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Articolo
04 ottobre 2020 - Il Fatto - Italia - Il Giornale |
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Ad accusare l’ex ministro sono rimasti 2 nigeriani e associazioni di sinistra |
Fausto Biloslavo Ma chi vuole veramente la condanna dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini per il caso Gregoretti? Un ex comunista a capo di Legambiente Sicilia, una coppia di migranti nigeriani “sequestrati” per meno di un giorno, l’ultrasinistra dell’Arci, “sempre attiva e resistente” oltre che un’onlus di Siracusa per i minori non accompagnati. Si sono costituiti tutti parte civile a Catania contro il leader della Lega, dove la Procura rimane convinta “dell’infondatezza del reato”. “L\\\\\\\'accusa in questo processo è stata rappresentata solo dalle parti civili” ha dichiarato con orgoglio l\\\\\\\'avvocato Daniela Ciancimino, che rappresenta Legambiente. In teoria dovrebbe trattarsi solo di un’associazione ecologista, ma in realtà è stata propio la costola siciliana a dare vita al processo Salvini presentando un esposto alla procura di Siracusa il 31 luglio 2019 sul “sequestro” dei migranti a bordo di nave Gregoretti della Guardia costiera. Non è un caso: il presidente di Legambiente Sicilia, Gianfranco Zanna, come si legge sul sito dell’associazione “ha un passato di politico, cresciuto tra i giovani comunisti (…) E’ stato dirigente del PCI e poi del PDS, facendo, tra l’altro, anche il parlamentare regionale dal 1996 al 2001”. \\\\\\\"La costituzione di parte civile - dichiarano i vertici di Legambiente - è un fatto importante perché viene riconosciuto il nostro impegno contro ogni ingiustizia promuovendo un\\\\\\\'ecologia umana legata alla centralità delle persone. Non si possono alzare muri e barricate né chiudere i porti contro il dramma dell’immigrazione”. Quando si presentano in tv per le Golette verdi, però, non spiegano che sono ecologisti ideologizzati: “Quanto accaduto sulla Gregoretti un anno fa è un fatto grave e inammissibile frutto di scelte politiche inconcepibili”. Subito dopo aver presentato l’esposto scrivevano: “Perché ci occupiamo di migranti? Ci siamo sempre occupati di ambiente ma anche di essere umani a prescindere dal loro passaporto, perché pratichiamo da 39 anni l’ecologia umana di cui parla anche Papa Francesco”. Al loro fianco come parte civile per chiedere una condanna esemplare c’è l’Arci, l’organizzazione delle case del popolo e dei circoli ricreativi di sinistra. Il 5 per mille lo hanno donato a Mediterranea, il cartello degli estremisti come Luca Casarini, che ha comprato nave Mare Jonio, più volte sequestrata, dopo avere fatto sbarcare i migranti illegali in Italia. L’Arci è stata aiutata anche dal discusso miliardario George Soros, come ha confermato al Giornale il rappresentante in Europa della Open society foundation. Oltre ai big si è fatta avanti come parte civile l’onlus di Siracusa AccoglieRete. “I minori a bordo della Gregoretti sono stati fatti scendere solo su disposizione del Tribunale dei minori e non perchè lo ha deciso l\\\\\\\'allora ministro Salvini. Li ha lasciati a bordo per giorni sotto 37 gradi e con un solo bagno. Tenuti in ostaggio per ottenere dall\\\\\\\'Europa la redistribuzione dei migranti. Merita il rinvio a giudizio” ha sentenziato ieri Carla Frenguelli, a capo dell’associazione che si occupa di minori non accompagnati. Sulla sua pagina Facebook ha postato le foto della nave “anarchica” Louise Michel finanziata dal misterioso Bansky, artista e furbone di strada, per recuperare migranti partiti dalla Libia e portarli da noi. Inevitabile che fra i partner della onlus ci siano la solita Arci, l’Asgi, associazione di avvocati che difendono le Ong, Emergency, l’Unhcr, costola dell’Onu per i rifugiati e alcune università come quella di Catania. Ed i migranti? Come parte civile, si sono presentati solo due, una coppia di nigeriani, Jafra e Aishat Saha con i loro figli, sui 116 che erano a bordo di nave Gregoretti. La signora, che era in cinta, ha raccontato che “neanche gli animali vengono trattati così male”, come se l’Italia fosse peggio dei trafficanti libici. Peccato che Aishat, proprio per la gravidanza all’ottavo mese, il marito ed i due figli di 10 e 6 anni siano stati sbarcati dal Gregoretti appena dopo 20 ore di attesa in rada. Il “sequestro” più breve della storia anche rispetto al pugno di giorni contestati a Salvini per gli altri migranti. |
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10 giugno 2008 | TG3 regionale | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /1
Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, non dimentica i vecchi amici scomparsi. Il 10 giugno ha visitato a Bolzano la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” dedicata ad Almerigo Grilz. La mostra è stata organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti. Gli ho illustrato le immagini forti raccolte in 25 anni di reportage assieme ad Almerigo e Gian Micalessin. La Russa ha ricordato quando "sono andato a prendere Fausto e Almerigo al ritorno da uno dei primi reportage con la mia vecchia 500 in stazione a Milano. Poco dopo li hanno ricoverati tutti e due per qualche malattia". Era il 1983, il primo reportage in Afghanistan e avevamo beccato l'epatite mangiando la misera sbobba dei mujaheddin, che combattevano contro le truppe sovietiche.
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07 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Parla il sopravvissuto al virus
Fausto Biloslavo
TRIESTE - Il sopravvissuto sta sbucciando un’arancia seduto sul letto di ospedale, come se non fosse rispuntato da poco dall’anticamera dell’inferno. Maglietta grigia, speranza dipinta negli occhi, Giovanni Ziliani è stato dimesso mercoledì, per tornare a casa. Quarantadue anni, atleta e istruttore di arti marziali ai bambini, il 10 marzo ha iniziato a stare male nella sua città, Cremona. Cinque giorni dopo è finito in terapia intensiva. Dalla Lombardia l’hanno trasferito a Trieste, dove un tubo in gola gli pompava aria nei polmoni devastati dall’infezione. Dopo 17 giorni di calvario è tornato a vivere, non più contagioso.
Cosa ricorda di questa discesa all’inferno?
“Non volevo dormire perchè avevo paura di smettere di respirare. Ricordo il tubo in gola, come dovevo convivere con il dolore, gli sforzi di vomito ogni volta che cercavo di deglutire. E gli occhi arrossati che bruciavano. Quando mi sono svegliato, ancora intubato, ero spaventato, disorientato. La sensazione è di impotenza sul proprio corpo. Ti rendi conto che dipendi da fili, tubi, macchine. E che la cosa più naturale del mondo, respirare, non lo è più”.
Dove ha trovato la forza?
“Mi sono aggrappato alla famiglia, ai valori veri. Al ricordo di mia moglie, in cinta da otto mesi e di nostra figlia di 7 anni. Ti aggrappi a quello che conta nella vita. E poi c’erano gli angeli in tuta bianca che mi hanno fatto rinascere”.
Gli operatori sanitari dell’ospedale?
“Sì, medici ed infermieri che ti aiutano e confortano in ogni modo. Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”.
Il momento che non dimenticherà mai?
“Quando mi hanno estubato. E’ stata una festa. E quando ero in grado di parlare la prima cosa che hanno fatto è una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo”.
Come ha recuperato le forze?
“Sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”.
Come è stato infettato?
“Abbiamo preso il virus da papà, che purtroppo non ce l’ha fatta. Mio fratello è intubato a Varese non ancora fuori pericolo”.
E la sua famiglia?
“Moglie e figlia di 7 anni per fortuna sono negative. La mia signora è in attesa di Gabriele che nascerà fra un mese. Ed io sono rinato a Trieste”.
Ha pensato di non farcela?
“Ero stanco di stare male con la febbre sempre a 39,6. Speravo di addormentarmi in terapia intensiva e di risvegliarmi guarito. Non è andata proprio in questo modo, ma è finita così: una vittoria per tutti”.
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12 maggio 2020 | Tg5 | reportage
L'infermiera sopravvissuta al virus
L’infermiera ha contratto il virus da un paziente anziano nell’ospedale Maggiore di Trieste
A casa non riusciva più a respirare ed è stata trasportata d’urgenza in ospedale
Il figlio, soldato della Nato, era rimasto bloccato sul fronte baltico dall’emergenza virus con l’appartamento pieno di medicine l’incubo del contagio non l’abbandonerà mai
Due mesi dopo il contagio Svetlana è negativa al virus ma ancora debole e chiusa in casa
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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento |
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo
I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti.
“Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale.
I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria.
Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa.
In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo.
“In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani.
Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.
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