’Onu, vanno a rilento perché mancano soldi e uomini.
E chi ce la fa esulta come si vede in questo video dei nigeriani che tornano in patria girato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni.
Dietro le sbarre a Tripoli un migrante ci mostra i segni di percosse e maltrattamenti. Nel centro di detenzione di Triq al-Siqqa, il più grande della capitale libica, ci sono anche le donne, intercettate prima di raggiungere l’Italia, con i loro bambini nati nei cameroni, che protestano con le guardie per il cibo pessimo ed insufficiente.
Il responsabile del centro di Triq al-Siqqa si scaglia contro l’Europa e parla di “visite dei ministri degli esteri di Germania, Inghilterra, delegazioni italiane…. tanto inchiostro sui documenti, ma poi non cambia nulla, gli aiuti sono minimi”.
Ogni giorno arrivano al centro nuovi migranti fermati in mare, che ci provano ancora a raggiungere l’Italia. In Libia sono bloccate fra mezzo milione e 800mila persone, in gran parte vessate dai trafficanti, che attraggono le donne come Gwasa dicendo che in Italia i migranti “hanno privilegi, rifugio e cibo”.
In agosto le partenze sono crollate dell’86% grazie ad un accordo con le milizie che prima proteggevano i trafficanti.
Nei capannoni-celle di Garyan i migranti mostrano i foglietti di registrazioni delle loro ambasciate per i rimpatri, ma devono attendere mesi o anche un anno mangiando improbabile maccheroni. E non sono solo musulmani.
Nel centro di detenzione costruito dagli italiani ai tempi di Gheddafi i dannati dell’inferno libico invocano una sola parola: “Libertà, libertà”.
|
|
|
|
24 agosto 2011 | TG4 | reportage
La caduta di Gheddafi
Notizie e commenti dall'Italia
|
|
|
|
20 marzo 2011 | Tg5 | reportage
Diario dalla Libia in fiamme
Diario dalla Libia in fiamme
|
|
|
|
radio

|
10 marzo 2011 | Panorama | intervento |
Libia
Diario dalla Libia
Diario dalla Libia
|

|
08 marzo 2011 | Panorama | intervento |
Libia
Diario dalla Libia
Diario dalla Libia
|

|
18 marzo 2011 | Radio Capodistria | intervento |
Libia
IL vaso di pandora
IL vaso di pandora
|

|
29 aprile 2011 | Spazio Radio | intervento |
Libia
Piegare Gheddafi e preparare l'intervento terrestre
Gli americani spingono con insistenza per un maggiore coinvolgimento dell’Italia nel conflitto in Libia, non solo per passare il cerino politico agli europei. L’obiettivo finale è piegare il colonnello Gheddafi e far sbarcare una forza di interposizione in Libia, con ampia partecipazione italiana. Un modello stile ex Yugoslavia, dove il contingente occidentale è arrivato dopo l’offensiva aerea.
|

|
02 marzo 2011 | Panorama | intervento |
Libia
Diario dalla Libia
Una nube nera su tutta Tripoli
|
|
|
|
|