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16 febbraio 2020 - Prima - Italia - Il Giornale
L’eroe fiumano Gigante fucilato dai comunisti torna a fianco del Vate
Undici salve di cannone hanno accolto i resti mortali del senatore Riccardo Gigante. Il compagno dell\\\'impresa di Fiume, Gabriele D\\\'Annunzio, lo voleva al suo fianco, al Vittoriale degli italiani. A Gardone Riviera, sulle sponde del lago, il poeta guerriero aveva edificato il suo mausoleo attorniato da dieci grandi urne per le spoglie di altrettanti compagni d\\\'avventura, amici per sempre. Solo una era rimasta vuota perché ci sono voluti 73 anni per riportare alla luce i resti del senatore Gigante. Gli sgherri di Tito lo hanno fucilato vicino a Fiume, senza processo, il 4 maggio 1945, a guerra finita. E buttato in una fossa comune.
«L\\\'emozione è stata straordinaria e ha accomunato le 1500 persone presenti in questo grande ricordo. Abbiamo rispettato la volontà di D\\\'Annunzio di avere accanto a sé gli amici dell\\\'impresa fiumana» ha raccontato al Giornale, Giordano Bruno Guerri, presidente della Fondazione del Vittoriale, la «casa» del Vate.
La cerimonia ha avuto il suo apice quando Dino Gigante, discendente del senatore ha depositato i resti assieme a quelli di altri sventurati infoibati da Tito nell\\\'urna rimasta per troppi anni vuota. Istituzioni civili, militari, il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza, associazioni d\\\'Arma hanno affollato il Vittoriale per il momento solenne.
In un paese che non dimentica il passato avrebbero dovuto esserci il presidente del Consiglio o il capo dello Stato, ma Gigante è una vittima di serie B, dei crimini comunisti e D\\\'Annunzio sembra quasi che sia troppo ingombrante e discusso per onorarlo come meriterebbero la sua storia.
Gigante, classe 1881, fu giovane artista, storico, giornalista e fondatore di un circolo irredentista ai tempi dell\\\'impero austro ungarico. Durante il primo conflitto mondiale faceva parte dei cento coraggiosi fiumani che combatterono per l\\\'Italia rischiando il patibolo in caso di cattura. Eroe di guerra guadagnò sul campo la croce al valore militare e nel 1919 fu protagonista dell\\\'impresa di Fiume al fianco di D\\\'Annunzio.
«Ti aspettavamo qui di giorno in giorno» scriveva il Vate in un preveggente telegramma all\\\'amico. E ci sono voluti 75 anni. Gigante divenne sindaco di Fiume e senatore durante il periodo fascista. Nel 1943 aderì alla Repubblica sociale, ma fu destituito dopo sole tre settimane perché aveva preso una ferma posizione contro la politica di assimilazione forzata nei confronti degli slavi. Sua moglie era ebrea e da uomo di altri tempi rimase a Fiume all\\\'arrivo dei partigiani vittoriosi di Tito sostenendo «di non aver mai compiuto alcun crimine». L\\\'Ozna, la polizia segreta, lo prelevò come «nemico del popolo». A Castua, pochi chilometri nell\\\'entroterra venne fucilato, senza processo, assieme ad altri sette italiani. Poi i carnefici finirono i moribondi a colpi di baionetta gettando i cadaveri in una fossa comune.
Solo nel 2018 è stato possibile recuperare i resti del senatore disperso grazie alla tenace ricerca di Amleto Ballarini della Società di Studi fiumani, Onor caduti e le autorità croate. Gasparri, senatore di Forza Italia ha spiegato di avere chiesto «l\\\'intervento del Ris dei carabinieri di Parma per l\\\'identificazione delle spoglie grazie all\\\'esame del Dna».
La tumulazione al Vittoriale è avvenuta ieri, spiega Guerri, anche «per ricordare a tragedia delle foibe e dell\\\'esodo dei profughi giuliani, fiumani e dalmati che furono costretti a lasciare le loro case e la loro storia, per fuggire al terrore di un vincitore spietato». Una commossa Daniela Gigante, nipote dell\\\'eroe fiumano ha dichiarato: «Mai avrei sperato di arrivare a questo giorno, alla restituzione dei resti di mio nonno. Non c\\\'è nulla di più bello e credo possa essere un esempio per tutti».
[continua]

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26 agosto 2023 | Tgcom24 | reportage
Emergenza migranti
Idee chiare sulla crisi dagli sbarchi alla rotta balcanica.

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18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre. Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato. Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano. Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca. “Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria. Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida. L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane. La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....

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24 novembre 2015 | Rai 1 Storie vere | reportage
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Dopo gli attacchi di Parigi cosa dobbiamo fare per estirpare la minaccia in Siria, Iraq e a casa nostra

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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