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10 maggio 2019 - Il fatto - Italia - Il Giornale
Si apre un altro fronte: ora tocca a D’Annunzio
Fausto Biloslavo
da Trieste
Gabriele D\\\'Annunzio, il poeta guerriero, è il nuovo bersaglio dello spauracchio fascista. Il Vate finisce nel mirino ideologico per una mostra a Trieste e una statua in bronzo cento anni dopo l\\\'impresa di Fiume. L\\\'esposizione voluta dalla giunta comunale del capoluogo giuliano aprirà in luglio e chiuderà a novembre. «Il Comune ha intenzione di fare una mostra agiografica? O di problematizzare la figura di D\\\'Annunzio? E lo vuol fare da un punto di vista esclusivamente italiano?» ha attaccato Giovanni Barbo, consigliere del Pd, sulle colonne del Piccolo. Nei prossimi giorni si teme che non mancheranno nuove bordate.
«La figura di D\\\'Annunzio è problematica di per se stessa. Se per agiografica si pensa a una mostra dove si esalta il fascismo ricordo che il mio libro sull\\\'impresa di Fiume Disobbedisco si incentra sulla tesi contraria. Ovvero che il Vate ha condotto un\\\'operazione rivoluzionaria che non andava nella direzione del fascismo, ma di una società nuova, aperta e libertaria» spiega Giordano Bruno Guerri, curatore della mostra. In qualità di presidente e direttore della Fondazione del Vittoriale esporrà a Trieste «tanti cimeli, documenti in parte inediti e molte foto delle 8mila ancora incartate e mai rese pubbliche di D\\\'Annunzio». E la mostra si intitolerà proprio Disobbedisco. La rivoluzione di D\\\'Annunzio a Fiume 19191920. Il pezzo forte sarà la Fiat utilizzata dal Vate durante l\\\'impresa. «A Trieste voglio aprire un dibattito e portare l\\\'evento anche nelle scuole. È vero che molti legionari dell\\\'impresa di Fiume aderirono al fascismo, ma Alceste de Ambris, braccio destro di D\\\'Annunzio, coautore della carta del Carnaro morì in esilio in Francia come antifascista. Il capitano Magro si fece 17 anni di confino ed è stato ucciso alle Fosse Ardeatine». Il Pd locale è preoccupato che gli Istituti storici della Resistenza, spesso filo Tito, non vengano coinvolti e invitano la giunta di centro destra «a mettersi in contatto col Comune di Fiume, che nel 2020 sarà capitale della cultura». Guerri sorride: «Sono stato il primo, come presidente della Fondazione del Vittoriale, ad andare a Fiume incontrando sindaco e assessore della Cultura e loro sono venuti da noi. Ai primi di settembre organizzeremo un convegno internazionale sull\\\'impresa di D\\\'Annunzio invitando anche storici croati. E spero di fare qualcosa a Fiume durante la mostra triestina».
I «guardiani» dell\\\'antifascismo sono sul piede di guerra pure per la statua di D\\\'Annunzio a Trieste in occasione del centenario dell\\\'impresa di Fiume. «Altre due le inauguriamo il 18 maggio a Gardone della Riviera e al Vittoriale. Passeggiando in città con il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza, mi ha indicato le statue di Joyce e Svevo. Così è venuta fuori l\\\'idea di una statua per D\\\'Annunzio». La scultura rappresenta il Vate seduto su una panchina, in borghese, che legge melanconico. «Mussolini si impossessò dell\\\'impresa di Fiume e l\\\'aspetto delirante è che l\\\'Italia democratica sia caduta nella sua trappola etichettandola come impresa fascista - sottolinea lo storico e saggista - Qualsiasi altro paese l\\\'avrebbe esaltata facendone un\\\'epopea».
Mostra e statua sono nel mirino pure per i costi. Il Comune ha deliberato una spesa di 292.190 euro. Barbo contesta l\\\'esborso per «un\\\'operazione nostalgia», come riporta il Piccolo. «Furbescamente non viene detto che l\\\'incasso dei biglietti spetta totalmente al Comune - replica Guerri - Non si può rappresentare D\\\'Annunzio con i fichi secchi, ma l\\\'amministrazione potrebbe addirittura guadagnarci». Il problema di fondo non è solo l\\\'ondata modaiola dell\\\'antifascismo. «Al Salone del libro di Torino, dove c\\\'è stata una reazione spropositata sull\\\'allarme fascismo abbiamo uno stand con due grandi foto di legionari in divisa. L\\\'aspetto paradossale è che ricevo insulti e anche qualche minaccia da neofascisti offesi perché ho tolto loro la figura di D\\\'Annunzio con il mio libro sull\\\'impresa di Fiume».
[continua]

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23 aprile 2012 | Premio Lago | reportage
Il premio Giorgio Lago: Arte, impresa, giornalismo, volontariato del Nord Est
Motivazione della Giuria: Giornalista di razza. Sempre sulla notizia, esposto in prima persona nei vari teatri di guerra del mondo. Penna sottile, attenta, con un grande amore per la verità raccontata a narrare le diverse vicende dell’uomo.

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11 novembre 2008 | Centenario della Federazione della stampa | reportage
A Trieste una targa per Almerigo Grilz
e tutti i caduti sul fronte dell'informazione

Ci sono voluti 21 anni, epiche battaglie a colpi di articoli, proteste, un libro fotografico ed una mostra, ma alla fine anche la "casta" dei giornalisti triestini ricorda Almerigo Grilz. L'11 novembre, nella sala del Consiglio comunale del capoluogo giuliano, ha preso la parola il presidente dell'Ordine dei giornalisti del Friuli-Venezia Giulia, Pietro Villotta. Con un appassionato discorso ha spiegato la scelta di affiggere all'ingresso del palazzo della stampa a Trieste una grande targa in cristallo con i nomi di tutti i giornalisti italiani caduti in guerra, per mano della mafia o del terrorismo dal 1945 a oggi. In rigoroso ordine alfabetico c'era anche quello di Almerigo Grilz, che per anni è stato volutamente dimenticato dai giornalisti triestini, che ricordavano solo i colleghi del capoluogo giuliano uccisi a Mostar e a Mogadiscio. La targa è stata scoperta in occasione della celebrazione del centenario della Federazione nazionale della stampa italiana. Il sindacato unico ha aderito all'iniziativa senza dimostrare grande entusiasmo e non menzionando mai, negli interventi ufficiali, il nome di Grilz, ma va bene lo stesso. Vale la pena dire: "Meglio tardi che mai". E da adesso speriamo veramente di aver voltato pagina sul "buco nero" che ha avvolto per anni Almerigo Grilz, l'inviato ignoto.

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07 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Parla il sopravvissuto al virus
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il sopravvissuto sta sbucciando un’arancia seduto sul letto di ospedale, come se non fosse rispuntato da poco dall’anticamera dell’inferno. Maglietta grigia, speranza dipinta negli occhi, Giovanni Ziliani è stato dimesso mercoledì, per tornare a casa. Quarantadue anni, atleta e istruttore di arti marziali ai bambini, il 10 marzo ha iniziato a stare male nella sua città, Cremona. Cinque giorni dopo è finito in terapia intensiva. Dalla Lombardia l’hanno trasferito a Trieste, dove un tubo in gola gli pompava aria nei polmoni devastati dall’infezione. Dopo 17 giorni di calvario è tornato a vivere, non più contagioso. Cosa ricorda di questa discesa all’inferno? “Non volevo dormire perchè avevo paura di smettere di respirare. Ricordo il tubo in gola, come dovevo convivere con il dolore, gli sforzi di vomito ogni volta che cercavo di deglutire. E gli occhi arrossati che bruciavano. Quando mi sono svegliato, ancora intubato, ero spaventato, disorientato. La sensazione è di impotenza sul proprio corpo. Ti rendi conto che dipendi da fili, tubi, macchine. E che la cosa più naturale del mondo, respirare, non lo è più”. Dove ha trovato la forza? “Mi sono aggrappato alla famiglia, ai valori veri. Al ricordo di mia moglie, in cinta da otto mesi e di nostra figlia di 7 anni. Ti aggrappi a quello che conta nella vita. E poi c’erano gli angeli in tuta bianca che mi hanno fatto rinascere”. Gli operatori sanitari dell’ospedale? “Sì, medici ed infermieri che ti aiutano e confortano in ogni modo. Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”. Il momento che non dimenticherà mai? “Quando mi hanno estubato. E’ stata una festa. E quando ero in grado di parlare la prima cosa che hanno fatto è una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo”. Come ha recuperato le forze? “Sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”. Come è stato infettato? “Abbiamo preso il virus da papà, che purtroppo non ce l’ha fatta. Mio fratello è intubato a Varese non ancora fuori pericolo”. E la sua famiglia? “Moglie e figlia di 7 anni per fortuna sono negative. La mia signora è in attesa di Gabriele che nascerà fra un mese. Ed io sono rinato a Trieste”. Ha pensato di non farcela? “Ero stanco di stare male con la febbre sempre a 39,6. Speravo di addormentarmi in terapia intensiva e di risvegliarmi guarito. Non è andata proprio in questo modo, ma è finita così: una vittoria per tutti”.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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