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16 settembre 2020 - Il Fatto - Italia - Il Giornale
Irregolari, rimpatri a ostacoli E in 600 mila restano in Italia
I tunisini sono la prima nazionalità negli sbarchi. Ben 8.263 dall\'inizio dell\'anno fino a ieri. Il 41% del totale degli arrivi illegali via mare. Tutti irregolari, che dovrebbero essere rimandati a casa, come l\'assassino di don Roberto Malgesini da quasi 30 anni in Italia. Il Viminale grazie all\'accordo con il governo di Tunisi, ha ricominciato, appena dal 10 agosto, a rimpatriarne 80 a settimana in comodo volo charter. Prima c\'era l\'emergenza covid, che ha sospeso le espulsioni compresa quella dell\'accoltellatore del prete. Niente navi traghetto, ben più capienti, per non urtare la suscettibilità dello scassato esecutivo oltre il Mediterraneo. Avanti di questo passo ci vorranno 103 settimane, ovvero due anni, per riportare a casa solo il numero equivalente degli irregolari arrivati quest\'anno. Il problema è che in Italia abbiamo circa 600mila immigrati che non hanno diritto a rimanere da noi. E tanti sono tunisini che restano lo stesso con più decreti di espulsioni sulle spalle e reati come l\'omicida di Como.
Fino al 16 luglio erano stati sospesi i rimpatri dei tunisini a causa dell\'emergenza virus. E i voli charter sono un esborso non indifferente. Secondo le stime di Frontex, il costo del rimpatrio di una singola persona va dai 4mila ai 6mila euro. Nel 70 per cento dei casi è necessario ricorrere alla procedura coatta, predisponendo voli charter con le adeguate misure di sicurezza. In pratica ci vogliono due agenti di polizia ogni irregolare. E\' capitato che per espellere 29 tunisini sono serviti 74 accompagnatori per un costo complessivo di circa 115 mila euro.
Dal 16 luglio, su richiesta del governo di Tunisi e per le regole anti Covid, i rimpatri erano dimezzati. Ogni settimana partivano 40 irregolari. Ed è andata avanti a singhiozzo fino ai primi di agosto, con un centinaio di tunisini rimpatriati. In tutto dal primo giugno al 3 agosto sono stati rimandati a casa 266 irregolari (116 verso la Tunisia e 103 in Albania). Fra questi non c\'era l\'assassino di Como, che aveva ottenuto dalla vittima, prima di accoltellarlo, un avvocato per fermare la doppia espulsione.
«Dal 10 agosto dopo l\'interruzione per il periodo di lockdown» si è tornati «a rimpatriare su voli charter verso la Tunisia fino ad un massimo di 40 cittadini tunisini a viaggio» si legge sul sito del Viminale. Per poi arrivare «come già previsto dagli accordi con il paese nord africano a voli bisettimanali con partenze il lunedì e il giovedì che consentiranno di allontanare 80 irregolari a settimana».
Per accelerare i rimpatri dei tunisini il governo aveva ipotizzato l\'utilizzo di una nave traghetto, come quelle per la quarantena dei migranti al largo della Sicilia. Il governo in crisi di Tunisi, però, ha risposto picche. E siamo all\'assurdo, che davanti all\'ambasciata italiana si tengono manifestazioni di protesta dei familiari dei clandestini sbarcati da noi per reclamare il rispetto dei diritti umani dei migranti e opporsi alle procedure di espulsione dal nostro Paese.
I tunisini sono la punta dell\'iceberg dei 600mila irregolari stimati in Italia su 5.306.548 stranieri nel 2020 secondo l\'Istat. Le stime sono incerte, ma si suppone che circa 200mila siano colf, badanti e baby sitter. Altri 200mila lavorerebbero in nero nei campi. La sanatoria caldeggiata dal ministro delle politiche agricole, Teresa Bellanova, è stata un mezzo flop. Al 31 luglio sono arrivate appena 148.594 le domande di regolarizzazione degli immigrati per chiedere il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro. La maggioranza, 128.179, riguarda i rapporti di lavoro domestico e appena 19.875, ben lontane dalle previsioni, sono relative ad agricoltura e pesca. Anche se andranno tutte in porto rimarranno in Italia 450mila immigrati irregolari.
[continua]

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07 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Parla il sopravvissuto al virus
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il sopravvissuto sta sbucciando un’arancia seduto sul letto di ospedale, come se non fosse rispuntato da poco dall’anticamera dell’inferno. Maglietta grigia, speranza dipinta negli occhi, Giovanni Ziliani è stato dimesso mercoledì, per tornare a casa. Quarantadue anni, atleta e istruttore di arti marziali ai bambini, il 10 marzo ha iniziato a stare male nella sua città, Cremona. Cinque giorni dopo è finito in terapia intensiva. Dalla Lombardia l’hanno trasferito a Trieste, dove un tubo in gola gli pompava aria nei polmoni devastati dall’infezione. Dopo 17 giorni di calvario è tornato a vivere, non più contagioso. Cosa ricorda di questa discesa all’inferno? “Non volevo dormire perchè avevo paura di smettere di respirare. Ricordo il tubo in gola, come dovevo convivere con il dolore, gli sforzi di vomito ogni volta che cercavo di deglutire. E gli occhi arrossati che bruciavano. Quando mi sono svegliato, ancora intubato, ero spaventato, disorientato. La sensazione è di impotenza sul proprio corpo. Ti rendi conto che dipendi da fili, tubi, macchine. E che la cosa più naturale del mondo, respirare, non lo è più”. Dove ha trovato la forza? “Mi sono aggrappato alla famiglia, ai valori veri. Al ricordo di mia moglie, in cinta da otto mesi e di nostra figlia di 7 anni. Ti aggrappi a quello che conta nella vita. E poi c’erano gli angeli in tuta bianca che mi hanno fatto rinascere”. Gli operatori sanitari dell’ospedale? “Sì, medici ed infermieri che ti aiutano e confortano in ogni modo. Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”. Il momento che non dimenticherà mai? “Quando mi hanno estubato. E’ stata una festa. E quando ero in grado di parlare la prima cosa che hanno fatto è una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo”. Come ha recuperato le forze? “Sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”. Come è stato infettato? “Abbiamo preso il virus da papà, che purtroppo non ce l’ha fatta. Mio fratello è intubato a Varese non ancora fuori pericolo”. E la sua famiglia? “Moglie e figlia di 7 anni per fortuna sono negative. La mia signora è in attesa di Gabriele che nascerà fra un mese. Ed io sono rinato a Trieste”. Ha pensato di non farcela? “Ero stanco di stare male con la febbre sempre a 39,6. Speravo di addormentarmi in terapia intensiva e di risvegliarmi guarito. Non è andata proprio in questo modo, ma è finita così: una vittoria per tutti”.

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03 febbraio 2012 | UnoMattina | reportage
Il naufragio di nave Concordia e l'allarme del tracciato satellitare


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05 febbraio 2015 | Porta a Porta | reportage
IN RICORDO DELLE FOIBE E L'ESODO LA PUNTATA DI PORTA A PORTA


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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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