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29 ottobre 2020 - Il Fatto - Italia - Il Giornale
L’Italia maglia nera nella richiesta di dosi: ne abbiamo ordinate appena 70 milioni
L\'antidoto anti Covid, se va bene, arriverà all\'inizio del prossimo anno, ma la produzione seria inizierà in aprile e per una vaccinazione di massa si arriverà all\'estate con la speranza di tornare ad una vita più o meno normale alla fine del prossimo anno. L\'Italia ha ordinato 70 milioni di dosi, poche, rispetto ad altri Paesi europei come il Regno Unito, che ha richiesto 340 milioni, oltre cinque volte la popolazione inglese. Per non parlare degli Stati Uniti, ben più grandi di noi, che si sono già assicurati 800 milioni di dosi e hanno un\'opzione per un altro miliardo.
Le tempistiche e il numero di dosi non saranno gli unici problemi. Kate Bingham, a capo della task force di Londra nella lotta al virus, in un articolo sulla rivista medica internazionale The Lancet ha messo le mani avanti. La prima generazione di vaccini anti-Covid-19 è probabile che sia «imperfetta» e «potrebbe non funzionare per tutti». In Europa, compresa l\'Italia, sono in dirittura d\'arrivo tre candidati alla terza fase di sperimentazione sugli esseri umani. L\'Azd1222 ideato dallo Jenner Institute dell\'università di Oxford e poi lanciato dalla multinazionale britannico svedese AstraZeneca in collaborazione con la società Ibrm di Pomezia. Il candidato vaccino della società americana di biotecnologie Moderna. E l\'antidoto messo a punto dalla BioNTech tedesca in collaborazione con la compagnia farmaceutica Pfizer di New York.
Gli italiani di Pomezia puntano a consegnare le prime 15 milioni di dosi all\'Europa entro l\'anno, comprese 3 milioni per l\'Italia. In realtà l\'Agenzia europea del farmaco deve ancora ricevere e analizzare tutti i dati, si spera a fine novembre. E le prime dosi, che potrebbero slittare a gennaio, febbraio verrebbero poi utilizzate per il personale sanitario, militari e anziani nelle case di riposo. Ieri la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato la produzione «da 20 a 50 milioni di dosi al mese» cominciando da aprile. La Ue punta a un primo blocco di 700 milioni di dosi, che verranno distribuite ai paesi membri in percentuale mensile a seconda delle ordinazioni. Si calcola che in giugno l\'Italia potrebbe avere tutte le 70 milioni di dosi.
La stessa Commissione europea, però, ha rivelato che «non c\'è alcuna garanzia che un vaccino candidato abbia successo».
Maurizio Ruscio, direttore del Dipartimento di medicina dei servizi dell\'Azienda sanitaria di Trieste spiega al Giornale che «usciranno più vaccini che avranno diversi livelli di immunità». Non a caso sono 11 i candidati in fase di test clinici, che dovrebbero rendere nota l\'efficacia entro la fine dell\'anno. «Il secondo punto è quanto durerà l\'immunità - osserva Ruscio - Ovvero se ci sarà bisogno di richiami ogni tot mesi o anni».
E poi c\'è il grande tema della sicurezza del vaccino. «Sarà messo a disposizione della popolazione dopo aver superato le rigide regole previste per legge, ma come ogni automobile nuova saltano fuori i difetti quando la gente la guida - spiega l\'esperto in prima linea nella lotta al Covid - Una vera sicurezza si avrà solo quando milioni di persone saranno vaccinate da tempo e quindi anni».
La validazione europea è molto rigorosa. Per questo motivo la Russia e la Cina, che hanno vaccini teoricamente già pronti, stringono accordi per distribuirli in Messico, India e nel continente africano dove i requisiti sono meno rigidi. Il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato il 4 ottobre il secondo vaccino Sputnik, ma neanche il primo, di agosto, è stato convalidato dall\'Organizzazione mondiale della sanità. I due vaccini cinesi sono nati sotto il controllo dei militari con il maggiore generale Chen Wei, una donna scienziato, che si è iniettata per prima, assieme al suo staff, l\'antidoto anti Covid.

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29 dicembre 2010 | | reportage
Gli occhi della guerra a Trieste
Dopo aver portato la mostra su 25 anni di reportage di guerra in tutta Italia, finalmente il 29 dicembre è stata inaugurata a Trieste, presso la sala espositiva della Parrocchia di Santa Maria Maggiore, via del Collegio 6. Gli occhi della guerra sono dedicati ad Almerigo Grilz e a tutti i giornalisti caduti sul fronte dell'informazione. La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 10 al 20 gennaio. L'evento è stato organizzato dal Circolo universitario Hobbit con la sponsorizzazione della Regione.

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29 dicembre 2011 | SkyTG24 | reportage
Almerigo ricordato 25 anni dopo
Con un bel gesto, che sana tante pelose dimenticanze, il presidente del nostro Ordine,Enzo Iacopino, ricorda davanti al premier Mario Monti, Almerigo Grilz primo giornalista italiano caduto su un campo di battaglia dopo la fine della seconda guerra mondiale, il 19 maggio 1987 in Mozambico.

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11 novembre 2008 | Centenario della Federazione della stampa | reportage
A Trieste una targa per Almerigo Grilz
e tutti i caduti sul fronte dell'informazione

Ci sono voluti 21 anni, epiche battaglie a colpi di articoli, proteste, un libro fotografico ed una mostra, ma alla fine anche la "casta" dei giornalisti triestini ricorda Almerigo Grilz. L'11 novembre, nella sala del Consiglio comunale del capoluogo giuliano, ha preso la parola il presidente dell'Ordine dei giornalisti del Friuli-Venezia Giulia, Pietro Villotta. Con un appassionato discorso ha spiegato la scelta di affiggere all'ingresso del palazzo della stampa a Trieste una grande targa in cristallo con i nomi di tutti i giornalisti italiani caduti in guerra, per mano della mafia o del terrorismo dal 1945 a oggi. In rigoroso ordine alfabetico c'era anche quello di Almerigo Grilz, che per anni è stato volutamente dimenticato dai giornalisti triestini, che ricordavano solo i colleghi del capoluogo giuliano uccisi a Mostar e a Mogadiscio. La targa è stata scoperta in occasione della celebrazione del centenario della Federazione nazionale della stampa italiana. Il sindacato unico ha aderito all'iniziativa senza dimostrare grande entusiasmo e non menzionando mai, negli interventi ufficiali, il nome di Grilz, ma va bene lo stesso. Vale la pena dire: "Meglio tardi che mai". E da adesso speriamo veramente di aver voltato pagina sul "buco nero" che ha avvolto per anni Almerigo Grilz, l'inviato ignoto.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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