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Articolo
29 ottobre 2019 - Interventi - Italia - Corriere del Trentino |
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Torno a Sociologia, discutiamo in maniera civile |
Il 30 ottobre torno con piacere a Trento, alla facoltà di Sociologia, a ristabilire la libertà di parola sancita dalla Costituzione. E ringrazio il rettore dell’Università, Paolo Collini, che fin dall’inizio di questa brutta storia mi aveva rinnovato l’invito, subito accettato, per la conferenza sulla Libia e gli studenti di Udu, che non si sono tirati indietro. Se tutto andrà bene sarà la dimostrazione che la discriminazione ideologica nei mie confronti, stile anni settanta, peraltro infondata, non è più un sistema. Però, le enclave intolleranti di estrema sinistra, che fanno più o meno quello che vogliono, sono una triste realtà, non solo a Trento. Il collettivo universitario Refresh, sul suo blog “SmontaMenti”, ancora prima che venisse decisa la data del 30 ottobre ha chiaramente annunciato riferendosi al sottoscritto: “Nel caso vorrà (o verrà invitato a) ritornare a sociologia ci troverà più compatt* e determinat* di prima nella nostra protesta”. Per questo spiace leggere sul Corriere del Trentino, che Giuseppe Sciortino, docente di Sociologia, pur difendendo il diritto alla parola “di un rispettato giornalista” fornisce una versione dei fatti edulcorata e molto lontana dalla realtà a cominciare dalle responsabilità dell’Università. I facinorosi non erano nipotini o nostalgici di Curcio? E allora perché hanno dichiarato vittoria, quando non ho potuto parlare, utilizzando addirittura una frase di Ulrike Meinhof, eroina della Raf, i terroristi tedeschi durante la guerra fredda come le Brigate rosse in Italia? Non si tratta, come scrive Sciortino di avere “contestato l’invito a Fausto Biloslavo”, ma di averlo, purtroppo, impedito. La prova non è solo nello striscione “fuori i fascisti dall’università” o nei volantini con il mio faccione a testa in giù stile Mussolini a piazzale Loreto. Sciortino può andare a vedere il video che mando al Corriere del Trentino girato dagli stessi facinorosi davanti al dipartimento di Sociologia il 15 ottobre, quando dovevo parlare di Libia. Un ragazzotto con il megafono rivendica la vittoria e spiega che è stato organizzato un presidio perché “noi siamo studenti e studentesse antifascisti che non possono permettere la presenza di certi personaggi all’interno dell’università”. Le mie “colpe”, vere, annunciate nel video, sono quelle di essere stato iscritto al Fronte della Gioventù oltre 40 anni fa, quando portavo i calzoni corti e di avere criticato le Ong negli articoli su il Giornale. Ovviamente non sono andati a leggere le inchieste di denuncia sul campo, in Libia, dei centri dei detenzioni dei migranti che ho definito “gironi danteschi”. Le accuse, false, sono di avere collaborato con la casa editrice Altaforte, che non sarebbe un reato, ma non l’ho mai fatto. E con Ferrogalico, altra pericolosa quinta colonna editoriale nera. Peccato che proprio con Toni Capuozzo ospite della Regione a Trento venerdì scorso abbiamo chiesto fin dall’inizio di editare la collana di libri di giornalismo grafico, compreso il mio “Libia kaputt” ad una società autonoma, proprio per non essere coinvolti politicamente in maniera pretestuosa da una parte o dall’altra. Sciortino sostiene che la sospensione dell’incontro deciso dell’università non aveva nulla a che fare con le proteste degli estremisti. “Il fatto incontrovertibile è che l’incontro, per una serie di disguidi burocratici, non aveva i prescritti requisiti di sicurezza” relativi alle norme anti incendio. Un insulto all’intelligenza tenendo conto che i ragazzi di sinistra di Udu avevano già fatto la prima conferenza di un ciclo di tre previsto da un unico bando nella stessa sala Kessler di Sociologia e nessuno aveva sollevato il problema. Perché le norme di sicurezza anti incendio valevano solo per Biloslavo? Per di più il cavilloso pretesto è stato scoperto mentre stavo arrivando in treno a Trento, quando i nostalgici di Curcio si preparavano al presidio per negarmi la parola, non il giorno prima. Se non bastasse queste sono le parole del rettore Colini ricevute via mail la notte del 15 ottobre: “Innanzitutto, voglio dire che l\\\\\\\\\\\\\\\'annullamento è il frutto di una pignola e prudente applicazione dei regolamenti che non mi fa certo piacere”. In altri messaggi e al telefono è stato ancora più netto pur dovendo pubblicamente difendere d’ufficio la frittata combinata dall’ “università delle porte aperte”, slogan dell’ateneo. Proprio perché sono convinto che le università devono avere sempre le porte aperte auspico che all’incontro sulla Libia, mercoledì alle 17.30 a Sociologia, oltre a Sciortino, qualsiasi altro docente e chiunque sia interessato e creda nella libertà di parola vengano soprattutto gli studenti. Ragazzi di tutte le tendenze politiche compresi quelli che non vogliono farmi parlare, a patto che accettino il dibattito, acceso, ma civile. Fausto Biloslavo
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[continua] |
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05 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Virus, il fronte che resiste in Friuli-Venezia Giulia
Fausto Biloslavo
TRIESTE - “Anche noi abbiamo paura. E’ un momento difficile per tutti, ma dobbiamo fare il nostro dovere con la maggiore dedizione possibile” spiega Demis Pizzolitto, veterano delle ambulanze del 118 nel capoluogo giuliano lanciate nella “guerra” contro il virus maledetto. La battaglia quotidiana inizia con la vestizione: tuta bianca, doppi guanti, visiera e mascherina per difendersi dal contagio. Il veterano è in coppia con Fabio Tripodi, una “recluta” arrivata da poco, ma subito spedita al fronte. Le due tute bianche si lanciano nella mischia armati di barella per i pazienti Covid. “Mi è rimasta impressa una signora anziana, positiva al virus, che abbiamo trasportato di notte - racconta l’infermiere Pizzolitto - In ambulanza mi ha raccontato del marito invalido rimasto a casa. E soffriva all’idea di averlo lasciato solo con la paura che nessuno si sarebbe occupato di lui”.
Bardati come due marziani spariscono nell’ospedale Maggiore di Trieste, dove sono ricoverati un centinaio di positivi, per trasferire un infetto che ha bisogno di maggiori cure. Quando tornano caricano dietro la barella e si chiudono dentro l’ambulanza con il paziente semi incosciente. Si vede solo il volto scavato che spunta dalle lenzuola bianche. Poi via a sirene spiegate verso l’ospedale di Cattinara, dove la terapia intensiva è l’ultima trincea per fermare il virus.
Il Friuli-Venezia Giulia è il fronte del Nord Est che resiste al virus grazie a restrizioni draconiane, anche se negli ultimi giorni la gente comincia ad uscire troppo di casa. Un decimo della popolazione rispetto alla Lombardia ha aiutato a evitare l’inferno di Bergamo e Brescia. Il 4 aprile i contagiati erano 1986, i decessi 145, le guarigioni 220 e 1103 persone si trovano in isolamento a casa. Anche in Friuli-Venezia Giulia, come in gran parte d’Italia, le protezioni individuali per chi combatte il virus non bastano mai. “Siamo messi molto male. Le stiamo centellinando. Più che con le mascherine abbiamo avuto grandi difficoltà con visiere, occhiali e tute” ammette Antonio Poggiana, direttore generale dell’Azienda sanitaria di Trieste e Gorizia. Negli ultimi giorni sono arrivate nuove forniture, ma l’emergenza riguarda anche le residenze per anziani, flagellate dal virus. “Sono “bombe” virali innescate - spiega Alberto Peratoner responsabile del 118 - Muoiono molti più anziani di quelli certificati, anche 4-5 al giorno, ma non vengono fatti i tamponi”.
Nell’ospedale di Cattinara “la terapia intensiva è la prima linea di risposta contro il virus, il nemico invisibile che stiamo combattendo ogni giorno” spiega Umberto Lucangelo, direttore del dipartimento di emergenza. Borse sotto gli occhi vive in ospedale e da separato in casa con la moglie per evitare qualsiasi rischio. Nella trincea sanitaria l’emergenza si tocca con mano. Barbara si prepara con la tuta anti contagio che la copre dalla testa ai piedi. Un’altra infermiera chiude tutti i possibili spiragli delle cerniere con larghe strisce di cerotto, come nei film. Simile ad un “palombaro” le scrivono sulla schiena il nome e l’orario di ingresso con un pennarello nero. Poi Barbara procede in un’anticamera con una porta a vetri. E quando è completamente isolata allarga le braccia e si apre l’ingresso del campo di battaglia. Ventuno pazienti intubati lottano contro la morte grazie agli angeli in tuta bianca che non li mollano un secondo, giorno e notte. L’anziano con la chioma argento sembra solo addormentato se non fosse per l’infinità di cannule infilate nel corpo, sensori e macchinari che pulsano attorno. Una signora è coperta da un telo blu e come tutti i pazienti critici ripresa dalle telecamere a circuito chiuso.
Mara, occhioni neri, visiera e mascherina spunta da dietro la vetrata protettiva con uno sguardo di speranza. All’interfono racconta l’emozione “del primo ragazzo che sono riuscito a svegliare. Quando mi ha visto ha alzato entrambi i pollici in segno di ok”. E se qualcuno non ce la fa Mara spiega “che siamo preparati ad accompagnare le persone verso la morte nella maniera più dignitosa. Io le tengo per mano per non lasciarle sole fino all’ultimo momento”.
Erica Venier, la capo turno, vuole ringraziare “con tutto il cuore” i triestini che ogni giorno fanno arrivare dolci, frutta, generi di conforto ai combattenti della terapia intensiva. Graziano Di Gregorio, infermiere del turno mattutino, è un veterano: “Dopo 22 anni di esperienza non avrei mai pensato di trovarmi in una trincea del genere”. Il fiore all’occhiello della rianimazione di Cattinara è di non aver perso un solo paziente, ma Di Gregorio racconta: “Infermieri di altre terapie intensive hanno dovuto dare l’estrema unzione perchè i pazienti sono soli e non si può fare diversamente”.
L’azienda sanitaria sta acquistando una trentina di tablet per cercare di mantenere un contatto con i familiari e permettere l’estremo saluto. Prima di venire intubati, l’ultima spiaggia, i contagiati che hanno difficoltà a respirare sono aiutati con maschere o caschi in un altro reparto. Il direttore, Marco Confalonieri, racconta: “Mio nonno era un ragazzo del ’99, che ha combattuto sul Piave durante il primo conflitto mondiale. Ho lanciato nella mischia 13 giovani appena assunti. Sono i ragazzi del ’99 di questa guerra”.
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04 luglio 2012 | Telefriuli | reportage
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Giornalismo di guerra e altro.
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16 febbraio 2007 | Otto e Mezzo | reportage
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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento |
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