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Artcolo
04 luglio 2020 - Prima - Italia - Il Giornale
Da Bonino a Mogherini: i traditori dei marò ora salgono sul carro
F acile salire sul carro del vincitore, dopo 8 anni di odissea giudiziaria dei due marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. Ex ministri e pure un ambasciatore della Nato in Afghanistan si fanno belli spiegando che sono loro ad avere sbloccato la situazione, ma non è così. Emma Bonino, ministro degli Esteri del governo Letta si è auto assunta la paternità del ricorso all\\\'arbitrato internazionale, che ha portato al riconoscimento della giurisdizione italiana. «Ho sempre pensato che fosse necessario seguire questa strada» ha dichiarato al Corriere della sera. A parte che il primo a lanciare l\\\'arbitrato a inizio 2013, era stato l\\\'allora ministro degli Esteri Giulio Terzi, poi «tradito» dal premier Mario Monti che rimandò i marò in India. Bonino non ricorda che proprio con la sua conduzione della Farnesina si è continuato ad imboccare la strada suicida imposta dagli indiani del processo a casa loro. Nel novembre 2013 la ministra dichiarava candidamente: «Adesso la procura di Delhi deve chiudere il fascicolo delle indagini, arrivare al capo d\\\'imputazione e poi si apre il processo». A tal punto che il Giornale andava all\\\'assalto chiedendo una svolta, ovvero di sbattere i pugni sul tavolo e fra le varie alternative possibili caldeggiava proprio l\\\'arbitrato internazionale. Bonino aveva indirettamente risposto: «Non ho mai capito bene cosa voglia dire» sbattere i pugni sul tavolo.
Ancora prima, nell\\\'ottobre 2013, in un\\\'infelice precisazione del suo staff, lungo la strada del procedimento in India, sosteneva che «non è accertata la colpevolezza e non è accertata l\\\'innocenza (dei marò, nda). I processi servono a questo».
Giulio Terzi conferma al Giornale che «l\\\'arbitrato è finito nel nulla per due anni con Bonino agli Esteri e all\\\'inizio Mogherini nel governo Renzi. Puntavano a chissà quale soluzione con gli indiani attraverso i servizi segreti». Al tempo fu addirittura presentata come «secret diplomacy», che non portò mai a nulla. Alla fine anche Renzi comprese che l\\\'unica strada era l\\\'arbitrato, finalmente avviato nel 2015.
Un altro ex ministro senza pudore, che salta sul carro del vincitore, è l\\\'ammiraglio Giampaolo Di Paola. «Grande soddisfazione per il parere espresso dal Tribunale dell\\\'Aja, dopo otto anni di attesa, di sofferenza e di sacrificio da parte dei due fucilieri della Marina» dichiara Di Paola, ministro della Difesa del governo Monti. A dargli man forte da Kabul, dove è Alto rappresentante civile per la Nato, l\\\'ambasciatore Stefano Pontecorvo. Secondo il diplomatico il risultato della sentenza indica chiaramente la posizione «che avevamo ottenuto dai tempi del ministro Di Paola ovvero che l\\\'Italia aveva giurisdizione e per la quale ci siamo battuti». Allora Pontecorvo era consigliere diplomatico alla Difesa.
«L\\\'idea dell\\\'arbitrato era stata proposta fin dall\\\'inizio dalla docente della Luiss, Angela Del Vecchio e partita da me all\\\'inizio del 2013 trattenendo i marò in Italia» racconta Terzi. All\\\'inizio Di Paola lo appoggiava, ma poi Monti tradì i marò rimandandoli in India. Terzi si dimise per protesta, ma Di Paola prese subito le distanze difendendo il governo con uno stucchevole discorso in aula. E non mollò la poltrona. Il risultato è che ci sono voluti oltre due anni per arrivare all\\\'arbitrato.
Non solo: Di Paola adesso contesta l\\\'indennizzo alle vittime imposto all\\\'Italia dal tribunale arbitrale. Si è dimenticato che fu proprio lui a caldeggiare nell\\\'aprile 2012 «un atto di donazione, di generosità, ex gratia» di 146mila euro a ciascuna famiglia dei due pescatori indiani uccisi in alto mare.
[continua]

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03 febbraio 2012 | UnoMattina | reportage
Il naufragio di nave Concordia e l'allarme del tracciato satellitare


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24 novembre 2015 | Rai 1 Storie vere | reportage
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14 marzo 2015 | Tgr Friuli-Venezia Giulia | reportage
Buongiorno regione
THE WAR AS I SAW IT - L'evento organizzato dal Club Atlantico giovanile del Friuli-Venezia Giulia e da Sconfinare si svolgerà nell’arco dell’intera giornata del 10 marzo 2015 e si articolerà in due fasi distinte: MATTINA (3 ore circa) ore 9.30 Conferenza sul tema del giornalismo di guerra Il panel affronterà il tema del giornalismo di guerra, raccontato e analizzato da chi l’ha vissuto in prima persona. Per questo motivo sono stati invitati come relatori professionisti del settore con ampia esperienza in conflitti e situazioni di crisi, come Gianandrea Gaiani (Direttore responsabile di Analisi Difesa, collaboratore di diverse testate nazionali), Fausto Biloslavo (inviato per Il Giornale in numerosi conflitti, in particolare in Medio Oriente), Elisabetta Burba (firma di Panorama), Gabriella Simoni (inviata Mediaset in numerosi teatri di conflitto, specialmente in Medio Oriente), Giampaolo Cadalanu (giornalista affermato, si occupa di politica estera per La Repubblica). Le relazioni saranno moderate dal professor Georg Meyr, coordinatore del corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Università di Trieste. POMERIGGIO (3 ore circa) ore 14.30 Due workshop sul tema del giornalismo di guerra: 1. “Il reporter sul campo vs l’analista da casa: strumenti utili e accorgimenti pratici” - G. Gaiani, G. Cadalanu, E. Burba, F. Biloslavo 2. “Il freelance, l'inviato e l'addetto stampa in aree di crisi: tre figure a confronto” G. Simoni, G. Cuscunà, cap. B. Liotti

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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