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Commento
03 luglio 2020 - Prima - Italia - Il Giornale |
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Vittoria (anche nostra) dal retrogusto amaro |
U na vittoria per l\\\'Italia la sentenza internazionale che strappa definitivamente dalle grinfie indiane i nostri marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. E permetteteci di rivendicare, che una piccolissima parte di questa vittoria è pure del Giornale e dei suoi lettori. Fin dall\\\'inizio, con il fiocco giallo sulla testata, abbiamo condotto una battaglia, talvolta solitaria nel panorama mediatico, in difesa dei fucilieri di Marina. Soprattutto sul diritto sacrosanto, adesso sancito (...) (...) dal tribunale arbitrale, alla giurisdizione italiana del caso e sull\\\'immunità in quanto militari in servizio anti pirateria. Però è una vittoria che lascia dell\\\'amaro in bocca. Dopo otto lunghissimi anni arriva tardi e apre un nuovo capitolo dell\\\'odissea giudiziaria dei marò. In pratica si torna alla casella di partenza, come nel gioco dell\\\'oca. Adesso Girone e Latorre dovranno essere processati in Italia. E con la magistratura che ci ritroviamo non c\\\'è da stare molto tranquilli. La procura di Roma e quella militare hanno aperto dei procedimenti fin dal 2012 e la decisione della corte arbitrale impone di giudicarli in Italia. L\\\'ipotesi di accusa formulata dalla magistratura civile è di omicidio volontario e non può che far tremare i polsi. Girone e Latorre si sono sempre professati innocenti. In tribunale dovrebbero venire finalmente alla luce i tanti dubbi e buchi neri di questa storia, come il vero calibro dei proiettili che hanno ucciso i pescatori indiani, le rotte e i tempi da verificare del peschereccio coinvolto nella vicenda oppure la possibilità di uno «spiattellamento», in pratica il rimbalzo dei colpi sul mare liscio come l\\\'olio. Tutte ipotesi da provare o confutare, ma suona stonata, anche se frutto di un ovvio compromesso, la decisione della corte arbitrale di obbligare l\\\'Italia a compensare i familiari delle vittime e il comandante del peschereccio, che è un furbone pronto a fare soldi sul caso fin dal 2012. Ai marò non va giù, perché risarcire significa in qualche maniera ammettere la colpa di avere sparato per uccidere, che loro da sempre giurano di non portare sulle spalle. E poi è rivoltante assistere a quanto sia facile salire sul carro dei vincitori dimenticando le pesanti responsabilità di vari governi. L\\\'aspetto più ridicolo è l\\\'osanna dei grillini al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che ha assunto la carica nell\\\'autunno dello scorso anno. Anche se voleva non avrebbe potuto fare nulla perché la corte arbitrale aveva giù chiuso le udienze e si attendeva, da tempo, la sentenza. Per di più Di Maio non era neppure in Parlamento quando i marò finirono in galera in India. La decisione di imboccare la via arbitrale a livello internazionale era stata fortemente consigliata da esperti del diritto internazionale e del mare, che per anni sono rimasti inascoltati. L\\\'unico esponente governativo ad avere dimostrato di avere la spina dorsale e un senso della Patria è stato l\\\'allora ministro degli Esteri, Giulio Terzi, che si dimise quando il governo Monti con un atto infame calò le braghe rimandando i marò in India. Solo nel 2015, sotto l\\\'esecutivo Renzi, si imboccò con decisione la via dell\\\'arbitrato, che ha portato a una vittoria con l\\\'amaro in bocca cinque anni dopo. Tutti esultano, ma l\\\'odissea dei marò non è finita. Anzi inizia una nuova fase giudiziaria in Italia, che dopo otto anni dovremmo avere la decenza di concludere in fretta. Oggi come ieri saremo sempre al fianco dei marò nella speranza che venga fatta finalmente giustizia e riconosciuta, o meno, la loro innocenza. Fausto Biloslavo |
[continua] |
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16 febbraio 2007 | Otto e Mezzo | reportage
Foibe, conflitto sulla storia
Foibe, conflitto sulla storia
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07 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Parla il sopravvissuto al virus
Fausto Biloslavo
TRIESTE - Il sopravvissuto sta sbucciando un’arancia seduto sul letto di ospedale, come se non fosse rispuntato da poco dall’anticamera dell’inferno. Maglietta grigia, speranza dipinta negli occhi, Giovanni Ziliani è stato dimesso mercoledì, per tornare a casa. Quarantadue anni, atleta e istruttore di arti marziali ai bambini, il 10 marzo ha iniziato a stare male nella sua città, Cremona. Cinque giorni dopo è finito in terapia intensiva. Dalla Lombardia l’hanno trasferito a Trieste, dove un tubo in gola gli pompava aria nei polmoni devastati dall’infezione. Dopo 17 giorni di calvario è tornato a vivere, non più contagioso.
Cosa ricorda di questa discesa all’inferno?
“Non volevo dormire perchè avevo paura di smettere di respirare. Ricordo il tubo in gola, come dovevo convivere con il dolore, gli sforzi di vomito ogni volta che cercavo di deglutire. E gli occhi arrossati che bruciavano. Quando mi sono svegliato, ancora intubato, ero spaventato, disorientato. La sensazione è di impotenza sul proprio corpo. Ti rendi conto che dipendi da fili, tubi, macchine. E che la cosa più naturale del mondo, respirare, non lo è più”.
Dove ha trovato la forza?
“Mi sono aggrappato alla famiglia, ai valori veri. Al ricordo di mia moglie, in cinta da otto mesi e di nostra figlia di 7 anni. Ti aggrappi a quello che conta nella vita. E poi c’erano gli angeli in tuta bianca che mi hanno fatto rinascere”.
Gli operatori sanitari dell’ospedale?
“Sì, medici ed infermieri che ti aiutano e confortano in ogni modo. Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”.
Il momento che non dimenticherà mai?
“Quando mi hanno estubato. E’ stata una festa. E quando ero in grado di parlare la prima cosa che hanno fatto è una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo”.
Come ha recuperato le forze?
“Sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”.
Come è stato infettato?
“Abbiamo preso il virus da papà, che purtroppo non ce l’ha fatta. Mio fratello è intubato a Varese non ancora fuori pericolo”.
E la sua famiglia?
“Moglie e figlia di 7 anni per fortuna sono negative. La mia signora è in attesa di Gabriele che nascerà fra un mese. Ed io sono rinato a Trieste”.
Ha pensato di non farcela?
“Ero stanco di stare male con la febbre sempre a 39,6. Speravo di addormentarmi in terapia intensiva e di risvegliarmi guarito. Non è andata proprio in questo modo, ma è finita così: una vittoria per tutti”.
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03 febbraio 2012 | UnoMattina | reportage
Il naufragio di nave Concordia e l'allarme del tracciato satellitare
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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento |
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo
I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti.
“Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale.
I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria.
Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa.
In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo.
“In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani.
Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.
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