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Commento
24 luglio 2020 - Prima - Italia - Il Giornale
Poche mele marce, l’Arma è sana
G iù le mani dall\\\'Arma. Di fronte alla scoperta di un pugno di mele marce non si può fare di tutta l\\\'erba un fascio infangando 110mila carabinieri in servizio, che ogni giorno sputano sudore e talvolta sangue per garantire la nostra sicurezza. Non si tratta di un «sistema» come adombra la sorella di Stefano Cucchi, picchiato a morte da altre mele marce, sempre (...)
(...) pronta a girare il coltello nella piaga dando addosso all\\\'Arma. La «caserma degli orrori» di Piacenza e gli indagati che indossavano la divisa sono dei delinquenti stile Gomorra, non dei carabinieri. Un tempo sarebbero stati fucilati alla schiena con disonore perchè hanno tradito i principi dell\\\'Arma e la fiducia dei cittadini. Oggi ci accontentiamo di una condanna esemplare, se le accuse verranno provate fine in fondo. E di buttare via la chiave lasciandoli marcire in galera.
Fra le strampalate e livorose dichiarazioni di chi non ama i carabinieri a prescindere dalle mele marce, una andrebbe accolta non per esporli al pubblico ludibrio, ma perchè sono delinquenti come gli altri. In tutte le foto, comprese quelle stile Gomorra con le banconote dello spaccio di droga in mano, il volto degli infedeli servitori dello Stato è oscurato. Non si tratta di minorenni, ma di consapevoli criminali secondo le loro stesse parole captate dalle intercettazioni, che vorremmo vedere in faccia.
La colpa, in qualche maniera, è più pesante per i reati che sarebbero stati compiuti nel periodo dell\\\'isolamento a causa del virus. Nel totale disprezzo del sacrificio del paese le mele marce avrebbero addirittura favorito uno spacciatore con la relativa autorizzazione per recarsi a Milano a rifornirsi di droga.
Nonostante la gravità delle accuse è pretestuoso il solito coro anti carabinieri, che si alza ad ogni mela marcia scoperta nell\\\'Arma. A parte il fatto che il comando generale ha subito reagito collaborando senza se e senza ma con gli inquirenti risulta tragicomico che uno chef Rubio di turno pontifichi parlando di «disordine pubblico» piuttosto che dedicarsi ai fornelli. Del solito coro fanno parte anche un prete, il garante locale dei detenuti e qualche attivista di estrema sinistra. Un discorso a parte vale per Ilaria Cucchi, che ha perso un fratello, ma esagera, probabilmente con aspirazioni politiche in testa, quando sostiene che «basta parlare di singole mele marce, i casi stanno diventando davvero troppi. Il problema è nel sistema».
L\\\'Arma è rimasta e rimarrà nei secoli fedele. E lo dimostra il fatto che la segnalazione per aprire l\\\'inchiesta sulla «caserma degli orrori» è partita da un carabiniere, probabilmente un alto ufficiale, non in servizio in Piacenza. Gli inquirenti e l\\\'Arma per prima dovranno comunque scandagliare le responsabilità della catena di comando e controllo, ma c\\\'è una buona notizia. Nella stessa caserma di delinquenti c\\\'era un giovane appena promosso a maresciallo, che ha sempre detto no schifato dall\\\'andazzo, una mela sana, come l\\\'Arma dei carabinieri.
Fausto Biloslavo
[continua]

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24 novembre 2015 | Rai 1 Storie vere | reportage
Terrorismo in Europa
Dopo gli attacchi di Parigi cosa dobbiamo fare per estirpare la minaccia in Siria, Iraq e a casa nostra

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18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre. Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato. Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano. Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca. “Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria. Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida. L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane. La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....

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14 marzo 2015 | Tgr Friuli-Venezia Giulia | reportage
Buongiorno regione
THE WAR AS I SAW IT - L'evento organizzato dal Club Atlantico giovanile del Friuli-Venezia Giulia e da Sconfinare si svolgerà nell’arco dell’intera giornata del 10 marzo 2015 e si articolerà in due fasi distinte: MATTINA (3 ore circa) ore 9.30 Conferenza sul tema del giornalismo di guerra Il panel affronterà il tema del giornalismo di guerra, raccontato e analizzato da chi l’ha vissuto in prima persona. Per questo motivo sono stati invitati come relatori professionisti del settore con ampia esperienza in conflitti e situazioni di crisi, come Gianandrea Gaiani (Direttore responsabile di Analisi Difesa, collaboratore di diverse testate nazionali), Fausto Biloslavo (inviato per Il Giornale in numerosi conflitti, in particolare in Medio Oriente), Elisabetta Burba (firma di Panorama), Gabriella Simoni (inviata Mediaset in numerosi teatri di conflitto, specialmente in Medio Oriente), Giampaolo Cadalanu (giornalista affermato, si occupa di politica estera per La Repubblica). Le relazioni saranno moderate dal professor Georg Meyr, coordinatore del corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Università di Trieste. POMERIGGIO (3 ore circa) ore 14.30 Due workshop sul tema del giornalismo di guerra: 1. “Il reporter sul campo vs l’analista da casa: strumenti utili e accorgimenti pratici” - G. Gaiani, G. Cadalanu, E. Burba, F. Biloslavo 2. “Il freelance, l'inviato e l'addetto stampa in aree di crisi: tre figure a confronto” G. Simoni, G. Cuscunà, cap. B. Liotti

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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