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Intervista
26 gennaio 2021 - Sito - Afghanistan - Il giornale.it
Del Vecchio: "Gli interpreti sono affidabili. Dobbiamo aiutarli"
Mauro Del Vecchio è un bersagliere che per primo è entrato in  Kosovo dopo i bombardamenti della Nato nel 1999. E dal 2005 al 2006 ha comandato la missione Nato in Afghanistan.
A Kabul, nelle ultime ore, un mezzo dell’ambasciata italiana è stato colpito da un ordigno esplosivo (Ied), ma non ci sono vittime. L’attentato è avvenuto in coincidenza con l’arrivo in Afghanistan del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, che domani assisterà ad Herat al cambio della guardia fra la brigata Julia ed i paracadustisti della Folgore. Gli interpreti che chiedono protezione e si sentono abbandonati dal nostro contingente hanno lanciato un appello: “Il ministro si ricordi di noi del nostro lavoro al fianco dei soldati italiani, della nostra esigenza di sfuggire da chi oggi nella nostra terra ci minaccia, considerandoci come infedeli”. E scongiurano: ”Il governo italiano ci dia almeno un visto. Vi imploriamo, in modo da venire in Italia. Qui la mattina ci svegliamo con le bombe, con i morti, mentre il resto del mondo fa colazione. Abbiamo lavorato tanto con gli italiani, li abbiamo supportati, siamo amici, fratelli. Dateci il visto, come fanno gli americani e gli  spagnoli a fine missione. Perché noi non siamo stati aiutati?\".
Del Vecchio, generale in riposo, ha conosciuto sul campo l’importanza e il valore degli interpreti. Dopo una lunga carriera con le stellette è stato eletto senatore del Pd fino al 2013. E accetta di parlare del nodo dei traduttori, che si sentono abbandonati, in questa intervista esclusiva.

Gli interpreti di Herat e Kabul temono di venire lasciati indietro e lo hanno scritto nero su bianco in una lettera inviata al comando italiano, che non ha ricevuto risposta. Come è possibile?
“E’ una situazione che non fa piacere a tanti ufficiali come il sottoscritto, che hanno avuto la possibilità di verificare la valenza e l’importanza degli interpreti. Persone che hanno vissuto, ma è più corretto dire che hanno operato al fianco dei soldati italiani anche in momenti di grande pericolo. Tra l’altro non va dimenticato che sono spesso nel mirino dei talebani, che certamente non apprezzano la loro attività di supporto alle forze di stabilizzazione. Da noi italiani il loro impegno è sempre fortemente apprezzato e riconosciuto come molto importante per l’esito positivo delle operazioni”.
Undici sono stati già licenziati con una lettera che esclude qualsiasi piano di protezione. I sette della capitale sono a casa da marzo. In tutto fra Kabul ed Herat stiamo parlando di poco più di 50 persone a rischio. Un numero minimo e allora perchè ci sono problemi?
“Credo che debba essere maggiormente sottolineata l’importante funzione svolta dagli interpreti. Una funzione tra l’altro indispensabile per instaurare rapporti cordiali con la gente e le popolazioni verso le quali si muove l’attività di supporto/aiuto dei contingenti nazionali, da sempre elemento essenziale della partecipazione alle operazioni di stabilizzazione. Lo hanno fatto certamente in Afghanisatn, ma anche nei Balcani, altra area nella quale ho compreso come la funzione degli interpreti “locali” rivestisse carattere di indispensabilità. La loro presenza e l’equilibrio che li ha sempre caratterizzati sono risultati importantissimi per ridurre altissime tensioni tra le popolazioni di diverse etnie”.
La Difesa sostiene che bisogna fare un controllo sicurezza e alcuni non sono affidabili, ma se ne accorgono adesso dopo anni di servizio?
“I controlli vengono sempre fatti a monte. Il lavoro dei contingenti nazionali nelle aree di crisi è talmente delicato da rendere assolutamente necessaria la selezione dal punto di vista dell’affidibilità, sicurezza, fedeltà, equilibrio degli interpreti prima del loro impiego. Ogni volta che il comandante si muove ha sempre al suo fianco non solo un traduttore, ma un uomo di fiducia”.
Non è che all’italiana maniera si gioca allo scaricabarile fra Difesa, Farnesina che concede i visti e Viminale, che poi deve accogliere gli interpreti con le loro famiglie?
“Possono talvolta emergere diversità di interpretazione in merito a problemi magari non conosciuti sotto tutti gli aspetti, ma forse non è stato ancora ben focalizzato il nodo della questione. Il valore degli interpreti e la loro delicata funzione non possono, a mio parere, non essere adeguatamente riconosciuti”.
La stragrande maggioranza degli interpreti accolti in Italia ha dovuto lasciare il nostro paese spiegando di essere stati abbandonati senza lavoro o costretti a sopravvivere con gli aiuti della Caritas. E’ così difficile inserirli nelle strutture dello Stato, a cominciare dalle forze dell’ordine o nei tribunali per le traduzioni?
“Gli interpreti si sono guadagnati sul campo il riconoscimento da parte del nostro Paese. Spero vivamente che la loro funzione in tante missioni complesse sia pienamente riconosciuta e che possano essere ancora utilizzati”.
Accogliamo i migranti che arrivano via mare, ci preoccupiamo di quelli bloccati in Bosnia dal gelo lungo la rotta balcanica, compresi gli afghani, ma il destino di un pugno di interpreti che ci ha servito lealmente sembra interessare poco. Loro stessi dicono: “Dobbiamo arrivare clandestinamente con i barconi per venire considerati?” Come giudica questi due pesi e due misure?
“Da italiano percepisco al riguardo delle contraddizioni. L’Italia si è sempre distinta per la sua apertura nei riguardi dei migranti. In questo quadro, mi sembra strano che non ci sia la stessa apertura nei confronti di persone che si trovano in grande difficoltà e hanno dato tanto al nostro paese”.
[continua]

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13 marzo 2011 | Terra! | reportage
Cicatrici
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Con Fausto Biloslavo del Giornale ricostruiamo le fasi del blitz dei corpi speciali che ha consentito la liberazione dei due militari italiani rapiti in Afghanistan. Sono due agenti del Sismi, impegnati in una missione di ricognizione e fatti prigionieri da gruppi vicini ai talebani.

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20 agosto 2009 | Radio24 | reportage
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Al fronte con gli italiani/ Alle urne fra minacce talebane e presunti brogli
Si parte all’alba da base Tobruk, con i paracadutisti della Folgore, per garantire la sicurezza delle elezioni presidenziali in Afghanistan nella turbolenta provincia di Farah. Nel distretto di Bala Baluk, infestato dai talebani, sono aperti 5 seggi su 30. I parà della 6° compagnia Grifi, dislocati nei punti nevralgici, sono pronti ad intervenire per difendere le urne. Gli insorti hanno proclamato una specie di coprifuoco contro le elezioni “degli infedeli che occupano il paese”. Chi va ai seggi a queste parti rischia la pelle ancora prima di arrivarci. Con dei volantini affissi nelle moschee l’emirato talebano ha minacciato “di piazzare mine sulle strade principali”. I terroristi suicidi si sono inventati nuove tattiche come spiega prima di partire il tenente dei paracadutisti Alessandro Capone. L’elezione del nuovo presidente afghano e dei consigli provinciali nelle zone a rischio come questa di Bala Baluk è un terno al lotto. Nell'umile e polveroso villaggio di Sharak, le 40 famiglie che ci abitano avevano ricevuto solo 8 certificati elettorali. "E' passato il comandante Zabid Jalil e gli abbiamo consegnato le schede. Ha detto che ci pensa lui a scegliere il presidente. Meglio così: se i talebani le trovavano ci avrebbero ammazzato" racconta haji Nabu, il capo villaggio. Jalil è il boss della tribù e ha pure i gradi di generale della polizia. Un esempio di "democrazia" all'afghana.

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14 novembre 2001 | Radio 24 | reportage
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Kabul liberata il giorno dopo
Torna a splendere il sole sulla capitale afghana. Gli esuli cacciati dai talebani rientrano nelle loro case.

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Morire per Kabul?
La missione in Afghanistan è una sfida che non possiamo perdere, anche se ci costa sangue e sudore. La maggioranza degli ascoltatori di Radio 24, che ascoltano al mattino Alessandro Milan, vorrebbero il ritiro delle truppe.

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18 settembre 2009 | Radio Anch'io | intervento
Afghanistan
La sfida che non possiamo perdere
Perchè non possiamo perdere la sfida afghana e le dimenticanze di Emergency sulle vessazioni dei talebani

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