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Articolo
13 gennaio 2021 - Copertina - Italia - Panorama |
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| Vaccini indietro tutta |
Per arrivare all’immunità di gregge entro il 2021 con almeno il 70 per cento della popolazione vaccinata bisognerebbe somministrare ogni giorno, compresi i festivi, e tutto l’anno, almeno 151.098 dosi (altre stime parlano di 225 mila). Dal V-day del 27 dicembre alla mattina del 7 gennaio sono state iniettati 321.077 vaccini anti Covid. Se calcoliamo solo la prima settimana del nuovo anno la media giornaliera è di poco più di 45mila dosi. L’annuncio del super commissario Domenico Arcuri di 21,5 milioni di italiani vaccinati entro fine maggio (143mila al giorno) sembra una chimera. Per non parlare della lotteria dei vaccini non ancora approvati e delle consegne a singhiozzo o in ritardo dei primi due (Pfizer e Moderna). La «più grande campagna vaccinale della storia», come l’ha battezzata il governo, rischia di avanzare nella totale incertezza. «Appena partiti siamo già indietro. C’è un grosso punto di domanda su quando arriverà effettivamente il grosso delle dosi. E di fatto manca la road map, un piano preciso della vaccinazione di massa» spiega una fonte militare di Panorama coinvolta nell’operazione Eos per l’immunità di gregge. La spada di Damocle sono i ritardi nelle autorizzazioni e sperimentazioni di alcuni vaccini, che costituiscono l’ossatura delle forniture italiane con 134 milioni di dosi su un totale di 202. La Difesa, anche se non lo ammette ufficialmente, è preoccupata delle gestione della madre di tutte le battaglie contro il virus di Arcuri, che ha annunciato: «Se immunizzeremo meno di 65 mila persone al giorno sarà un fallimento».
PARTENZA INCERTA (ho tagliato il primo capoverso) Il piano italiano di vaccinazione è «un aereo fatto di cartone, che non riesce a decollare» denuncia Antonio De Palma, presidente del Sindacato nazionale infermieri Nursing Up. All’esordio le Regioni sono partite al rallentatore e in ordine sparso. Alla scadenza della prima settimana il Veneto era oltre l’86% di somministrazioni rispetto alle dosi consegnate, la Toscana quasi all’80%, la Lombardia al palo con il 21,5% e fanalino di coda la Sardegna con il 18,5%. (ho tagliato un capoverso) Pierpaolo Sileri, viceministro della Salute, ha dichiarato: «Griderò allo scandalo se il 6 gennaio le 469.950 dosi della prima settimana non saranno state usate tutte». Alla mattina del 7 gennaio le dosi utilizzate erano 321.077, ben 148.873 in meno. E stava arrivando il secondo lotto settimanale di 470 mila vaccini della Pfizer-BioNtech. In realtà sono state consegnate meno della metà. Nonostante le assicurazioni della società il timore è che Pfizer stia dirottando forniture su paesi extra europei che pagano di più. (ho tagliato un capoverso) La partenza al rallentatore dei primi giorni è migliorata un po’ portandoci al secondo posto in Europa per somministrazione. L’incertezza, però, rimane e si concentra sui ritardi nelle sperimentazioni e autorizzazioni dei vaccini ordinati dalla Commissione europea per l’Italia. Secondo il «piano strategico» del governo del 12 dicembre, AstraZeneca dovrebbe consegnare da gennaio, nei primi sei mesi, 40,38 milioni di dosi. Il vaccino, però, è ancora in fase di approvazione da parte dell’Ema, l’ente europeo del farmaco. Si spera nel via libera a fine mese. Piero Di Lorenzo, amministratore delegato della società Irbm di Pomezia, che partecipa al progetto, assicura a Panorama: «Per ora il ritardo nell’autorizzazione non inficia la produzione di tre miliardi di dosi annunciate da AstraZeneca per il 2021». E aggiunge: «Ho promesso al ministro della Sanità che siamo disponibili a produrre a Pomezia, nonostante il nostro sia un centro di ricerca, 10 milioni di dosi in più». Il problema è che anche gli altri pezzi forti nelle forniture sono in ritardo: Johnson & Johnson, che dovrebbe fornire 53,8 milioni di fiale, ha concluso i test clinici di fase tre solo il 2 gennaio e adesso seguirà l’iter dell’approvazione. La Sanofi ha già annunciato lo slittamento del vaccino (40,38 milioni per l’Italia) al 2022. E non si hanno notizie certe di quello Curevac (30,28 milioni di dosi), che doveva venire consegnato dal primo trimestre. Nella lotteria dei vaccini l’approvazione ottenuta da Moderna il 6 gennaio servirà a poco. Per il primo trimestre le forniture previste sono di 1.3 milioni di dosi rispetto ai 16,1 milioni di AstraZeneca, che il 7 gennaio non aveva ancora la luce verde. L’Ue ha prenotato oltre un miliardo di dosi da sei diverse case farmaceutiche, ma al via del piano vaccinale poteva contare solo su 300 milioni di fiale garantite dalla Pfizer. Ugur Sahin, a capo della consociata BioNTech, ha lanciato l’allarme: «Si è creato un gap perché non sono stati approvati altri prodotti e noi dobbiamo coprire il buco con i nostri». Bruxelles è corsa ai ripari con nuovi ordini, ma nonostante l’impegno formale dei 27 Paesi Ue a non acquistare vaccini in maniera autonoma, la Germania ha comprato 30 milioni di dosi dalla Pfizer al di fuori delle quote assegnate dalla Commissione europea. «La scienza ha prodotto un miracolo che nessuno poteva immaginare: un vaccino sicuro ed efficace in 11 mesi. Non si può neppure immaginare che questo sforzo venga vanificato da ritardi organizzativi. Aspettiamo ancora a giudicare, ma nessun ritardo può essere tollerato, ogni giorno che passa significa gente che muore» dice a Panorama il virologo Roberto Burioni.
UNA SPERANZA REMOTA Nella prima fase partita a gennaio devono essere immunizzati gli operatori sanitari, il personale e gli ospiti delle Rsa. Il commissario Arcuri ha spiegato che «a febbraio partiremo con chi ha più di 80 anni, oltre 4 milioni. Poi saranno vaccinati gli anziani dai 60 agli 80 (13.423.005, ndr), forze dell’ordine, insegnanti e personale scolastico». Entro fine marzo 5,9 milioni di italiani dovrebbero essere immunizzati salendo a 13,7 a fine aprile. Quando ci saranno 120 milioni di dosi «sarà avviata la campagna di massa» dice Arcuri «che speriamo di concludere in autunno». Speranza remota se andiamo avanti così. All’inizio di gennaio Israele aveva già vaccinato 1.244.000 persone e in percentuale alla popolazione siamo stati surclassati pure da Bahrein, Emirati arabi e Islanda. Per ora i punti di somministrazione sono 300 rispetto ai 1.500, uno ogni 40 mila abitanti, che serviranno a pieno regime, e Arcuri già scarica le responsabilità sulle Regioni. Il governatore della Liguria Giovanni Toti non ci sta e denuncia i «pasticci sulle siringhe. Ci hanno mandato quelle sbagliate e stiamo usando le nostre. Non si sa quanto personale hanno arruolato e il sistema informatico per il censimento dei vaccinati lo stanno studiando ora». Altre siringhe sbagliate sono state inviate in Lombardia e nelle Marche. (ho tagliato un capoverso) Per le fasi due e tre della vaccinazione di massa il vicepresidente del Friuli-Venezia Giulia con delega alla Salute, Riccardo Riccardi, sottolinea le incognite: «La domanda è quanti accetteranno di farlo e quante dosi saranno realmente a disposizione. E come verrà convocata la popolazione. Per non parlare del personale addetto alla somministrazione, che dovrebbe arrivare. Per ora usiamo il nostro distraendolo dagli ospedali, il vero fronte contro il virus». Un concorso per 15 mila medici, infermieri e specializzandi, da impiegare nella campagna vaccinale, è stato bandito due settimane prima del V-day. In 22 mila hanno risposto e Arcuri garantisce che i primi 1500 assunti con contratto precario saranno operativi il 20 gennaio.
NO ALLA PROTEZIONE CIVILE «Arcuri ha tagliato fuori la Protezione civile, che è fatta apposta per emergenze come la pandemia» conferma un militare impegnato nel piano Eos della Difesa in appoggio alla campagna di vaccinazione. Il super commissario è riuscito a relegare in un angolo Angelo Borrelli, capo della Protezione civile dal 2017, che all’inizio della pandemia sciorinava in televisione le cifre quotidiane delle vittime del virus. «Faceva ombra ad Arcuri ed è stato messo da parte, ma la Protezione civile dovrà essere coinvolta nella fase di vaccinazione di massa a cominciare dal livello logistico in collaborazione con l’esercito» sottolinea la fonte di Panorama. La Difesa ha scelto come hub nazionale, per la distribuzione di vaccini, la base aerea di Pratica di mare. «È un grande spot: gli aerei della Dhl con le dosi sono atterrati a Roma-Ciampino e distribuiti via terra dai furgoni della Pfizer che garantiscono la catena del freddo» fa notare la fonte militare. Il grosso delle forniture iniziali sta arrivando via terra dallo stabilimento Pfizer in Belgio. «Oltre al fatto che non ci occupiamo del mantenimento dei vaccini ultrafreddi - continua - facendoli passare tutti per Roma, si allunga la catena logistica». Non a caso il 27 dicembre, il V-day, è stata organizzata una dispendiosa sceneggiata mediatica. Il giorno prima era arrivato il primo furgone della Pfizer dal Brennero scortato fino alla capitale. Lo smistamento di poche scatole con le dosi (sei per volo con 7.200 fiale in totale) è stato organizzato con ben cinque aerei (due C-27J dell’Aeronautica, due Dornier Do. 228 dell’Esercito e un P-180 della Marina). Il C-27J può trasportare 11 tonnellate e mezza di materiale e costa 11 mila euro l’ora. Per gli altri velivoli più piccoli utilizzati, da parte della marina e dell’esercito, la spesa si aggira sui 5 mila euro all’ora. Se calcoliamo personale e manutenzione, il grande spot è costato mezzo milione di euro. Peccato che subito dopo abbiamo dovuto fare i conti con la realtà delle somministrazioni a rilento e delle mancate consegne dei vaccini ancora non autorizzati.
TRA NO-VAX E TERZA ONDATA Il dato più incerto della campagna vaccinale è quanti italiani accetteranno di iniettarsi la dose per l’immunità. Diversi sondaggi delle ultime settimane indicano che fra il 25 e il 35 per cento della popolazione non si fida ancora del vaccino. Swg rivela come il 34 per cento sia contrario a immunizzarsi, anche se il 21 per cento alla fine lo farebbe se fosse obbligatorio. In Friuli-Venezia Giulia, sulle 56 mila persone previste nella fase iniziale della vaccinazione, 15 mila non hanno aderito nell’arco della prima settimana. La concentrazione dei no-vax risulta maggiore fra i giovani e fra gli elettori del movimento grillino. «Negli spogliatoi scoppiano vere e proprie baruffe fra infermieri su chi si vaccina e chi lo considera insicuro e non vuole farlo» racconta un medico di un grande ospedale del Nord Est. Situazione preoccupante, che non sembra tener conto del pericolo di una terza ondata considerata ormai certa da virologi come Fabrizio Pregliasco dell’Università degli Studi di Milano. Se, o meglio quando arriverà, la nuova mazzata del virus rischia di essere un ulteriore ostacolo alla vaccinazione di massa. n © riproduzione riservata |
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11 novembre 2008 | Centenario della Federazione della stampa | reportage
A Trieste una targa per Almerigo Grilz e tutti i caduti sul fronte dell'informazione
Ci sono voluti 21 anni, epiche battaglie a colpi di articoli, proteste, un libro fotografico ed una mostra, ma alla fine anche la "casta" dei giornalisti triestini ricorda Almerigo Grilz. L'11 novembre, nella sala del Consiglio comunale del capoluogo giuliano, ha preso la parola il presidente dell'Ordine dei giornalisti del Friuli-Venezia Giulia, Pietro Villotta. Con un appassionato discorso ha spiegato la scelta di affiggere all'ingresso del palazzo della stampa a Trieste una grande targa in cristallo con i nomi di tutti i giornalisti italiani caduti in guerra, per mano della mafia o del terrorismo dal 1945 a oggi. In rigoroso ordine alfabetico c'era anche quello di Almerigo Grilz, che per anni è stato volutamente dimenticato dai giornalisti triestini, che ricordavano solo i colleghi del capoluogo giuliano uccisi a Mostar e a Mogadiscio. La targa è stata scoperta in occasione della celebrazione del centenario della Federazione nazionale della stampa italiana. Il sindacato unico ha aderito all'iniziativa senza dimostrare grande entusiasmo e non menzionando mai, negli interventi ufficiali, il nome di Grilz, ma va bene lo stesso. Vale la pena dire: "Meglio tardi che mai". E da adesso speriamo veramente di aver voltato pagina sul "buco nero" che ha avvolto per anni Almerigo Grilz, l'inviato ignoto.
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14 marzo 2015 | Tgr Friuli-Venezia Giulia | reportage
Buongiorno regione
THE WAR AS I SAW IT - L'evento organizzato dal Club Atlantico giovanile del Friuli-Venezia Giulia e da Sconfinare si svolgerà nell’arco dell’intera giornata del 10 marzo 2015 e si articolerà in due fasi distinte: MATTINA (3 ore circa) ore 9.30 Conferenza sul tema del giornalismo di guerra Il panel affronterà il tema del giornalismo di guerra, raccontato e analizzato da chi l’ha vissuto in prima persona. Per questo motivo sono stati invitati come relatori professionisti del settore con ampia esperienza in conflitti e situazioni di crisi, come Gianandrea Gaiani (Direttore responsabile di Analisi Difesa, collaboratore di diverse testate nazionali), Fausto Biloslavo (inviato per Il Giornale in numerosi conflitti, in particolare in Medio Oriente), Elisabetta Burba (firma di Panorama), Gabriella Simoni (inviata Mediaset in numerosi teatri di conflitto, specialmente in Medio Oriente), Giampaolo Cadalanu (giornalista affermato, si occupa di politica estera per La Repubblica). Le relazioni saranno moderate dal professor Georg Meyr, coordinatore del corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Università di Trieste. POMERIGGIO (3 ore circa) ore 14.30 Due workshop sul tema del giornalismo di guerra: 1. “Il reporter sul campo vs l’analista da casa: strumenti utili e accorgimenti pratici” - G. Gaiani, G. Cadalanu, E. Burba, F. Biloslavo 2. “Il freelance, l'inviato e l'addetto stampa in aree di crisi: tre figure a confronto” G. Simoni, G. Cuscunà, cap. B. Liotti
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06 giugno 2017 | Sky TG 24 | reportage
Terrorismo da Bologna a Londra
Fausto Biloslavo
"Vado a fare il terrorista” è l’incredibile affermazione di Youssef Zaghba, il terzo killer jihadista del ponte di Londra, quando era stato fermato il 15 marzo dello scorso anno all’aeroporto Marconi di Bologna. Il ragazzo nato nel 1995 a Fez, in Marocco, ma con il passaporto italiano grazie alla madre Khadija (Valeria) Collina, aveva in tasca un biglietto di sola andata per Istanbul e uno zainetto come bagaglio. Il futuro terrorista voleva raggiungere la Siria per arruolarsi nello Stato islamico. Gli agenti di polizia in servizio allo scalo Marconi lo hanno fermato proprio perché destava sospetti. Nonostante sul cellulare avesse materiale islamico di stampo integralista è stato lasciato andare ed il tribunale del riesame gli ha restituito il telefonino ed il computer sequestrato in casa, prima di un esame approfondito dei contenuti.
Le autorità inglesi hanno rivelato ieri il nome del terzo uomo sostenendo che non “era di interesse” né da parte di Scotland Yard, né per l’MI5, il servizio segreto interno. Il procuratore di Bologna, Giuseppe Amato, ha dichiarato a Radio 24, che "venne segnalato a Londra come possibile sospetto”. E sarebbero state informate anche le autorità marocchine, ma una fonte del Giornale, che ha accesso alle banche dati rivela “che non era inserito nella lista dei sospetti foreign fighter, unica per tutta Europa”.
Non solo: Il Giornale è a conoscenza che Zaghba, ancora minorenne, era stato fermato nel 2013 da solo, a Bologna per un controllo delle forze dell’ordine senza esiti particolari. Il procuratore capo ha confermato che l’italo marocchino "in un anno e mezzo, è venuto 10 giorni in Italia ed è stato sempre seguito dalla Digos di Bologna. Abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare, ma non c'erano gli elementi di prova che lui fosse un terrorista. Era un soggetto sospettato per alcune modalità di comportamento".
Presentarsi come aspirante terrorista all’imbarco a Bologna per Istanbul non è poco, soprattutto se, come aveva rivelato la madre alla Digos “mi aveva detto che voleva andare a Roma”. Il 15 marzo dello scorso anno il procuratore aggiunto di Bologna, Valter Giovannini, che allora dirigeva il pool anti terrorismo si è occupato del caso disponendo un fermo per identificazione al fine di accertare l’identità del giovane. La Digos ha contattato la madre, che è venuta a prenderlo allo scalo ammettendo: "Non lo riconosco più, mi spaventa. Traffica tutto il giorno davanti al computer per vedere cose strane” ovvero filmati jihadisti. La procura ha ordinato la perquisizione in casa e sequestrato oltre al cellulare, alcune sim ed il pc.
La madre si era convertita all’Islam quando ha sposato Mohammed il padre marocchino del terrorista che risiede a Casablanca. Prima del divorzio hanno vissuto a lungo in Marocco. Poi la donna è tornata casa nella frazione di Fagnano di Castello di Serravalle, in provincia di Bologna. Il figlio jihadista aveva trovato lavoro a Londra, ma nella capitale inglese era entrato in contatto con la cellula di radicali islamici, che faceva riferimento all’imam, oggi in carcere, Anjem Choudary. Il timore è che il giovane italo-marocchino possa essere stato convinto a partire per la Siria da Sajeel Shahid, luogotenente di Choudary, nella lista nera dell’ Fbi e sospettato di aver addestrato in Pakistan i terroristi dell’attacco alla metro di Londra del 2005. "Prima di conoscere quelle persone non si era mai comportato in maniera così strana” aveva detto la madre alla Digos.
Il paradosso è che nessuna legge permetteva di trattenere a Bologna il sospetto foreign fighter ed il tribunale del riesame ha accolto l’istanza del suo avvocato di restituirgli il materiale elettronico sequestrato. “Nove su dieci, in questi casi, la richiesta non viene respinte” spiega una fonte del Giornale, che conosce bene la vicenda. Non esiste copia del materiale trovato, che secondo alcune fonti erano veri e propri proclami delle bandiere nere. E non è stato possibile fare un esame più approfondito per individuare i contatti del giovane. Il risultato è che l’italo-marocchino ha potuto partecipare alla mattanza del ponte di Londra.
Parenti e vicini cadono dalle nuvole. La zia acquisita della madre, Franca Lambertini, non ha dubbi: “Era un bravo ragazzo, l'ultima volta che l'ho visto mi ha detto “ciao zia”. Non avrei mai pensato a una cosa del genere".
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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento |
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.
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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento |
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo
I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti.
“Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale.
I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria.
Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa.
In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo.
“In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani.
Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.
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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento |
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra
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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento |
Italia
Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale
Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio
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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento |
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.
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