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04 febbraio 2020 - Prima - Italia - Il Giornale
Che vergogna le foibe raccontate dai partigiani
L\\\'Associazione nazionale partigiani tiene oggi un convegno in una sala del Senato giocando d\\\'anticipo sulla giornata del Ricordo delle foibe e dell\\\'esodo del 10 febbraio. E scoppia la polemica. A parte l\\\'impostazione «giustificazionista» fin dal titolo, «Il fascismo di confine e il dramma delle foibe» non c\\\'è neppure un rappresentante degli esuli a fare da contraltare. E l\\\'aspetto più discutibile riguarda proprio il relatore dell\\\'unico intervento, sul «dramma delle foibe», rispetto agli altri tre dedicati al periodo fascista. Franco Cecotti viene presentato come «già presidente dell\\\'Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell\\\'Età contemporanea nel Friuli-Venezia Giulia». Il relatore, però, è stato eletto nel 2016 segretario del comitato provinciale dal XIII congresso dell\\\'Anpi di Trieste. A fianco, sul sito dell\\\'Associazione partigiani con il suo nome, spiccano due foto dei sostenitori. Anziani veterani con tanto di copricapo filo titino, la «bustina» con la stella rossa. Una foto in primo piano ritrae Drago Slavec, recentemente scomparso, che ha combattuto con Josip Broz Tito in Bosnia. Poi fu catturato dai tedeschi e internato, ma riuscì sfuggire e si unì ai partigiani in Valtellina. Il presidente dell\\\'Anpi di Trieste, Fabio Vallon, eletto con Cecotti, il 12 maggio scorso postava sulla sua pagina Facebook un selfie con la gigantografia del maresciallo Tito a Brioni e la frase «dame el cinque!».
L\\\'impostazione del convegno strettamente su invito, presso la Biblioteca del Senato, è chiara. La prima relazione è sulla «nascita del fascismo», poi verrà trattato «il fascismo di confine» e alla fine «i crimini fascisti» con Marta Verginella, storica dell\\\'Università di Lubiana. «Il dramma delle foibe» sarà esposto solo da Cecotti eletto nell\\\'Anpi da chi ha combattuto al fianco di Tito, il carnefice degli italiani.
Per Massimiliano Lacota, presidente dell\\\'Unione degli Istriani, associazione degli esuli con sede a Trieste, «è gravissimo che i partigiani tengano un seminario monco in un\\\'aula del Senato con nessun rappresentante della nostra tragedia».
Marcello Veneziani ha lanciato un tweet al vetriolo: «È un\\\'infamia storica e un oltraggio ai caduti nelle foibe (...). La dittatura sulla Memoria sta diventando insopportabile».
Fratelli d\\\'Italia con Luca Ciriani ricorda che «le foibe non sono un dramma, ma un crimine. Anche quest\\\'anno l\\\'Anpi cerca di avvelenare la memoria degli infoibati» con un convegno «che sembra proseguire sulla strada del giustificazionismo».
Maurizio Gasparri, di Forza Italia, sostiene «che in una sala istituzionale una manifestazione dal sapore equivoco» a ridosso del 10 febbraio «è un\\\'offesa».
L\\\'ala dei negazionisti che vorrebbero abolire il giorno del Ricordo rivela: «L\\\'Anpi nazionale quest\\\'anno ha dato disposizione che le sue sezioni non partecipino ad altra iniziativa se non quella, centrale» nella biblioteca del Senato. Sandi Volk, che fa parte dei duri e puri, parlerà a Parma il 10 febbraio sulla foiba «di Basovizza falso storico» anche se è un monumento nazionale.
Gli stessi partigiani perdono il pelo, ma non il vizio. L\\\'Anpi di Lecce, pochi giorni fa, ha contestato la decisione del Consiglio comunale di intitolare una via a Norma Cossetto, medaglia d\\\'oro alla memoria bollandola come «una presunta martire delle foibe». A Gorizia, l\\\'Anpi organizza per «il Giorno del ricordo 2020» la proiezione delle «Memorie degli incendi» sui 200 villaggi dati alle fiamme durante l\\\'occupazione tedesca fra Slovenia, Croazia e Italia. Neanche un cenno alle foibe nel documentario finanziato dall\\\'Unione europea.
[continua]

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12 maggio 2020 | Tg5 | reportage
L'infermiera sopravvissuta al virus
L’infermiera ha contratto il virus da un paziente anziano nell’ospedale Maggiore di Trieste A casa non riusciva più a respirare ed è stata trasportata d’urgenza in ospedale Il figlio, soldato della Nato, era rimasto bloccato sul fronte baltico dall’emergenza virus con l’appartamento pieno di medicine l’incubo del contagio non l’abbandonerà mai Due mesi dopo il contagio Svetlana è negativa al virus ma ancora debole e chiusa in casa

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18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre. Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato. Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano. Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca. “Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria. Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida. L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane. La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....

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07 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Parla il sopravvissuto al virus
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il sopravvissuto sta sbucciando un’arancia seduto sul letto di ospedale, come se non fosse rispuntato da poco dall’anticamera dell’inferno. Maglietta grigia, speranza dipinta negli occhi, Giovanni Ziliani è stato dimesso mercoledì, per tornare a casa. Quarantadue anni, atleta e istruttore di arti marziali ai bambini, il 10 marzo ha iniziato a stare male nella sua città, Cremona. Cinque giorni dopo è finito in terapia intensiva. Dalla Lombardia l’hanno trasferito a Trieste, dove un tubo in gola gli pompava aria nei polmoni devastati dall’infezione. Dopo 17 giorni di calvario è tornato a vivere, non più contagioso. Cosa ricorda di questa discesa all’inferno? “Non volevo dormire perchè avevo paura di smettere di respirare. Ricordo il tubo in gola, come dovevo convivere con il dolore, gli sforzi di vomito ogni volta che cercavo di deglutire. E gli occhi arrossati che bruciavano. Quando mi sono svegliato, ancora intubato, ero spaventato, disorientato. La sensazione è di impotenza sul proprio corpo. Ti rendi conto che dipendi da fili, tubi, macchine. E che la cosa più naturale del mondo, respirare, non lo è più”. Dove ha trovato la forza? “Mi sono aggrappato alla famiglia, ai valori veri. Al ricordo di mia moglie, in cinta da otto mesi e di nostra figlia di 7 anni. Ti aggrappi a quello che conta nella vita. E poi c’erano gli angeli in tuta bianca che mi hanno fatto rinascere”. Gli operatori sanitari dell’ospedale? “Sì, medici ed infermieri che ti aiutano e confortano in ogni modo. Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”. Il momento che non dimenticherà mai? “Quando mi hanno estubato. E’ stata una festa. E quando ero in grado di parlare la prima cosa che hanno fatto è una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo”. Come ha recuperato le forze? “Sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”. Come è stato infettato? “Abbiamo preso il virus da papà, che purtroppo non ce l’ha fatta. Mio fratello è intubato a Varese non ancora fuori pericolo”. E la sua famiglia? “Moglie e figlia di 7 anni per fortuna sono negative. La mia signora è in attesa di Gabriele che nascerà fra un mese. Ed io sono rinato a Trieste”. Ha pensato di non farcela? “Ero stanco di stare male con la febbre sempre a 39,6. Speravo di addormentarmi in terapia intensiva e di risvegliarmi guarito. Non è andata proprio in questo modo, ma è finita così: una vittoria per tutti”.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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