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Articolo
22 gennaio 2021 - Prima - Italia - Il Giornale |
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| Giudice condanna il Viminale “Illegittimi i respingimenti” |
Fausto Biloslavo L\\\'Italia non può rispedire in Slovenia i migranti che arrivano illegalmente dalla rotta balcanica. Non solo: i poliziotti sloveni e soprattutto quelli croati sono dei torturatori. In pratica le vicine Repubbliche, che fanno parte dell\\\'Unione europea, fino alla Bosnia, ultima tappa della rotta balcanica verso l\\\'Italia, sono paragonabili alla Libia travolta da anni di guerra. Non lo dicono i soliti talebani dell\\\'accoglienza, ma lo ribadisce con un\\\'ordinanza del 18 gennaio, Silvia Albano, giudice del tribunale di Roma, che accoglie in pieno la denuncia di un pachistano. E bolla come «illegittime» le «riammissioni informali» in Slovenia dei migranti intercettati dalla polizia all\\\'arrivo in Italia. Il tutto in punta di diritto facendo riferimento alla Carta europea dei diritti fondamentali, come se i nostri agenti fossero sgherri di Pinochet. Il ministero dell\\\'Interno è stato condannato a riprendersi il pachistano rimandato indietro fino a Sarajevo e pure a pagare le spese della causa intentata dagli avvocati dell\\\'Asgi, un\\\'associazione pro migranti sponsorizzata da Soros. L\\\'aspetto più grave è che il ministro dell\\\'Interno, Luciana Lamorgese, il 13 gennaio aveva già fatto marcia indietro sui respingimenti in Slovenia rispondendo in Parlamento. Nonostante a metà maggio una circolare di Matteo Piantedosi, il suo ex capo di gabinetto, avesse ordinato alle Questure di Trieste e Gorizia di intensificare le «riammissioni» in Slovenia. «Dopo l\\\'intervento del ministro le riammissioni sono state sospese, ma adesso i migranti non arrivano a causa della neve - spiega una fonte del Giornale in prima linea sulla rotta balcanica -. Il problema esploderà in primavera. Una sentenza e una decisione del Viminale del genere sono un messaggio chiaro: dai Balcani possono entrare tutti e rimanere in Italia». Nel 2020 sono arrivati, in Friuli-Venezia Giulia, 6.477 migranti illegali, quasi il doppio rispetto all\\\'anno precedente. Solo 1.301 sono stati rimandati in Slovenia, ma adesso non lo possiamo più fare, nonostante esista un accordo con la vicina Repubblica. La giudice di Roma sottolinea che «non è mai stato ratificato dal Parlamento». E punta il dito contro la decisione di rimandare indietro i migranti «anche qualora sia manifestata l\\\'intenzione di richiedere protezione internazionale». Il pachistano, che ha presentato la denuncia grazie alla testimonianza raccolta da una rete di Ong, è arrivato illegalmente sul Carso triestino nel luglio 2020. Lui giura, come fanno in molti da paesi non in guerra per ottenere l\\\'asilo, che è scappato dal suo paese essendo omosessuale e ateo. La polizia italiana lo ha rispedito in Slovenia, dove sarebbe stato maltrattato, ma non tanto. Poi l\\\'hanno riconsegnato ai croati che usano il pugno di ferro. Alla fine è stato rimandato in Bosnia. Secondo l\\\'ordinanza del tribunale di Roma siamo colpevoli pure noi: «Sono () numerose le norme di legge che vengono violate dall\\\'autorità italiana con la prassi dei cosiddetti respingimenti informali in Slovenia». L\\\'assessore alla Sicurezza del Friuli-Venezia Giulia, il leghista Pierpaolo Roberti, è scandalizzato: «Vuol dire che l\\\'Italia non ha più confini e nessun tipo di difesa nei confronti dei migranti illegali della rotta balcanica. E che Slovenia e Croazia non sono sicuri, come la Libia. Il governo deve subito intervenire». L\\\'allarme è concreto: Dopo l\\\'inverno arriveranno gli 8mila che sono bloccati in Bosnia. E magari pure i milioni dai campi in Turchia». Le Ong cantano vittoria con la sinistra, da Leu al Pd. Alla giunta di Bologna è venuta pure l\\\'idea di «aprire corridoi umanitari» dai campi della Bosnia avvolti nel gelo. Così la rotta balcanica attirerà ancora più migranti illegali. |
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10 giugno 2008 | TG3 regionale | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /1
Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, non dimentica i vecchi amici scomparsi. Il 10 giugno ha visitato a Bolzano la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” dedicata ad Almerigo Grilz. La mostra è stata organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti. Gli ho illustrato le immagini forti raccolte in 25 anni di reportage assieme ad Almerigo e Gian Micalessin. La Russa ha ricordato quando "sono andato a prendere Fausto e Almerigo al ritorno da uno dei primi reportage con la mia vecchia 500 in stazione a Milano. Poco dopo li hanno ricoverati tutti e due per qualche malattia". Era il 1983, il primo reportage in Afghanistan e avevamo beccato l'epatite mangiando la misera sbobba dei mujaheddin, che combattevano contro le truppe sovietiche.
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30 aprile 2020 | Tg5 | reportage
L'anticamera dell'inferno
Fausto Biloslavo
TRIESTE - “Per noi in prima linea c’è il timore che il ritorno alla vita normale auspicata da tutti possa portare a un aumento di contagi e dei ricoveri di persone in condizioni critiche” ammette Gianfranco, veterano degli infermieri bardato come un marziano per proteggersi dal virus. Dopo anni in pronto soccorso e terapia intensiva lavorava come ricercatore universitario, ma si è offerto volontario per combattere la pandemia. Lunedì si riapre, ma non dimentichiamo che registriamo ancora oltre 250 morti al giorno e quasi duemila nuovi positivi. I guariti aumentano e il contagio diminuisce, però 17.569 pazienti erano ricoverati con sintomi fino al primo maggio e 1578 in rianimazione. Per entrare nel reparto di pneumologia semi intensiva respiratoria dell’ospedale di Cattinara a Trieste bisogna seguire una minuziosa procedura di vestizione. Mascherina di massima protezione, tuta bianca, copri scarpe, doppi guanti e visiera per evitare il contagio. Andrea Valenti, responsabile infermieristico, è la guida nel reparto dove si continua a combattere, giorno e notte, per strappare i contagiati alla morte. Un grande open space con i pazienti più gravi collegati a scafandri o maschere che li aiutano a respirare e un nugolo di tute bianche che si spostano da un letto all’altro per monitorare o somministrare le terapie e dare conforto. Un contagiato con i capelli grigi tagliati a spazzola sembra quasi addormentato sotto il casco da marziano che pompa ossigeno. Davanti alla finestra sigillata un altro paziente che non riesce a parlare gesticola per indicare agli infermieri dove sente una fitta di dolore. Un signore cosciente, ma sfinito, con i tubi dell’ossigeno nel naso è collegato, come gli altri, a un monitor che segnala di continuo i parametri vitali. “Mi ha colpito un paziente che descriveva la sensazione terribile, più brutta del dolore, di non riuscire a respirare. Diceva che “è come se mi venisse incontro la morte”” racconta Marco Confalonieri direttore della struttura complessa di pneumologia e terapia intensiva respiratoria al dodicesimo piano della torre medica di Cattinara. La ventilazione non invasiva lascia cosciente il paziente che a Confalonieri ha raccontato come “bisogna diventare amico con la macchina, mettersi d’accordo con il ventilatore per uscire dal tunnel” e tornare alla vita.
Una “resuscitata” è Vasilica, 67 anni, operatrice di origine romena di una casa di risposo di Trieste dove ha contratto il virus. “Ho passato un inferno collegata a questi tubi, sotto il casco, ma la voglia di vivere e di rivedere i miei nipoti, compreso l’ultimo che sta per nascere, ti fa sopportare tutto” spiega la donna occhialuta con una coperta sulle spalle, mascherina e tubo per l’ossigeno. La sopravvissuta ancora ansima quando parla del personale: “Sono angeli. Senza questi infermieri, medici, operatori sanitari sarei morta. Lottano ogni momento al nostro fianco”.
Il rumore di fondo del reparto è il ronzio continuo delle macchine per l’ossigeno. L’ambiente è a pressione negativa per aspirare il virus e diminuire il pericolo, ma la ventilazione ai pazienti aumenta la dispersione di particelle infette. In 6 fra infermieri ed un medico sono stati contagiati. “Mi ha colpito la telefonata di Alessandra che piangendo ripeteva “non è colpa mia, non è colpa mia” - racconta Confalonieri con il volto coperto da occhialoni e maschera di protezione - Non aveva nessuna colpa, neppure sapeva come si è contagiata, ma si struggeva per dover lasciare soli i colleghi a fronteggiare il virus”.
Nicol Vusio, operatrice sanitaria triestina di 29 anni, ha spiegato a suo figlio che “la mamma è in “guerra” per combattere un nemico invisibile e bisogna vincere”. Da dietro la visiera ammette: “Me l’aspettavo fin dalla prime notizie dalla Cina. Secondo me avremmo dovuto reagire molto prima”. Nicol racconta come bagna le labbra dei pazienti “che con gli occhi ti ringraziano”. I contagiati più gravi non riescono a parlare, ma gli operatori trovano il modo di comunicare. “Uno sguardo, la rotazione del capo, il movimento di una mano ti fa capire se il paziente vuole essere sollevato oppure girato su un fianco o se respira male” spiega Gianfranco, infermiere da 30 anni.
Il direttore sottolinea che “il covid “cuoce” tutti gli organi, non solo il polmone e li fa collassare”, ma il reparto applica un protocollo basato sul cortisone che ha salvato una novantina di contagiati. Annamaria è una delle sopravvissute, ancora debole. Finalmente mangia da sola un piattino di pasta in bianco e con un mezzo sorriso annuncia la vittoria: “Il 7 maggio compio 79 anni”.
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24 novembre 2015 | Rai 1 Storie vere | reportage
Terrorismo in Europa
Dopo gli attacchi di Parigi cosa dobbiamo fare per estirpare la minaccia in Siria, Iraq e a casa nostra
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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento |
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea.
Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.
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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento |
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra
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20 giugno 2017 | WDR | intervento |
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.
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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento |
Italia
Professione Reporter di Guerra
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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento |
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.
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