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21 ottobre 2020 - Interni - Italia - Panorama
Ieri partigiani oggi partito
Fausto Biloslavo
Un puzzle delle facce sorridenti di giovani che tengono in mano il fazzoletto rosso con scritto “partigiani sempre”, un ragazzo africano, che va sempre di moda e in prima fila la “comandante” Sirin, 23 anni, nata in Italia da famiglia tunisina, vicina alle Sardine e neo presidente della sezione Anpi di Castel Bolognese. Non spunta neanche per sbaglio la foto, magari ingiallita dal tempo, di un combattente della guerra di Liberazione. Il manifesto per il tesseramento 2020 dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia sembra più adatto ad un gruppo di boy scout politicamente corretto, che ai protagonisti ed eredi della Resistenza.
Per motivi anagrafici di reduci ne sono rimasti pochi: circa 4mila e 2800 iscritti all’Anpi, sui 120-130mila membri dell’associazione più forte, discussa e politicizzata. Dal 2006 i partigiani hanno deciso di aprire ai giovani anche se lo scopo statutario è di “riunire in associazione tutti coloro che hanno partecipato con azione personale diretta, alla guerra partigiana contro il nazifascismo”. E per questo continuano a ricevere discreti fondi dal ministero della Difesa: dal 2013 allo scorso anno stiamo parlando di 703.105 €.
“Che ci sia un’associazione di giovani, che conservino e curino la memoria della Resistenza è bello, ma l’Anpi fa politica. Si schiera nelle elezioni locali e non solo. Si arroga il diritto di dare patenti di democracità e costituzionalità. Suona strano che lo stato attraverso un ministero finanzi chi fa politica” spiega a Panorama l’ex sottosegretario alla Difesa, Giuseppe Cossiga, figlio del “picconatore” salito al Colle.
L’Anpi, fra le associazioni combattentistiche e d’arma, è la più schierata con interventi a gamba tesa nella politica nazionale. L’ultimo è stato il secco no al referendum sui tagli dei parlamentari, ma non sono mancati attacchi diretti ai leader del centro destra da Berlusconi a Salvini e Meloni. La guida dell’associazione, Carla Nespolo, è scomparsa il 4 ottobre. La presidente dell’Anpi, ex parlamentare Pci, era la prima donna eletta al vertice nel 2017 e soprattutto non reduce partigiana essendo nata nel 1943. Lo scorso dicembre, in piazza San Giovanni, a Roma, si era schierata con il gruppo giovanile del momento: “Care sardine, i partigiani e le partigiane sono con voi”. A livello internazionale chiedeva “verità e giustizia per Giulio Regeni, via l’ambasciatore italiano dall’Egitto”. E difendeva a spada tratta l’ostaggio convertito all’Islam, Silvia Romano, “da attacchi razzisti, ma soprattutto sessisti”. Il bersaglio principale dell’Anpi è Matteo Salvini. “L\'Italia entra nell\'incubo dell\'apartheid giuridico” aveva attaccato la presidente commentando il primo decreto sicurezza dell’allora ministro dell’Interno. Sul secondo aveva invitato alla lotta: “Quando si tradisce la Costituzione, è il momento della resistenza”.
Anche con il governo Conte 2, l’Anpi si è sempre schierata a fianco delle Ong talebane dell’accoglienza. Nespolo continuava a chiedere che “si riaprano i porti, restiamo umani”.
Anche in politica internazionale i partigiani non hanno dubbi: \"Cuba è un Paese pacifico e generoso, stop all’embargo!\" americano. Ogni 25 aprile i cortei dei nuovi partigiani sono evidentemente sbilanciati a favore dei palestinesi e del riconoscimento del loro stato rispetto a Israele.
Il 25 settembre si sono incontrati a Trieste i partigiani italiani ed i rappresentanti dell’omologa organizzazione slovena (Zznob). Sul tema sensibile delle foibe “ogni occasione è buona per mistificare” ha spiegato il coordinatore regionale Dino Spaghero. Il presidente dei partigiani sloveni, Marijan Križman, ha individuato il pericolo:  “Bush, col suprematismo bianco, Bolsonaro, Johnson, Orban, Andrzej Duda in Polonia, ciascuno seguendo una propria “via nazionale”, hanno sdoganato ideologie e politiche parzialmente o totalmente illiberali e stanno percorrendo la strada di un nuovo nazionalismo chiamato sovranismo, presente anche e fortemente in Italia”.  
Panorama voleva interpellare l’Anpi, ma “il nostro gruppo dirigente nazionale, essendo intensamente impegnato nella gestione di questa delicatissima fase della vita associativa, è impossibilitato a rispondere”. La successione alla compianta Nespolo indicherà se l’associazione vuole impegnarsi ancora più in politica lasciando spazio alle giovani leve.
La maggioranza degli aderenti, fra i 35 e 65 anni, è nata dopo la seconda guerra mondiale e gli altri sono ventenni che si iscrivono perché “ora e sempre Resistenza”. Il 24 settembre è stata eletta presidente dell’Anpi di Castel Bolognese, Sarin Ghribi. “Mi sono interessata molto di più all’Anpi quando ho iniziato a seguire le Sardine. Lì ho capito che dovevo fare qualcosa” ha dichiarato nel suo discorso d’insediamento. “Vi chiederete come una ragazza di 23 anni (…) può capire della sofferenza e di ciò che hanno passato i partigiani  - ha sottolineato la “comandante” Sirin - Beh posso solo dire che il fascismo non se n’è mai andato. Questo lo dico anche perché parlo da straniera nata in Italia da genitori tunisini. Ogni giorno dobbiamo convivere anche se non vogliamo con ideologie e atteggiamenti fascisti, quindi posso dire che possiamo considerarci, anche noi, partigiani”.
Il “rinnovamento” anagrafico può contare sul fiore all’occhiello di Valentina Tagliabue, 22 anni, la presidente di sezione più giovane d’Italia a Cesano Maderno. Su Facebook ha individuato i “nuovi” partigiani: “Resistenti sono le maestre che scelgono di dividere il proprio pasto con gli alunni insolventi per non lasciarli a stomaco vuoto. E resistente è una persona come Ilaria Cucchi, che ha lottato anni contro tutti per far emergere la verità su quanto accaduto a suo fratello”.
Lo storico Giuseppe Parlato osserva con Panorama che se “vogliono scegliere la strada politica possono farlo, ma se vogliono onorare il loro passato la cosa migliore è fare della storia dal punto di vista scientifico. Scoprire, senza finalità politiche, anche le pagine abbandonate della Resistenza senza santificare o demonizzare nessuno”.
L’Anpi è l’associazione che riceve più soldi dal ministero della Difesa dopo quella dei combattenti e reduci della prima e seconda guerra mondiale. Nel 2019 sono stati stanziati 95mila € rispetto ai 56.756 € versati all’Associazione nazionale alpini con il triplo di iscritti rispetto all’Anpi. Altri gruppi come l\'Associazione nazionale perseguitati politici antifascisti ottiene 230mila € l’anno dal ministero dell’Interno. La Difesa finanzia 10 associazioni dei partigiani, di varie tendenze, compresi i garibaldini che combatterono sotto il comando di Tito, per un totale di 601.800 € nel 2019. L’Anpi conta anche su altri contributi pubblici, soprattutto locali e sul 5x1000, che dal 2014 al 2018 ha fruttato 1 milione e 200mila euro.
Gli eredi dei partigiani, però, ingaggiano spesso discutibili battaglie di retroguardia, a cominciare dal dramma delle foibe. \"L\'intitolazione dei giardini di piazza Italia a Norma Cossetto (giovane istriana trucidata dai partigiani di Tito nel 1943 nda) rappresenta l\'ennesimo atto di \"bullismo politico\" dell\'amministrazione comunale - hanno denunciato i partigiani di Pescara - che si inserisce nella strada già tracciata da altre discutibili \"iniziative culturali\" tese a riabilitare un passato di cui c\'è poco da gloriarsi”. Secondo Emanuele Merlino, presidente del Comitato 10 febbraio, che quest’anno ha ricordato la martire istriana, medaglia d’oro al valore civile, in 130 città in Italia e all’estero “l’Anpi ha lanciato una sorta di “offensiva autunnale”, prendendo di mira le amministrazioni che intitolano un luogo pubblico a Norma Cossetto e ai martiri delle foibe. Sono fuori dalla storia”.
A Nemi, alle porte di Roma, i partigiani della sezione Gismondi si sono scagliati contro “un monumento non dedicato alla pace, ma alla guerra”. Una stele inaugurata il 18 ottobre e voluta dal nucleo locale dell’Associazione nazionale paracadustisti per ricordare i parà caduti in guerra e in tempo di pace nelle missioni internazionali degli ultimi anni.
[continua]

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26 settembre 2012 | Uno Mattina | reportage
I lati oscuri (e assurdi) delle adozioni
Con mia moglie, prima di affrontare l’odissea dell’adozione, ci chiedevamo come mai gran parte delle coppie che sentono questa spinta d’amore andavano a cercare bambini all’estero e non in Italia. Dopo quattro anni di esperienza sulla nostra pelle siamo arrivati ad una prima, parziale e triste risposta. La burocratica e farraginosa gestione delle adozioni nazionali, grazie a leggi e cavilli da azzeccagarbugli, non aiutano le coppie che vogliono accogliere un bimbo abbandonato in casa propria, ma le ostacolano.

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10 giugno 2008 | TG3 regionale | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /1
Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, non dimentica i vecchi amici scomparsi. Il 10 giugno ha visitato a Bolzano la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” dedicata ad Almerigo Grilz. La mostra è stata organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti. Gli ho illustrato le immagini forti raccolte in 25 anni di reportage assieme ad Almerigo e Gian Micalessin. La Russa ha ricordato quando "sono andato a prendere Fausto e Almerigo al ritorno da uno dei primi reportage con la mia vecchia 500 in stazione a Milano. Poco dopo li hanno ricoverati tutti e due per qualche malattia". Era il 1983, il primo reportage in Afghanistan e avevamo beccato l'epatite mangiando la misera sbobba dei mujaheddin, che combattevano contro le truppe sovietiche.

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06 giugno 2017 | Sky TG 24 | reportage
Terrorismo da Bologna a Londra
Fausto Biloslavo "Vado a fare il terrorista” è l’incredibile affermazione di Youssef Zaghba, il terzo killer jihadista del ponte di Londra, quando era stato fermato il 15 marzo dello scorso anno all’aeroporto Marconi di Bologna. Il ragazzo nato nel 1995 a Fez, in Marocco, ma con il passaporto italiano grazie alla madre Khadija (Valeria) Collina, aveva in tasca un biglietto di sola andata per Istanbul e uno zainetto come bagaglio. Il futuro terrorista voleva raggiungere la Siria per arruolarsi nello Stato islamico. Gli agenti di polizia in servizio allo scalo Marconi lo hanno fermato proprio perché destava sospetti. Nonostante sul cellulare avesse materiale islamico di stampo integralista è stato lasciato andare ed il tribunale del riesame gli ha restituito il telefonino ed il computer sequestrato in casa, prima di un esame approfondito dei contenuti. Le autorità inglesi hanno rivelato ieri il nome del terzo uomo sostenendo che non “era di interesse” né da parte di Scotland Yard, né per l’MI5, il servizio segreto interno. Il procuratore di Bologna, Giuseppe Amato, ha dichiarato a Radio 24, che "venne segnalato a Londra come possibile sospetto”. E sarebbero state informate anche le autorità marocchine, ma una fonte del Giornale, che ha accesso alle banche dati rivela “che non era inserito nella lista dei sospetti foreign fighter, unica per tutta Europa”. Non solo: Il Giornale è a conoscenza che Zaghba, ancora minorenne, era stato fermato nel 2013 da solo, a Bologna per un controllo delle forze dell’ordine senza esiti particolari. Il procuratore capo ha confermato che l’italo marocchino "in un anno e mezzo, è venuto 10 giorni in Italia ed è stato sempre seguito dalla Digos di Bologna. Abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare, ma non c'erano gli elementi di prova che lui fosse un terrorista. Era un soggetto sospettato per alcune modalità di comportamento". Presentarsi come aspirante terrorista all’imbarco a Bologna per Istanbul non è poco, soprattutto se, come aveva rivelato la madre alla Digos “mi aveva detto che voleva andare a Roma”. Il 15 marzo dello scorso anno il procuratore aggiunto di Bologna, Valter Giovannini, che allora dirigeva il pool anti terrorismo si è occupato del caso disponendo un fermo per identificazione al fine di accertare l’identità del giovane. La Digos ha contattato la madre, che è venuta a prenderlo allo scalo ammettendo: "Non lo riconosco più, mi spaventa. Traffica tutto il giorno davanti al computer per vedere cose strane” ovvero filmati jihadisti. La procura ha ordinato la perquisizione in casa e sequestrato oltre al cellulare, alcune sim ed il pc. La madre si era convertita all’Islam quando ha sposato Mohammed il padre marocchino del terrorista che risiede a Casablanca. Prima del divorzio hanno vissuto a lungo in Marocco. Poi la donna è tornata casa nella frazione di Fagnano di Castello di Serravalle, in provincia di Bologna. Il figlio jihadista aveva trovato lavoro a Londra, ma nella capitale inglese era entrato in contatto con la cellula di radicali islamici, che faceva riferimento all’imam, oggi in carcere, Anjem Choudary. Il timore è che il giovane italo-marocchino possa essere stato convinto a partire per la Siria da Sajeel Shahid, luogotenente di Choudary, nella lista nera dell’ Fbi e sospettato di aver addestrato in Pakistan i terroristi dell’attacco alla metro di Londra del 2005. "Prima di conoscere quelle persone non si era mai comportato in maniera così strana” aveva detto la madre alla Digos. Il paradosso è che nessuna legge permetteva di trattenere a Bologna il sospetto foreign fighter ed il tribunale del riesame ha accolto l’istanza del suo avvocato di restituirgli il materiale elettronico sequestrato. “Nove su dieci, in questi casi, la richiesta non viene respinte” spiega una fonte del Giornale, che conosce bene la vicenda. Non esiste copia del materiale trovato, che secondo alcune fonti erano veri e propri proclami delle bandiere nere. E non è stato possibile fare un esame più approfondito per individuare i contatti del giovane. Il risultato è che l’italo-marocchino ha potuto partecipare alla mattanza del ponte di Londra. Parenti e vicini cadono dalle nuvole. La zia acquisita della madre, Franca Lambertini, non ha dubbi: “Era un bravo ragazzo, l'ultima volta che l'ho visto mi ha detto “ciao zia”. Non avrei mai pensato a una cosa del genere".

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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