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Commento
11 febbraio 2020 - Sito - Italia - Il Giornale.it |
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Foibe, il giustificazionismo che uccide i martiri due volte |
La Repubblica di Torino bolla la martire istriana, Norma Cossetto, come “fascista”, il Corrierone descrive pudicamente le parole oltraggiose di Vauro sulla commemorazione delle foibe con il termine “gaffe” nel sotto titolo sul giorno del Ricordo. Michele Serra dedica le prime righe alla tragedia degli eccidi e dell’esodo, che non si possono “negare o ridicolizzare” e poi via con il resto dell’Amaca sulle solite colpe del fascismo che, di fatto, hanno provocato la reazione anti italiana. La Rai viene bacchettata perché relega il 10 febbraio in tarda serata o al mattino presto con una programmazione minima. Quasi tutti i media si sono occupati del ricordo delle foibe perchè devono, ma seppellendo la notizia fra le varie ed eventuali. Un atteggiamento editoriale che fa male e stride rispetto alla più che ampia copertura della giornata della Memoria per l’Olocausto. Una chiara dimostrazione che nel mondo del giornalismo, dell’intellighenzia e degli storici blasonati, gratta gratta, resta sempre la discriminazione fra morti di serie A dalla parte giusta della storia e di serie B da quella sbagliata dei vinti.Il negazionismo, per fortuna, è residuale, ma gran parte della sinistra guidata dal faro tutelare dell’Anpi continua a sostenere il “giustificazionismo”. Il fascismo, l’esercito italiano, le divisioni tedesche hanno compiuto errori e nefandezze, ma ci si ostina a non voler capire che un crimine non può giustificarne un altro. Due violenze solo si sommano, non si elidono e questo continuo richiamo al prima per fare capire il dopo nasconde la solita vecchia accusa che in fondo gli infoibati erano tutti fascisti e ben li sta. Non solo è legge della giungla, ma cozza con la realtà storica dei civili, donne innocenti e pure antifascisti invisi al comunismo di Tito che furono scaraventati nelle foibe.Non è un caso che un grande quotidiano nazionale bolli in un titolo come “fascista” Norma Cossetto specificando, nelle prime righe dell’articolo, che era iscritta ai gruppi universitari del regime. Pure l’astrofisica Margherita Hack partecipava alle gare sportive degli stessi gruppi, ma nessuno le ha mai rinfacciato un passato fascista. Per non parlare dei tanti personaggi che si innamorarono da giovani del Duce per poi cambiare idea e dedicarsi tutta la vita a condannare il fascismo.Il giustificazionismo, anche se sotto traccia e non impugnato esplicitamente, provoca un altro effetto perverso: gli oltraggi di serie A e di serie B. Se spuntano spettri anti semiti con scritte o simboli ingiuriose per le vittime dell’Olocausto diventa, giustamente, un caso nazionale. Se in occasione del 10 febbraio ci sono decine di oltraggi alle vittime del foibe passa in secondo piano. A Trieste è comparsa una scritta ingiuriosa contro Norma Cossetto e i militanti di Casa Pound hanno affisso, in riposta, uno striscione con la scritta “partigiani titini, infami e assassini”. Il giornaletto locale, che fa sempre parte del gruppo Repubblica, dedica una paginata con grande foto alla provocazione dell’estrema destra. Neppure una fotina sulle bandiere jugoslave con la stella rossa di Tito, carnefice degli italiani, che sventolavano al presidio antifascista il giorno del Ricordo nel centro del capoluogo giuliano con tanto di striscione che incitava alla “resistenza” in nome del negazionismo.Due pesi e due misure che alla fine fanno gettare la maschera agli ultimi panda comunisti, come Paolo Ferrero ospite del programma Quarta repubblica. Dopo la solita litania sui crimini fascisti, che hanno provocato le foibe, alla domanda se fosse d’accordo a revocare la più alta onorificenza italiana al maresciallo Tito ha risposto di no spiegando che era un grande leader. E il boia di migliaia di italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia oltre che di un quarto di milione di sloveni, croati, montenegrini, serbi, compresi i partigiani monarchici anticomunisti che combatterono pure contro i nazisti. Tutti prigionieri di guerra, in gran parte vergognosamente consegnati dagli inglesi ai titini e massacrati a conflitto finito assieme a donne, bambini, suore e preti. Giustifichiamo anche crimini di guerra di questa entità solo perchè si tratta del sangue dei vinti?
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[continua] |
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21 settembre 2012 | La Vita in Diretta | reportage
Islam in Italia e non solo. Preconcetti, paure e pericoli
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26 agosto 2023 | Tgcom24 | reportage
Emergenza migranti
Idee chiare sulla crisi dagli sbarchi alla rotta balcanica.
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18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre.
Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato.
Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano.
Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca.
“Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria.
Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman
Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida.
L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane.
La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....
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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento |
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo
I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti.
“Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale.
I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria.
Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa.
In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo.
“In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani.
Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.
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