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Articolo
10 febbraio 2021 - Interni - Italia - Panorama |
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| Vaccini dall’illusione al caos |
l 31 gennaio, alla fine del primo mese di vaccinazione, erano state somministrate 1.958.691 dosi, una misera media di 63.183 al giorno con cali a 34 mila provocati da forniture ridotte o in ritardo. Un dato al di sotto del minimo di 65 mila iniezioni quotidiane indicate dal super commissario Domenico Arcuri come linea del Piave per raggiungere l’immunità di gregge in tempo utile. Per fare un confronto, la Gran Bretagna ha somministrato quasi 600 mila vaccinazioni al giorno e a metà febbraio punta ad avere protetto 15 milioni di persone. E sempre a fine gennaio appena 616.867 italiani hanno ricevuto la prima e seconda dose. Non è un caso che il Gimbre, Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze, lanci l’allarme sul rischio Caporetto del piano vaccinale. «Nel primo trimestre - al netto di eventuali ritardi di consegna - si potrà contare su circa 12 milioni di dosi» sottolinea il fondatore della fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, «sufficienti a completare il ciclo vaccinale di circa 6 milioni di persone - 10 per cento della popolazione - non prima di metà/fine aprile, visto che la maggior parte delle dosi saranno consegnate da metà febbraio». E con l’approvazione del vaccino di AstraZeneca consigliato solo dai 18 ai 55 anni, il ritardo sulla tabella di marcia per sconfiggere il virus è ancora più marcato. In seguito l’Agenzia italiana del farmaco, subissata dalle critiche, ha fatto parziale retromarcia spiegando che si può somministrare agli over-55 se sono in salute. Ma di questo passo non si arriverà mai, entro l’estate, all’immunità di massa con il 70 per cento della popolazione vaccinata in Italia e nella Ue, come continua a sostenere la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
UNA PRODUZIONE ITALIANA «Quello che abbiamo passato nella prima fase con la penuria di mascherine e altri dispositivi di protezione lo stiamo vivendo adesso con i vaccini» dice a Panorama Riccardo Riccardi, vicepresidente della Regione Friuli-Venezia Giulia e assessore alla Salute. «Dobbiamo trovare soluzioni per produrli in Italia, come abbiamo fatto con le mascherine per non dipendere dall’estero. C’è in gioco la salute pubblica». I prossimi mesi saranno in salita per la regione del Nord-Est: «Le 60 mila dosi previste a febbraio e marzo saranno insufficienti per gli oltre 100 mila ultra 80enni. Le forniture che stanno arrivando mettono a rischio il piano vaccinale». Il ritardo dell’approvazione a fine gennaio del vaccino AstraZeneca, che ha annunciato tagli nelle forniture del 60 per cento, poi in parte ridotti, e le consegne a singhiozzo di Moderna e Pfizer hanno sballato la tabella di marcia. Senza il via libera al vaccino Johnson&Johnson a fine febbraio, e del tedesco Curevac previsto solo a maggio, non saremo in grado di iniziare la campagna di vaccinazione di massa che dovrebbe arrivare ad almeno 200 mila somministrazioni al giorno. Il 2 gennaio, anche se le tabelle sono state rese pubbliche a fine mese, il ministro della Salute Roberto Speranza ha varato il nuovo piano vaccini. Nel contratto con AstraZeneca reso pubblico dalla Commissione europea con troppi omissis si è scoperto che la società avrebbe dovuto fornire le prime dosi «nel 2020», e «dal primo trimestre del 2021». In dicembre e gennaio il vaccino di Oxford attendeva ancora l’autorizzazione e per i prossimi mesi sono previsti tagli considerevoli (su 100 milioni previsti a livello europeo dovrebbero arrivarne 40). Se non riceviamo 101 milioni di vaccini entro settembre non ce la faremo a immunizzare 51 milioni di italiani. Le dosi aggiuntive di Moderna e Pfizer sono 6,6 milioni ogni sei mesi, ma non è chiaro quando davvero arriveranno. Nel nuovo piano di Speranza, la parte del leone continua a farla AstraZeneca con un totale di 40,1 milioni dosi, ma anche con forniture più che dimezzate nei primi mesi e un’efficacia del 60 per cento (gli inglesi sostengono 75) rispetto agli altri sieri basati sull’mRna (oltre il 90 per cento). Da Johnson & Johnson, in fase di approvazione, attendiamo 53,8 milioni di dosi ma l’efficacia si ferma al 66 per cento.
I PASSI FALSI DEL COMMISSARIO Alla strozzatura delle forniture si aggiungono altri passi falsi o discutibili individuati da Panorama. «Gran parte dei vaccini arrivano via terra dagli stabilimenti nel Nord Europa» spiega una fonte militare. «E vengono consegnati tutti all’hub di Pratica di Mare. Per le dosi dirette al Sud va bene, ma per quelle verso il Centro-Nord è capitato che siano tornate indietro sui mezzi del corriere Sda con l’aggiunta di personale della Difesa. Una follia logistica». E un’altra scelta azzardata della struttura commissariale è la volontà, ancora non definitiva, di acquistare per i vaccini della somministrazione di massa frigoriferi che devono essere mantenuti a pochi gradi sotto le zero. Peccato che siano adatti agli alimenti. Per di più la Difesa ha già dato due volte parere negativo, spiegando che non si riescono a sistemare su quei mezzi in grado di alimentarli. Nonostante le controindicazioni, è stato chiesto all’ex Fiat la fattibilità di modifiche dell’impianto elettrico di altri furgoni delle Forze armate per il trasporto. Ovviamente non è stata calcolata «la proposta inviata ad Arcuri dal distretto di Casale Monferrato, capitale della tecnologia del freddo» spiega il sindaco, Federico Riboldi. «Una strategia seria e di alto profilo tecnico per la gestione dei vaccini in tutta Italia». La ciliegina sulla torta è rappresentata dalle Primule, le tensostrutture disegnate dall’architetto Stefano Boeri per le vaccinazioni di massa, fortemente volute da Arcuri. Sui blog specializzati il progetto e il bando di gara vengono bocciati senza appello. L’architetto Carlo Quintelli, in un’analisi dettagliata di costi e benefici, ha concluso che si spenderà «dieci volte tanto rispetto a un punto vaccini di analoga portata nella sala civica, in quella parrocchiale, nella palestra, sotto la tenda degli alpini e via dicendo». Solo la Difesa ha pronte all’uso 200 strutture in tutt’Italia da utilizzare come punti vaccinali. Matteo Salvini, leader della Lega, ha annunciato un esposto in procura. Il deputato leghista Daniele Belotti ha scritto una lettera a Palazzo Chigi e ad Arcuri e ha presentato un’interrogazione parlamentare. «Il bando riguarda la realizzazione urgente dei primi 21 padiglioni, uno per regione, mentre rispetto ai successivi 1.179 si riporta che saranno “eretti successivamente”» scrive Belotti che sciorina le cifre. La spesa prevista è di 8.599.500 euro, che significa 409.500 euro per padiglione, ovvero un costo di 1.300 euro a metro quadrato. Belotti si chiede se non fosse stato meglio noleggiare una tensostruttura quadrata o rettangolare e non rotonda come vuole Boeri, che costa molto meno (140/150 mila euro per un anno). E aiuta il settore fieristico in crisi per la pandemia. Arcuri ha risposto con una parziale marcia indietro: le Primule arriveranno “a primavera, forse a primavera inoltrata” a causa dei ritardi nel piano vaccinale. E apre al settore fieristico.
LOTTERIA DEI PREZZI Nonostante gli omissis del contratto europeo con AstraZeneca, si è scoperto che gli Stati Ue hanno versato 366 milioni di euro come «finanziamento iniziale» degli 870 milioni per 400 milioni di dosi. Per fare partire i vaccini, anche delle altre società, la Ue ha già sborsato 2,7 miliardi di euro. Non solo: la compagnia farmaceutica «farà del suo meglio» («best reasonable efforts») per produrre il vaccino. Una formula che vuol dire tutto e niente. E soprattutto non subisce alcuna penale in caso di mancata consegna, ma solo «la sospensione del pagamento». Al contrario, se l’Europa è in ritardo nel saldare le dosi, gli Stati membri devono pagare «gli interessi (…) al tasso applicato dalla Banca centrale europea (attorno allo 0,50 per cento, ndr) più cinque punti».Per non parlare del fatto che AstraZeneca sta fornendo regolarmente 100 milioni di vaccini alla Gran Bretagna. E dall’hub di produzione in India ha inviato 6 milioni di dosi a Brasile, Sudafrica, Marocco, Algeria, Arabia Saudita, che pagano anche il doppio rispetto alla Ue. Secondo il contratto, l’Europa versa alla società «un prezzo pari al costo lordo senza alcun profitto o perdita» di circa 2 euro a dose. E forse è proprio questo il problema. La Commissione europea ha tirato sul prezzo acquistando i vaccini anche al 45 per cento in meno rispetto ad altri Paesi, compresi gli Usa. Gli israeliani sono stati i più furbi. Lo Stato ebraico ha pagato un prezzo quasi doppio per i vaccini più efficaci: 23,50 dollari a dose a Pfizer e Moderna rispetto ai 14,55 per il primo e 12 per il secondo dell’Unione europea, numeri rivelati con una fuga di notizie. Risultato: le consegne vengono rispettate, a maggio il Paese avrà raggiunto l’immunità e la copertura risulta del 92 per cento. I top manager delle società coinvolte nel gigantesco business smentiscono qualsiasi preferenza, ma non rivelano i prezzi. E hanno già guadagnato milioni di euro prima del caos vaccini. L’amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla, in novembre ha incassato in un giorno 5,6 milioni di dollari vendendo le azioni della sua società quando è stato annunciato l’antidoto al virus. Mentre il top manager di Moderna, Stéphane Bancel, ha ceduto 49,8 milioni di dollari di azioni della compagnia beneficiata dalla corsa ai vaccini. Anche gli emolumenti dei super manager sono stellari: Pascal Soriot di AstraZeneca è stato pagato nel 2019 oltre 16 milioni di euro.
L’ULTIMA SPIAGGIA La beffa, dopo il danno della pandemia, sarebbe l’ancora della salvezza del vaccino cinese Sinovac, che l’Ente europeo del farmaco potrebbe autorizzare assieme al russo Sputnik V (efficace al 91 per cento). Il ministro della Salute tedesco Jens Spahn non ha escluso l’acquisto dei due sieri per arginare la carenza di dosi: «Indipendentemente dal Paese in cui viene prodotto un vaccino, se sicuri ed efficaci possono aiutare a far fronte alla pandemia». Mosca ha annunciato di poter fornire 100 milioni di dosi alla Ue. Il direttore sanitario dell’Istituto Spallanzani di Roma, Francesco Vaia, non ha dubbi: «Dobbiamo superare i ragionamenti di geopolitica. Se il vaccino Sputnik ci dà un alto coefficiente di efficacia e di sicurezza, prendiamolo subito». n © riproduzione riservata |
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24 novembre 2015 | Rai 1 Storie vere | reportage
Terrorismo in Europa
Dopo gli attacchi di Parigi cosa dobbiamo fare per estirpare la minaccia in Siria, Iraq e a casa nostra
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05 febbraio 2015 | Porta a Porta | reportage
IN RICORDO DELLE FOIBE E L'ESODO LA PUNTATA DI PORTA A PORTA
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18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre.
Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato.
Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano.
Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca.
“Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria.
Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman
Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida.
L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane.
La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....
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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento |
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Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale
Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio
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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento |
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo
I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti.
“Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale.
I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria.
Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa.
In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo.
“In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani.
Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.
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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento |
Italia
Professione Reporter di Guerra
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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento |
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.
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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento |
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.
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