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Articolo
01 novembre 2020 - Controstorie - Italia - Il Giornale
Dall’Ontario a casa le piastrine militari dei caduti molisani
di Fausto Biloslavo
U n giovane soldato canadese morto in battaglia ad Ortona, due piastrini italiani e il nipote del caduto, che oltre 75 anni dopo scopre le targhette di riconoscimento e vuole restituirle ai familiari dei nostri militari.
Una storia incredibile di guerra e valori, che sta riportando a casa da oltreoceano non solo dei pezzi di latta, ma i piastrini di riconoscimento di un nostro tenente sopravvissuto al secondo conflitto mondiale e di un disperso per sempre.
«Il nonno, prigioniero dei tedeschi dopo l\\\'8 settembre, ha fatto la fame. Quando mi hanno detto che avevano ritrovato il suo piastrino l\\\'emozione è stata grande. Ho vissuto da piccola con lui e mi ha trasmesso tanti valori come l\\\'altruismo», racconta al Giornale, Mariantonietta Camino, la nipote del sopravvissuto, che è scomparso a fine anni ottanta.
Angelo Camino nato nel 1911 fu inviato sul fronte greco con i gradi di tenente del 2° Reggimento bersaglieri, dove i tedeschi l\\\'hanno fatto prigioniero in seguito all\\\'armistizio del 1943.
Il suo piastrino è riemerso in Canada. Assieme a un\\\'altra targhetta di riconoscimento di Antonio Zullo chiamato alle armi nel 1942 e disperso dopo l\\\'affondamento di un piroscafo che trasportava truppe in Tunisia. Tutti e due i militari sono originari del Molise.
Non si sa come, ma i due piastrini erano custoditi fra gli effetti personali di Lawrence John Scott, giovane volontario che scappò di casa per arruolarsi nel Royal Canadian Regiment. La sua unità era sbarcata in Sicilia per poi avanzare verso nord. A soli 19 anni Scott cadde in combattimento il 18 dicembre 1943 ad Ortona durante una feroce battaglia casa per casa. La salma riposa con i suoi compagni d\\\'armi nel cimitero di guerra canadese in provincia di Chieti.
Gli effetti personali del caduto furono spediti a casa in Ontario e custoditi dai familiari. Dopo 77 anni, il nipote, Peter Churcher scopre che fra i ricordi dello zio ci sono due piastrini italiani e decide di restituirli alle famiglie.
L\\\'appello sui social viene raccolto da Maurizio De Angelis del «Gruppo di ricerche storiche», che assieme all\\\'associazione «Un ricordo per la pace» è impegnato da anni nella ricerca dei dispersi nei combattimenti dopo lo sbarco alleato di Anzio.
«Con il metal detector troviamo i piastrini di riconoscimento - spiega De Angelis al Giornale - Assieme ad altri volontari in diverse zone di combattimento in Italia durante la seconda guerra mondiale ne abbiamo riconsegnati centoventi a famiglie americane, inglesi e in gran parte italiane».
Il Gruppo, che non chiede un soldo e paga le spese di tasca propria, ha scoperto anche il piastrino di un disperso in Russia presso un poligono vicino a Roma perso probabilmente prima della partenza. Poi donato al sacrario di Cargnacco in Friuli-Venezia Giulia.
E sono state ritrovate pure targhette di riconoscimento tedesche consegnate all\\\'ente germanico che si occupa dei caduti.
Questa volta il percorso è inverso ed il tam tam fra i volontari arriva fino a Marco Bruno dell\\\'associazione Combat Road di Isernia. Alla fine viene rintracciata la nipote di Camino internato nello Stalag V A in Germania. «Maltrattamenti, freddo ed i morsi della fame. E mangiavano le bucce di patate mi raccontava il nonno, che è stato liberato dagli americani», spiega Mariantonietta al Giornale. I piastrini sono già stati spediti dal Canada e quello del tenente Camino arriverà a giorni a Filignano dove vive la nipote.
Elisa Bonacini, dell\\\'associazione «Un ricordo per la pace», ha chiesto il conferimento della medaglia alla memoria per l\\\'ufficiale dei bersaglieri internato, che aveva già ottenuto per il papà di Vasco Rossi.
E spiega al Giornale: «Ho a cuore il progetto di un museo per la pace ad Aprilia dove sono avvenuti i combattimenti più aspri dopo lo sbarco di Anzio. Scriverò al Santo padre perché ci aiuti a mantenere viva la memoria».
[continua]

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05 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Virus, il fronte che resiste in Friuli-Venezia Giulia
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Anche noi abbiamo paura. E’ un momento difficile per tutti, ma dobbiamo fare il nostro dovere con la maggiore dedizione possibile” spiega Demis Pizzolitto, veterano delle ambulanze del 118 nel capoluogo giuliano lanciate nella “guerra” contro il virus maledetto. La battaglia quotidiana inizia con la vestizione: tuta bianca, doppi guanti, visiera e mascherina per difendersi dal contagio. Il veterano è in coppia con Fabio Tripodi, una “recluta” arrivata da poco, ma subito spedita al fronte. Le due tute bianche si lanciano nella mischia armati di barella per i pazienti Covid. “Mi è rimasta impressa una signora anziana, positiva al virus, che abbiamo trasportato di notte - racconta l’infermiere Pizzolitto - In ambulanza mi ha raccontato del marito invalido rimasto a casa. E soffriva all’idea di averlo lasciato solo con la paura che nessuno si sarebbe occupato di lui”. Bardati come due marziani spariscono nell’ospedale Maggiore di Trieste, dove sono ricoverati un centinaio di positivi, per trasferire un infetto che ha bisogno di maggiori cure. Quando tornano caricano dietro la barella e si chiudono dentro l’ambulanza con il paziente semi incosciente. Si vede solo il volto scavato che spunta dalle lenzuola bianche. Poi via a sirene spiegate verso l’ospedale di Cattinara, dove la terapia intensiva è l’ultima trincea per fermare il virus. Il Friuli-Venezia Giulia è il fronte del Nord Est che resiste al virus grazie a restrizioni draconiane, anche se negli ultimi giorni la gente comincia ad uscire troppo di casa. Un decimo della popolazione rispetto alla Lombardia ha aiutato a evitare l’inferno di Bergamo e Brescia. Il 4 aprile i contagiati erano 1986, i decessi 145, le guarigioni 220 e 1103 persone si trovano in isolamento a casa. Anche in Friuli-Venezia Giulia, come in gran parte d’Italia, le protezioni individuali per chi combatte il virus non bastano mai. “Siamo messi molto male. Le stiamo centellinando. Più che con le mascherine abbiamo avuto grandi difficoltà con visiere, occhiali e tute” ammette Antonio Poggiana, direttore generale dell’Azienda sanitaria di Trieste e Gorizia. Negli ultimi giorni sono arrivate nuove forniture, ma l’emergenza riguarda anche le residenze per anziani, flagellate dal virus. “Sono “bombe” virali innescate - spiega Alberto Peratoner responsabile del 118 - Muoiono molti più anziani di quelli certificati, anche 4-5 al giorno, ma non vengono fatti i tamponi”. Nell’ospedale di Cattinara “la terapia intensiva è la prima linea di risposta contro il virus, il nemico invisibile che stiamo combattendo ogni giorno” spiega Umberto Lucangelo, direttore del dipartimento di emergenza. Borse sotto gli occhi vive in ospedale e da separato in casa con la moglie per evitare qualsiasi rischio. Nella trincea sanitaria l’emergenza si tocca con mano. Barbara si prepara con la tuta anti contagio che la copre dalla testa ai piedi. Un’altra infermiera chiude tutti i possibili spiragli delle cerniere con larghe strisce di cerotto, come nei film. Simile ad un “palombaro” le scrivono sulla schiena il nome e l’orario di ingresso con un pennarello nero. Poi Barbara procede in un’anticamera con una porta a vetri. E quando è completamente isolata allarga le braccia e si apre l’ingresso del campo di battaglia. Ventuno pazienti intubati lottano contro la morte grazie agli angeli in tuta bianca che non li mollano un secondo, giorno e notte. L’anziano con la chioma argento sembra solo addormentato se non fosse per l’infinità di cannule infilate nel corpo, sensori e macchinari che pulsano attorno. Una signora è coperta da un telo blu e come tutti i pazienti critici ripresa dalle telecamere a circuito chiuso. Mara, occhioni neri, visiera e mascherina spunta da dietro la vetrata protettiva con uno sguardo di speranza. All’interfono racconta l’emozione “del primo ragazzo che sono riuscito a svegliare. Quando mi ha visto ha alzato entrambi i pollici in segno di ok”. E se qualcuno non ce la fa Mara spiega “che siamo preparati ad accompagnare le persone verso la morte nella maniera più dignitosa. Io le tengo per mano per non lasciarle sole fino all’ultimo momento”. Erica Venier, la capo turno, vuole ringraziare “con tutto il cuore” i triestini che ogni giorno fanno arrivare dolci, frutta, generi di conforto ai combattenti della terapia intensiva. Graziano Di Gregorio, infermiere del turno mattutino, è un veterano: “Dopo 22 anni di esperienza non avrei mai pensato di trovarmi in una trincea del genere”. Il fiore all’occhiello della rianimazione di Cattinara è di non aver perso un solo paziente, ma Di Gregorio racconta: “Infermieri di altre terapie intensive hanno dovuto dare l’estrema unzione perchè i pazienti sono soli e non si può fare diversamente”. L’azienda sanitaria sta acquistando una trentina di tablet per cercare di mantenere un contatto con i familiari e permettere l’estremo saluto. Prima di venire intubati, l’ultima spiaggia, i contagiati che hanno difficoltà a respirare sono aiutati con maschere o caschi in un altro reparto. Il direttore, Marco Confalonieri, racconta: “Mio nonno era un ragazzo del ’99, che ha combattuto sul Piave durante il primo conflitto mondiale. Ho lanciato nella mischia 13 giovani appena assunti. Sono i ragazzi del ’99 di questa guerra”.

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16 febbraio 2007 | Otto e Mezzo | reportage
Foibe, conflitto sulla storia
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04 luglio 2012 | Telefriuli | reportage
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Giornalismo di guerra e altro.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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