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03 febbraio 2021 - Interni - Italia - Panorama
Per dare un nome ai marò dimenticati
“Sfollati da tutte le parti (ma) dicono che Venezia non la bombardano” scrive alla famiglia il 30 maggio 1944, Fabio Venturi, marò ventenne, poco prima di partire per il fronte. Alla lettera allega una foto con un commilitone davanti alla basilica di San Marco. Nelle ultime missive, prima di sparire nel nulla, invia sempre “un saluto alla piccola Lucia”, la sorella minore. Il suo reparto della X Mas verrà dislocato sull’isola di Cherso, oggi Croazia, allora ultimo lembo d’Italia. Venturi con altri 20 marò e 6 militi del battaglione Tramontana si arrendono il 21 aprile 1945. I partigiani di Tito prima li torturano e poi li fucilano senza processo nascondendo i corpi in due fosse comuni sul retro della chiesa di Ossero. Settantacinque anni dopo panorama.it ha rilanciato l’appello della Comunità degli esuli di Lussino, “per l’identificazione dei marò” con i metodi più innovativi di indagine forense e comparazione del Dna, che ha raccolto in poco più di un mese 19.365 euro. “E’ un successo enorme. E le donazioni continuano ad arrivare. C’è una grande interesse per dare un nome, dopo tanti anni, ai resti ritrovati ad Ossero” conferma Licia Giadrossi, rappresentante degli esuli di Lussino. Le ossa sono state riesumate in Croazia nel 2019 e traslate con tutti gli onori nel Sacrario dei caduti di oltremare di Bari. Ventisette cassettine avvolte dal tricolore con su scritto “caduto ignoto”. Per dare un nome ai resti “dei prigionieri trucidati abbiamo rintracciato una decina di parenti sparsi per l’Italia disponibili al riconoscimento attraverso il Dna” spiega Giadrossi.
Fra i congiunti c’è Lucia, oggi ottantenne, che non ha mai riabbracciato il fratello, Fabio Venturi, il marò che inviava le lettera da Venezia. “Mia madre Lucia ha sempre pensato che fosse disperso. Non avevano neppure idea dove l’avessero ucciso” spiega Tarcisio Arca, nipote del marò. “Fabio più che fascista si sentiva italiano. Nelle lettere non parlava mai della guerra - racconta il nipote - Con la mamma siamo pronti a collaborare per l’identificazione. Sarebbe bellissimo riportare lo zio a Terni”.
Il vero mastino di questo “cold case” della storia è Federico Scopinich, esule da Lussinpiccolo che vive a Genova. “Fino ad oggi abbiamo trovato i discendenti di 9 marò fucilati ad Ossero. E stiamo cercando di risalire agli altri” spiega Scopinich.
“Tutto è iniziato 15 anni fa e non è stato facile - racconta l’esule - A Neresine (dove i soldati sono stati fatti prigionieri nda) ho conosciuto Silvia Zorovich che diceva in dialetto veneto “mi son italiana”, assieme alla sorella Maria. Le prime a mettermi sulle tracce della fine dei marò”. Le due sorelle rammendavano e facevano il bucato per i militari italiani, ma sono rimaste sotto la Jugoslavia di Tito. “Mi hanno messo in contatto con Floriana, sorella di Ermanno Coppi, che conservava le lettere spedite a casa dal marò ucciso a Ossero” conferma l’esule.
Floriana adesso ha 91 anni, ma Panorama ha parlato  con la figlia Gabriella. “All’inizio era dato per  disperso e per anni non si è mai saputo nulla - spiega la nipote - Sono andata a Ossero e ho parlato con un’anziana, testimone oculare di come quella ventina di marò fossero stati portati via e fucilati”. Gabriella sottolinea che “non voglio ci sia alcuna strumentalizzazione politica, ma sono assolutamente disponibile alla prova del Dna. Mi sembra giusto per quanto ha sofferto la nonna e la nostra famiglia”.
Scopinich grazie a testimonianze e documenti ha ricostruito tutto fino alle fosse comuni. Fra il 7 ed il 10 maggio 2019 Onor Caduti, costola della Difesa, ha riesumato i resti in collaborazione con le autorità croate. Dalle due fossi comuni è venuto alla luce un teschio con il foro del proiettile, che non lascia dubbi sull’esecuzione. Oltre ad ossa ingiallite dal tempo e pochi oggetti perché i prigionieri erano stati portati sul posto seminudi e costretti a scavarsi la tomba. “Quando hanno tirato fuori il teschio con il foro alla nuca, il medico legale parlava di classico colpo di grazia dopo la fucilazione” spiega Flavio Asta, responsabile della Comunità di Neresine, un’altra associazione degli esuli che si è battuta per far tornare a casa i marò. La X Mas ha pure passato sbrigativamente i partigiani per le armi, ma per 74 anni il sangue dei vinti è rimasto sepolto nelle fosse di Ossero per celare le prove di un crimine di guerra.
Il 13 novembre 2019 i resti sono rientrati a Bari con tutti gli onori. Per il “cold case” di Ossero si è messo a disposizione Paolo Fattorini, esperto di identificazione genetica dell’Università di Trieste, con le tecniche innovative chiamate “next generation”. Si è offerto gratuitamente anche Francesco Introna, cattedratico di Medicina legale a Bari ed esperto in antropologia forense. “Per contribuire senza indugio in quest\'opera di umanità e ricerca della verità storica” evidenzia, Luigi Antonio Fino, medico che ha coinvolto Introna e parteciperà al progetto. “Il nostro compito - fa notare Introna - potrebbe essere di tentare la sovrapposizione cranio-foto (ove fossero disponibili foto dell\' epoca di ciascun disperso) volte ad indirizzare e corroborare le indagini del Dna”.
Fino ha preparato la lettera che i familiari dei marò invieranno al generale Gualtiero Mario De Cicco di Onor Caduti: “Formuliamo istanza che i resti siano analizzati nell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Bari, al fine di una completa identificazione (….) stante la valenza umanitaria dell’iniziativa”.
Maria Antonietta, nipote di Francesco De Muru, uno dei marò passati per le armi dai partigiani di Tito non ha dubbi: “Per la nostra famiglia sarebbe un sogno identificare i resti di mio zio riportandolo finalmente a casa. E un dovere alla memoria di papà, che non ha mai più saputo nulla di suo fratello partito per la guerra”. La nipote del marò spiega che “siamo pacifisti. Quando ho raccontato alla mie sorelle la fine dello zio siamo rabbrividite. Non ci sono parole per commentare i crimini di guerra compiuti da una parte e dall’altra”.  
Iginio Sersanti aveva 24 anni quando è stato fatto prigioniero a Cherso. Cristian Sersanti non l’ha mai conosciuto essendo nato l’anno dopo la fine del conflitto. “Lo zio aveva una fidanzata sull’isola - racconta il nipote - Dopo la guerra era in contatto con i nonni e ha cercato Iginio per tutta l’Istria, ma inutilmente”. Anche lui è disponibile per l’esame del Dna e vorrebbe seppellire i resti, se verranno identificati, “a Gabicce  al fianco di mio padre e dei nonni”.
Nonostante la disponibilità gratuita degli esperti la comparazione del Dna ed i laboratori hanno un costo. Alla raccolta fondi “per l’identificazione dei marò di Ossero” hanno aderito in tanti. A cominciare dall’ex capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Mario Arpino: “Vengo da Tarvisio e a 9 anni ho visto i carabinieri ammazzati a picconate dai partigiani”. Il presidente dell’Associazione arditi incursori della Marina , contrammiraglio della riserva, Marco Cuciz,  spiega “che abbiamo fatto un versamento. Per noi erano marinai italiani schierati, dimenticati e alla fine massacrati”.
Tante persone comuni, esuli e anche i familiari dei marò hanno finanziato il progetto. “Norma Cossetto per mezzo secolo è stata dimenticata e per i marò ci sono voluti quasi 75 anni per riportarli a casa. Per questo la nostra famiglia ha versato un piccolo contributo per identificarli” spiega Loredana Cossetto. Suo padre, Giuseppe, era il cugino della martire istriana infoibata dai titini nel 1943.
La Verità digitale ha versato un contributo e il giornalista Massimiliano Mazzanti ha mobilitato “gli amici di Bologna” che sono stai fondamentali.
A Lecco nel 1922 era nato Emilio Biffi, uno dei marò, e l’esame del Dna lo farà un pronipote. “Lasciamo in pace la storia e da parte la politica - spiega il giovane che ringrazia gli esuli per l’iniziativa - Mi interessa solo il lato umano e se verrà identificato il fratello di mio nonno vorrei portarlo nella tomba di famiglia”.
Fausto Biloslavo

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14 marzo 2015 | Tgr Friuli-Venezia Giulia | reportage
Buongiorno regione
THE WAR AS I SAW IT - L'evento organizzato dal Club Atlantico giovanile del Friuli-Venezia Giulia e da Sconfinare si svolgerà nell’arco dell’intera giornata del 10 marzo 2015 e si articolerà in due fasi distinte: MATTINA (3 ore circa) ore 9.30 Conferenza sul tema del giornalismo di guerra Il panel affronterà il tema del giornalismo di guerra, raccontato e analizzato da chi l’ha vissuto in prima persona. Per questo motivo sono stati invitati come relatori professionisti del settore con ampia esperienza in conflitti e situazioni di crisi, come Gianandrea Gaiani (Direttore responsabile di Analisi Difesa, collaboratore di diverse testate nazionali), Fausto Biloslavo (inviato per Il Giornale in numerosi conflitti, in particolare in Medio Oriente), Elisabetta Burba (firma di Panorama), Gabriella Simoni (inviata Mediaset in numerosi teatri di conflitto, specialmente in Medio Oriente), Giampaolo Cadalanu (giornalista affermato, si occupa di politica estera per La Repubblica). Le relazioni saranno moderate dal professor Georg Meyr, coordinatore del corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Università di Trieste. POMERIGGIO (3 ore circa) ore 14.30 Due workshop sul tema del giornalismo di guerra: 1. “Il reporter sul campo vs l’analista da casa: strumenti utili e accorgimenti pratici” - G. Gaiani, G. Cadalanu, E. Burba, F. Biloslavo 2. “Il freelance, l'inviato e l'addetto stampa in aree di crisi: tre figure a confronto” G. Simoni, G. Cuscunà, cap. B. Liotti

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26 agosto 2023 | Tgcom24 | reportage
Emergenza migranti
Idee chiare sulla crisi dagli sbarchi alla rotta balcanica.

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29 dicembre 2010 | | reportage
Gli occhi della guerra a Trieste
Dopo aver portato la mostra su 25 anni di reportage di guerra in tutta Italia, finalmente il 29 dicembre è stata inaugurata a Trieste, presso la sala espositiva della Parrocchia di Santa Maria Maggiore, via del Collegio 6. Gli occhi della guerra sono dedicati ad Almerigo Grilz e a tutti i giornalisti caduti sul fronte dell'informazione. La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 10 al 20 gennaio. L'evento è stato organizzato dal Circolo universitario Hobbit con la sponsorizzazione della Regione.

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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

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20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.

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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea. Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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