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09 luglio 2020 - Attualità - Italia - Il Giornale
In Italia è boom di moschee abusive Così si nasconde il pericolo integralista
Fausto Biloslavo
A Milano le moschee «abusive» sono nove e quattro quelle autorizzate. In tutta la Lombardia sarebbero circa 70-75 i centri di preghiera irregolari, ma alla Regione hanno risposto poco più della metà dei comuni. E non città importanti per la presenza islamica come Brescia e Bergamo. «Ancora una volta al centro dell\\\'islamizzazione violenta c\\\'è un luogo di culto abusivo: quello di via Carissimi a Milano, gestito dall\\\'associazione Al Nur» sottolinea l\\\'assessore regionale alla Sicurezza, Immigrazione e Polizia locale, Riccardo De Corato. «Chiediamo la chiusura immediata di tutti i centri islamici abusivi che, come confermano le indagini, sono luoghi al di fuori di ogni controllo anche da parte delle stesse associazioni» spiega l\\\'assessore.
Il convertito italiano, Nicola Ferrara, adepto della guerra santa, frequentava proprio la moschea «abusiva» di via Carissimi in mano ai bengalesi. E all\\\'esterno del centro islamico adescava i giovani per circuirli con la Jihad. «Quattro, cinque ragazzini, anche minori, prevalentemente italiani convertiti» spiega il tenente colonnello Andrea Leo, che guida il Reparto operativo speciale dei carabinieri coinvolto nelle indagini.
Issa, il nome islamico del talebano italiano frequentava una moschea vicina a casa sua, ma di riferimento per i bengalesi. Non solo: l\\\'antiterrorismo, secondo informazioni raccolte prima del suo caso, monitorizzava gli ambienti islamici del Bangladesh a Milano almeno dal 2017. Nel capoluogo lombardo esiste una costola islamista bengalese legata alla Jamat e Islami, una specie di Fratellanza musulmana che tende all\\\'estremismo salafita. Alcuni membri avevano addirittura accusato le autorità di Dacca della strage di turisti, compresi 9 italiani, in realtà perpetrata dai terroristi dell\\\'Isis il primo luglio 2016. Abu Hanif Patwery è la «faccia presentabile» della comunità, in realtà «un finto moderato» secondo gli addetti ai lavori. Grazie alla sua regia i bengalesi hanno manifestato per le vie del capoluogo lombardo a favore dei «fratelli» giustiziati o in carcere a Dacca con l\\\'accusa di terrorismo.
Munshi Delowar Hossain, il presidente del centro islamico frequentato dall\\\'italiano jihadista non aveva informato il Comune della mutazione d\\\'uso dei 200 metri quadrati di via Carissimi registrati come «laboratorio». La polizia municipale ha accertato che si trattava di un ruolo di culto con regolari orari di preghiera. Il Consiglio di stato ha respinto il ricorso dell\\\'associazione Al Nur, che gestisce la moschea abusiva, contro le irregolarità riscontrate dalle autorità. Il comune di Milano ha regolarizzato la posizione di quattro centri di preghiera islamici in via Padova/Cascina Gobba, via Maderna, via Gonin e via Quaranta. Altri nove sono abusivi, ma continuano a venire utilizzati come «moschee». Il 2019 aveva registrato un\\\'impennata delle nuove «moschee» in tutta Italia. Rispetto ai 1251 luoghi di culto islamici nel paese l\\\'obiettivo non dichiarato è di arrivare al doppio. Grazie ai fondi privati e pubblici che giungono da Qatar, Turchia e Arabia Saudita. Solo dal 2013 al 2017 la Fondazione caritatevole del Qatar ha investito 25 milioni di euro per i centri islamici in Italia.
Molte delle associazioni musulmane hanno sede in appartamenti privati, negozi, garage, magazzini, che non potrebbero venire utilizzati come moschee. Centri abusivi di culto dove si annida il pericolo della serpe jihadista. Le regioni più a rischio rimangono la Lombardia, il Lazio e il triangolo pericoloso è sempre quello di Milano-Brescia-Bergamo. I centri islamici abusivi, però, si stanno insediando anche in provincia. In Lombardia, Lazio e Campania si concentrano il 60% delle 12.034 intercettazioni dell\\\'antiterrorismo dal 2005 al 2017. Solo in Lombardia i «bersagli» sospetti monitorati, nello stesso periodo, sono stati 4567.
[continua]

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31 ottobre 2021 | Quarta repubblica | reportage
No vax scontri al porto
I primi lacrimogeni rimbalzano sull'asfalto e arditi No Pass cercano di ributtarli verso il cordone dei carabinieri che sta avanzando per sgomberare il varco numero 4 del porto di Trieste. I manifestanti urlano di tutto «merde, vergogna» cercando pietre e bottiglie da lanciare contro le forze dell'ordine. Un attivista ingaggia lo scontro impossibile e viene travolto dalle manganellate. Una volta crollato a terra lo trascinano via oltre il loro cordone. Scene da battaglia urbana, il capoluogo giuliano non le vedeva da decenni. Portuali e No Pass presidiavano da venerdì l'ingresso più importante dello scalo per protestare contro l'introduzione obbligatoria del lasciapassare verde. In realtà i portuali, dopo varie spaccature, sono solo una trentina. Gli altri, che arriveranno fino a 1.500, sono antagonisti e anarchici, che vogliono la linea dura, molta gente venuta da fuori, più estremisti di destra. Alle 9 arrivano in massa le forze dell'ordine con camion-idranti e schiere di agenti in tenuta antisommossa. Una colonna blu che arriva da dentro il porto fino alla sbarra dell'ingresso. «Lo scalo è porto franco. Non potevano farlo. È una violazione del trattato pace (dello scorso secolo, nda)» tuona Stefano Puzzer detto Ciccio, il capopopolo dei portuali. Armati di pettorina gialla sono loro che si schierano in prima linea seduti a terra davanti ai cordoni di polizia. La resistenza è passiva e gli agenti usano gli idranti per cercare di far sloggiare la fila di portuali. Uno di loro viene preso in pieno da un getto d'acqua e cade a terra battendo la testa. Gli altri lo portano via a braccia. Un gruppo probabilmente buddista prega per evitare lo sgombero. Una signora si avvicina a mani giunte ai poliziotti implorando di retrocedere, ma altri sono più aggressivi e partono valanghe di insulti. Gli agenti avanzano al passo, metro dopo metro. I portuali fanno da cuscinetto per tentare di evitare incidenti più gravi convincendo la massa dei No Pass, che nulla hanno a che fare con lo scalo giuliano, di indietreggiare con calma. Una donna alza le mani cercando di fermare i poliziotti, altri fanno muro e la tensione sale alimentata dal getto degli idranti. «Guardateci siamo fascisti?» urla un militante ai poliziotti. Il nocciolo duro dell'estrema sinistra seguito da gran parte della piazza non vuole andarsene dal porto. Quando la trattativa con il capo della Digos fallisce la situazione degenera in scontro aperto. Diego, un cuoco No Pass, denuncia: «Hanno preso un mio amico, Vittorio, per i capelli, assestandogli una manganellata in faccia». Le forze dell'ordine sgomberano il valico, ma sul grande viale a ridosso scoppia la guerriglia. «Era gente pacifica che non ha alzato un dito - sbotta Puzzer - È un attacco squadrista». I più giovani sono scatenati e spostano i cassonetti dell'immondizia per bloccare la strada scatenando altre cariche degli agenti. Donne per nulla intimorite urlano «vergognatevi» ai carabinieri, che rimangono impassibili. In rete cominciano a venire pubblicati post terribili rivolti agli agenti: «Avete i giorni contati. Se sai dove vivono questi poliziotti vai a ucciderli».Non a caso interviene anche il presidente Sergio Mattarella: «Sorprende e addolora che proprio adesso, in cui vediamo una ripresa incoraggiante esplodano fenomeni di aggressiva contestazione». Uno dei portuali ammette: "Avevamo detto ai No Pass di indietreggiare quando le forze dell'ordine avanzavano ma non ci hanno ascoltati. Così la manifestazione pacifica è stata rovinata». Puzzer raduna le «truppe» e i rinforzi, 3mila persone, in piazza Unità d'Italia. E prende le distanze dagli oltranzisti: «Ci sono gruppi che non c'entrano con noi al porto che si stanno scontrando con le forze dell'ordine». Non è finita, oltre 100 irriducibili si scatenano nel quartiere di San Vito. E riescono a bloccare decine di camion diretti allo scalo con cassonetti dati alle fiamme in mezzo alla strada. Molti sono vestiti di nero con il volto coperto simili ai black bloc. La battaglia sul fronte del porto continua fino a sera.

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21 settembre 2012 | La Vita in Diretta | reportage
Islam in Italia e non solo. Preconcetti, paure e pericoli


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11 novembre 2008 | Centenario della Federazione della stampa | reportage
A Trieste una targa per Almerigo Grilz
e tutti i caduti sul fronte dell'informazione

Ci sono voluti 21 anni, epiche battaglie a colpi di articoli, proteste, un libro fotografico ed una mostra, ma alla fine anche la "casta" dei giornalisti triestini ricorda Almerigo Grilz. L'11 novembre, nella sala del Consiglio comunale del capoluogo giuliano, ha preso la parola il presidente dell'Ordine dei giornalisti del Friuli-Venezia Giulia, Pietro Villotta. Con un appassionato discorso ha spiegato la scelta di affiggere all'ingresso del palazzo della stampa a Trieste una grande targa in cristallo con i nomi di tutti i giornalisti italiani caduti in guerra, per mano della mafia o del terrorismo dal 1945 a oggi. In rigoroso ordine alfabetico c'era anche quello di Almerigo Grilz, che per anni è stato volutamente dimenticato dai giornalisti triestini, che ricordavano solo i colleghi del capoluogo giuliano uccisi a Mostar e a Mogadiscio. La targa è stata scoperta in occasione della celebrazione del centenario della Federazione nazionale della stampa italiana. Il sindacato unico ha aderito all'iniziativa senza dimostrare grande entusiasmo e non menzionando mai, negli interventi ufficiali, il nome di Grilz, ma va bene lo stesso. Vale la pena dire: "Meglio tardi che mai". E da adesso speriamo veramente di aver voltato pagina sul "buco nero" che ha avvolto per anni Almerigo Grilz, l'inviato ignoto.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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