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21 giugno 2019 - Controstorie - Libia - Il Giornale
Le mani straniere che spingono la Libia sulla scia del caos siriano
Fausto Biloslavo
La crisi in Libia «è un esempio da manuale di ingerenza straniera in un conflitto locale» ha detto senza peli sulla lingua, Ghassan Salame, l\'inviato speciale dell\'Onu a Tripoli. «Fra 6 e 10 paesi stanno interferendo in maniera permanente nei problemi della Libia», secondo il diplomatico, inviando armi, soldi e consiglieri militari. 
Il risultato sul terreno è un logorante stallo alla periferia di Tripoli, dove dal 4 aprile le truppe del generale Khalifa Haftar, l\'uomo forte della Cirenaica, che sogna di diventare il nuovo Gheddafi, non sono in grado di sfondare. Le forze governative del premier Fayez al Serraj non sono riuscite a dare la spallata finale per rompere l\'assedio, ma il 19 giugno hanno scatenato l\'ennesima offensiva per riprendersi l\'aeroporto con pesante appoggio aereo.
«È una guerra per procura, come in Siria, con tanti attori internazionali in gioco - spiega al Giornale l\'ex generale dei paracadutisti Marco Bertolini - Si rischia che diventi un conflitto che non finirà mai e dovremmo attrezzarci anche noi a subirne le conseguenze». Turchia e Qatar, nonostante l\'embargo, appoggiano militarmente il governo riconosciuto dall\'Onu con l\'Italia in prima fila. Haftar riceve aiuti militari e addestramento da Egitto, Giordania, Arabia Saudita ed Emirati arabi e gode del sostegno francese. Per ora la battaglia di Tripoli è meno sanguinosa della mattanza siriana, anche se ha già provocato 691 morti, 4012 feriti e 90mila sfollati. 
L\'11 giugno un drone armato dell\'esercito di Haftar ha filmato il bombardamento della prima linea governativa nel quartiere di Air Zarah, uno dei fronti più aspri della capitale. I velivoli a pilotaggio remoto sono entrati pesantemente in scena fin dall\'inizio dell\'attacco su Tripoli, ma il personale libico non ha capacità del genere oppure è stato addestrato da consiglieri militari stranieri. L\'Onu, che sta indagando sui droni di Haftar che colpivano di notte nelle prime settimane dell\'offensiva, sospetta che siano velivoli senza pilota degli Emirati arabi uniti acquistati dalla Cina. Il modello sarebbe il Wing Loong con missili terra aria, che i libici non sono in grado di pilotare.
In soccorso dei governativi sono arrivati dei droni turchi e in aprile è stato abbattuto sui cieli di Sirte, dove si sta aprendo un altro fronte, un velivolo senza pilota russo, l\'Orlan 10, che non è armato e viene utilizzato per missioni di ricognizione. «Con Tripoli ci sono militari turchi, che stanno addestrando i combattenti governativi all\'utilizzo di armi e blindati inviati da Ankara. E dall\'altra parte non mancano i consiglieri egiziani», conferma al Giornale una fonte di intelligence a Tripoli.
Il 18 maggio la nave cargo Amazon battente bandiera della Moldavia è attraccata al porto della capitale proveniente da quello turco di Samsun. A bordo c\'erano decine di blindati anti mine Bmc Kirpi per le milizie governative di Salah Badi e il ministro dell\'Interno Fathi Bashaga. Oltre ai mezzi sono stati spediti a Misurata missili terra aria a spalla, anticarro e munizioni. Il tutto immortalato dai selfie dei miliziani. Stesso copione a Bengasi, quartier generale di Haftar. Il 19 e 20 maggio i seguaci del generale hanno postato sui social una lunga serie di blindati Mrap Caiman inviati dalla Giordania. I giordani addestrano anche i corpi speciali dell\'uomo forte della Cirenaica. Il 19 giugno sono arrivati al fronte i Pantsir S-1 russi, batterie missilistiche anti aeree, fornite dagli Emirati ad Haftar. 
«Lo scenario è siriano, ma se nessuno vince, prima o dopo qualcuno interverrà pesantemente, come i russi al fianco di Damasco, per ristabilizzare la Libia. Questo caotico stallo non durerà a lungo», ribadisce la fonte di intelligence a Tripoli. Il paradosso è che la vita nel centro della capitale scorre normalmente con il caotico traffico di sempre. Il venerdì, fine settimana islamico, la spiaggia di Tripoli è piena di bagnanti, ma a 9 chilometri di distanza si combatte con furia. Il piano di pace presentato il 16 giugno da Serraj, che prevede elezioni presidenziali e parlamentari entro il 2019, è nato morto per l\'esclusione di Haftar, che in ogni caso non sembra volere scendere a patti. E sul terreno non mancano i soldati di ventura. Il 7 maggio le forze di Haftar hanno abbattuto un Mirage governativo pilotato dal portoghese Jimmy Reis, che si è salvato lanciandosi con il paracadute. Tripoli smentisce di avere arruolato mercenari, ma Reis avrebbe confessato di essere stato pagato, assieme ad altri piloti stranieri, 13mila dollari al mese. Su twitter un pilota moldavo ha postato dei selfie scattati con alle spalle la stiva dell\'aereo cargo carico di casse di munizioni, che ha trasportato a Gharyan il comando dell\'avanzata di Haftar su Tripoli.
La guerra riguarda anche le risorse energetiche. Haftar ha consolidato il controllo dei pozzi petroliferi nell\'Est del paese per vendere il greggio in maniera autonoma abbassando il prezzo. «Se il settore petrolifero si divide, la Libia verrà distrutta» da una devastante guerra per l\'oro nero sostiene Mustafa Sanalla, presidente della Noc, l\'ente di stato sulle risorse energetiche con sede a Tripoli. 
L\'Italia è l\'unico paese occidentale che mantiene ufficialmente 400 soldati in Libia nell\'ospedale militare di Misurata e su una nave della Marina a Tripoli per aiutare i libici contro l\'immigrazione clandestina. L\'ambasciatore Giuseppe Buccino incontra regolarmente i massimi esponenti governativi. A breve forniremo ai libici due motovedette e una decina di barchini veloci per il pattugliamento. La Guardia costiera libica, nonostante la guerra, continua a intercettare i gommoni dei migranti, ma con l\'arrivo dell\'estate le partenze potrebbero aumentare. Secondo la costola dell\'Onu che si occupa della crisi umanitaria sono presenti in Libia 666.717 migranti provenienti soprattutto da Niger, Egitto, Ciad, Sudan e Nigeria.
[continua]

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#IoNonStoConCarola
“Io non sto con Carola”, la capitana trasformata in eroina per avere violato la legge. E bisognerebbe dirlo forte e chiaro per rompere questa illusione di solidarietà maggioritaria pompata ad arte dalla sinistra, da Ong talebane dell’accoglienza, una bella fetta dela Chiesa e dai pezzi da novanta del facile buonismo radical chic come Saviano, Fazio, Lerner e Murgia. Per non parlare del governo tedesco e francese, che con una faccia di bronzo unica, ci fa la morale sulla capitana. Ovviamente è passato sotto silenzio un sondaggio del 27 giugno su Rai3, non proprio una rete mangia migranti, che svelava come il 61% degli italiani fosse contrario all’attracco della nave Sea watch a Lampedusa, ancora prima dell’epilogo forzato deciso dalla capitana. Se al volante della tua automobile trovi lungo la strada un carabiniere con la paletta che intima l’alt, cosa fai? Accosti e non sfondi il posto di blocco. Se speroni la macchina dell’Arma vieni rincorso armi in pugno e ti arrestano, ancor più se a bordo hai dei clandestini. E nessuno si sognerebbe di alzare un dito in tua difesa con pelose giustificazioni umanitarie. Carola Rackete ha sfondato il blocco ordinato dal Viminale, violato la legge, speronato una motovedetta mettendo in pericolo la vita dei finanzieri a bordo e la stanno trasformando in un’eroina dei due mondi. Non solo: da oggi potrebbe essere libera e bella. Un mondo alla rovescia dove le Ong si sostituiscono agli stati e fanno quello che vogliono calpestando la sovranità nazionale del nostro paese. Per non parlare del paradosso che Sea watch, grazie al polverone sollevato, ha pure incassato oltre un milione di euro con raccolte fondi in Germania e in Italia per la difesa dell’eroina dei due mondi. Carola ha agito in stato di necessità per “salvare vite umane” sostegno i suoi fan. Ma se vogliamo salvare veramente i migranti in Libia, a cominciare da quelli rinchiusi nei centri di detenzione, dobbiamo continuare a riportarli a casa loro come sta facendo a rilento e fra mille difficoltà una delle agenzie dell’Onu, difficile da paragonare a SS moderne. E non andarli a prendere al largo della Libia come ha fatto la capitana, che rimane indagata per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E piuttosto che sbarcarli in Tunisia il posto più vicino a sicuro li ha portati dritta, dritta in Italia per creare un caso politico usando come paravento “le vite salvate in mare” La dimostrazione è la pattuglia di parlamentari di sinistra salita a bordo in favore di telecamere. L’obiettivo finale dei talebani dell’accoglienza è tornare a spalancare le porte dell’Europa agli sbarchi di massa del passato con 170mila arrivi all’anno in Italia Non si tratta di parteggiare per Salvini o il governo, ma di smetterla di farci prendere in giro trasformando la capitana che ha violato scientemente la legge in un’eroina. Per questo gli italiani, primi fra tutti i moderati dotati di buon senso, dovrebbero dire forte e chiaro “io non sto con Carola”.

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